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    enrix 10:21 on 27 January 2010 Permalink | Rispondi
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    Nel nome dell'antimafia 

    Nel nome dell’antimafia.

    di Angelo Jannone

    Non smetto mai di stupirmi di fronte ai sillogismi perversi che tempestano il web. Già, il bello del web. Ognuno può dire la sua. E così si può conoscere l’Italia e capire il perché di alcune componenti politiche. Sono solo l’espressione di quello che c’è. E possiamo ben dire "abbiamo l’Italia che ci meritiamo".
    Dopo le stragi siciliane dei giudici Falcone e Borsellino, la Sicilia è stata pervasa da un furente moto sociale. La società civile esasperata dal superamento della soglia di tolleranza, ha reagito in maniera coraggiosa contro la mafia.
    E molti hanno trovato nel moto dell’Antimafia un loro spazio, un loro ruolo, hanno potuto giustificare la propria esistenza, finalmente.
    Quando sono tornato a Palermo dopo qualche anno, nel dicembre 2000, in occasione della Convenzione ONU sul Crimine Transnazionale, ho visto una città diversa, caratterizzato da uno strano folclorismo: il folclorismo dell’Antimafia.
    Feste, convegni, seminari, organizzati a latere della Convenzione, da miriadi di sigle ed associazioni sorte in nome della lotta alla mafia.
    Eppoi gli uffici semivuoti della Procura, perchè in questa grande orgia dell’antimafia i magistrati erano variamente impegnati nel prendere la parola in questo o in quell’altro convegno. Insomma un antimafia a tavolino.
    E negli interventi, alzavano la voce, si dimenavano, contro la mafia, contro le collusioni politiche, contro i servizi deviati, insomma l’importante era avere un nemico. E poi tutti mangiavano e bevevano, con camerieri che servivano da mangiare e da bere.
    E poi anche gran mangiate di pesce a Mondello.
    Si passava da un convegno all’altro, come a fine anno si passa da una festa all’altra.
    E frattanto i delegati di tutto il mondo, passeggiavano e visitavano Palermo.
    All’epoca io comandavo il Reparto Analisi del ROS Centrale ed avevo suscitato la delusione di alcuni CosaNostracentrici, in quanto segnalavo, ancora inascoltato, le nuove minacce, quelle delle mafie multietniche.
    Da quegli anni, sono oramai 10, una serie di personaggi ben collegati tra di loro, cavalcando la scia della lotta alla Mafia, hanno girato l’Italia, come fenomeni da baraccone, facendo la lista dei buoni e dei cattivi, secondo logiche molto discutibili ma che hanno dalla loro il dono empatico della suggestività, facendo leva sul desiderio giacobino mai sopito di una piccola fetta del popolo italiano.
    Ma veniamo a ciò che mi ha sorpreso questa volta. Un convegno, l’ennesimo, organizzato dall’europarlamentare di pietrista, Sonia Alfano, a Palermo, dal titolo suggestivo ed evocativo L’alba di una nuova Resistenza svoltosi il 12 dicembre 2009. L’Avvocato Fabio Repici è intervenuto come relatore.
    E come la resistenza partigiana, in nome dell’Antifascismo ha saccheggiato, violentato, depredato, coperta dalla storia, qui il rischio sempre immanente, a volte già reale è che chi confonde il contrasto alla Mafia o alle mafie, con una nuova resistenza, in nome dell’Antimafia violenti le coscienze altrui, depredandone la reputazione ed alterando la storia.
    E ciò che fa, tra gli altri, l’avvocato REPICI, che pur esordisce reclamando la disinformazione diffusa e definendosi ironicamente difensore di pericolosi incensurati, mentre non si preoccupa affatto di diffamarne altri di incensurati.
    Mori, De Donno, Obinu, Subranni, entrano tutti nel suo mirino, con una concatenazione artefatta di eventi, fatta, con il tipico stile del “guarda caso” o “chissa perché”.
    Allora Le mutuo un po’ il linguaggio, avvocato REPICI per dire “guarda caso” al Convegno vi era tra i relatori anche Peter Gomez, giornalista de “IL FATTO”.
    Di lui avevo cercato oltre che di Travaglio, all’indomani dell’uscita di un anticipazione del libro di Genchi.
    Avevo spiegato chi fossi e perché chiamavo. Niente. Non mi è stato concesso di parlare con nessuno.
    Eppure qualche giorno dopo Gomez firmava un articolo con il quale citava passaggi di una mia dichiarazione ai Pubblici Ministeri (non utilizzabile), senza avvertire il bisogno, che un giornalista scrupoloso dovrebbe avvertire, di sentire prima il diretto interessato. Si preoccupava invece di difendere il suo vecchio capo all’Espresso, nonché mio vecchio capo in Telecom Brasile, Paolo Dal Pino.
    E parliamo di disinformazione o di carente informazione?
    E con queste premesse che REPICI si esprime in termini inqualificabili nei confronti del ROS, paragonato al UAARR della seconda Repubblica, corpo deviato, dopo aver definito il primo coinvolto in qualche modo nella strage di Piazza Fontana. “L’ UAARR nella seconda Repubblica si chiamava ROS, Raggruppamento Operativo Speciale, il corpo deviato della seconda Repubblica. Il Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, fondato nel 1990, alla cui guida, fin dall’inizio, ci fu il generale Subranni.E quindi il difensore di “pericolosi incensurati”, attacca non solo altri pericolosi incensurati, ma addirittura i loro figli “Il Generale Subranni non è un nome della preistoria di questo paese, perché, è vero che è in pensione, però, vedete, quel ministro della Repubblica Angelino Alfano, oggi tante volte ricordato, ha una portavoce. Parla con la voce di tale Danila Subranni che del generale Subranni è la figlia.”
    Che brutto guaio questo! E che grave peccato!
    Ovviamente non poteva mancare la solita trattativa con lo Stato per ricordare che il Generale Subranni era comandante del ROS dell’epoca.
    E tra i relatori al Convegno anche il senatore Beppe Lumia, che addirittura del caso ne ha fatto oggetto di un interpellanza parlamentare.
    E poi via, raffiche di sproloqui, di sintesi ad effetto, sul Generale Ganzer, non poteva mancare anche lui.
    Certo, ha ragione quando afferma che nessun politico mai ha pensato di rimuoverlo dal Comando del ROS, così come nessun politico avrebbe mai pensato di rimuovere il prefetto De Gennaro dal suo delicatissimo incarico nonostante indagato a Genova per fatti del G8.
    Ma questo dovrebbe far riflettere su quanta credibilità abbiano certe indagini della magistratura infarcite spesso delle stesse impostazioni da Nuova Resistenza.
    Ma il REPICI supera ogni attesa quando afferma, ormai nella sbornia convegnistica:
    Altro personaggio – qui rasentiamo il cabaret – che ha contraddistinto il ROS nella seconda Repubblica, è un personaggio che avrebbe un nome e un cognome, che però, come nei fumetti, si fa chiamare per pseudonimo. Ora, ci sono stati esimi esempi di ufficiali nobili ed integerrimi nella storia dell’arma dei carabinieri: Carlo Alberto Dalla Chiesa, il Capitano D’Aleo, il Capitano Basile. Ma voi ve lo immaginereste uno di questi personaggi che si fosse fatto chiamare con uno pseudonimo? Gli avrebbero riso in faccia. Non lo fecero. C’è invece un personaggio, che in teoria all’anagrafe si chiama Sergio De Caprio, che però è conosciuto con lo pseudonimo di Capitano Ultimo perché si sente evidentemente un personaggio dei fumetti. E’ un altro dei responsabili della mancata perquisizione al covo di Riina ed è uno dei personaggi – è un poveretto da come si propone – sui quali è però più difficile parlare, perché appena si cerca di mettere il dito sulle gravissime pecche di quell’ufficiale, ci sono personaggi, anche dell’antimafia ufficiale, che subito saltano in piedi e gridano allo scandalo. Perdonatemi, ma, con i personaggi da fumetti, investigazioni serie non se ne fanno e la storia del ROS è la prova di questo.
    Apprendiamo così che vi è anche un Antimafia Ufficiale contrapposta all’Antimafia Ufficiosa, quella della Resistenza .
    Quella che qui con il REPICI fa proprio un bel regalo a Cosa Nostra.
    Ricordo che l’allora capitano Ultimo- è conclamato processualmente – è stato condannato a morte proprio da Bernardo Provenzano, all’indomani dell’arresto di RIINA, ritenuto responsabile di aver umiliato “u curtu” posandolo e facendolo fotografare sotto la foto del Gen. Dalla Chiesa.
    E per qualche hanno, De Caprio, ha girato non in comode auto blindate, ma nel retro di un furgone come bestie, per sfuggire alle attenzioni di Cosa Nostra. Ed il generale Subranni, Mori e Obinu “tutti favoreggiatori di Provenzano” , secondo REPICI, ne era a ben conoscenza.
    Ricordo anche al REPICI che gli pseudonimi come li chiama lui, sono stati introdotti nella struttura anticrimine dell’Arma proprio dal Generale Dalla Chiesa, e non sono una scelta individuale, ma obbligatori, per ragioni di sicurezza. (Se non lo comprende glielo spiego in altra occasione)
    Ed è vergognoso che il REPICI si spinga a definire “porcate” le vicende del ROS, “ A proposito delle porcate del ROS, io vi segnalo questo che voi ancora non avete mai letto. Nell’anno 1993 Benedetto Santapaola era latitante a Terme Vigliatore. Era intercettato dal ROS con intercettazioni ambientali, i militari del ROS lo ascoltavano, veniva fatto anche il nome di Benedetto Santapaola, sapevano dov’era, avevano il nome, il cognome, l’indirizzo e nessuno è andato a prenderlo. Ancora nessuno è stato messo sotto processo per quella gravissima condotta.”
    REPICI non sa che su quell’episodio vi fu ampio chiarimento. Vi furono incidenti stradali durante il tentativo di catturare Santapaola.
    Cose che accadono quando si lavora.
    Ma veniamo alla conclusione di REPICI “Non è un caso, per altro, che i supporter di quegli ufficiali del ROS, di questi tempi, sono gli stessi supporter di Bruno Contrada, o gli stessi supporter dei servizi deviati.
    Ebbene si, caro REPICI. Ha ragione, non è un caso. Perché in realtà sono le persone come Lei che stanno spaccando in due l’Italia. Da una parte chi difende persone che hanno una storia di vero servizio per lo Stato e per la gente, con tutti gli umani errori di chi lavora sul serio, sacrificando la famiglia, rischiando la vita, saltando le notti, le domeniche e le feste e masticando polvere. Dall’altra chi, per fini politici legati al vecchio, atavico vizio di non accettare il metodo democratico, ma di pensare a rivoluzioni e resistenza, non esita ad immolare all’altare di una pseudo giustizia i primi, purché ciò sia utile a sostenere suggestivi teoremi, IN NOME DELL’ANTIMAFIA.
    *******

    * Su Facebook il fan’s club di Angelo Jannone a questo link:
    http://www.facebook.com/inbox/?tid=1191572478558#/pages/Angelo-Jannone/228461479037?ref=ts

     
    • poliscor 11:53 on 27 January 2010 Permalink | Rispondi

      Grazie, enrix.

    • Sympatros 17:03 on 27 January 2010 Permalink | Rispondi

      E la mafia sta a guardare…. divertita però…. ed è un bel divertimento godersi lo spettacolo, lo spettacolo gratuito dei detrattori critici, ironici e sdegnati dell’Antimafia…. l’antimafia modaiola…. fra i due litiganti il terzo gode… ma secondo voi dove si può nascondere e mimetizzare la mafia, nell’antimafia, nei detrattori dell’antimafia o in tutte e due?

      Sympatros

    • anonimo 17:49 on 27 January 2010 Permalink | Rispondi

      Caro Sympa se dire la verità significa essere detrattori dell’antimafia .. cosi’ sia. Accusare,  chi dopo aver scartabellato ogni carta, spiega i reali fatti come sembrano essere andati (seguendo quanto dicono i documenti ufficiali), di essere complice della Mafia, lo reputo gravissimo, anches eposto solo come presunto interrogativo.

      Si spera che nel tempo i Travaglio, i Barbaceto, i Gomez, tutti i magistrati che si stanno occupando di questi fatti, facciano giustizia e ci spieghino il perchè di tutte queste contraddizioni.

      Io, penso anche i vari Enrix, e tanti altri saremmo felicissimi, visto che qui la battaglia non è contro nessuno in particolare, si tratta esclusivamente DI FAR TRIONFARE LA VERITA’ DOVUNQUE QUESTA CI PORTI.

      Non ho mai capito se ci sei o ci fai, fatto sta che quando la verità sembra andare verso una direzione ECCO USCIRE SYMPRA/ERUZ , a volte mi sembri in buona fede altre e meglio che non lo scrivo ….. cmq è poco importante capire cosa sei e cosa vuoi, semplicemente è curioso che spunti sempre fuori in queste situazioni.

      Gianluca

    • anonimo 18:16 on 27 January 2010 Permalink | Rispondi

      Complimenti per il blog.
      Sosteniamo con serietà di giudizio e con tenacia, la vacuità di certi giustizialisti dell’ultima ora.
      Angelo Jannone

    • Sympatros 18:50 on 27 January 2010 Permalink | Rispondi

      E’ veramente comico, direbbe il Baffino perdente di D’Alema, Gianluca mi vedeva come fumo nell’occhio nel sito di Guzzanti e si è pure adoperato, anche con dispendio di energia, a che io venissi espulso… adesso mi insegue negli altri siti e vuol dialogare con me.. è comica caro Gianluca, mi sei pure simpatico, ma ti ho detto che tu spesso non decodifichi molto bene i miei post. Non fa niente va. Non mi metterò a discutere con te su questo blog…. dove i documenti la fanno da padrone ed io non ho voglia di affaticarmi a leggere tanti a tali documenti… legiucchio qualcosa e poi faccio delle riflessioni… questo è il senso dei miei interventi, non altro.

      Salutami il Senatore, che ringrazio per avermi fatto passare, nel suo blog, momenti interessanti, seri e sicuramente divertenti.

      Sympatros

    • anonimo 21:15 on 27 January 2010 Permalink | Rispondi

      Caro Sympra io non inseguo nessuno. Ti ho più volte spiegato che mi sembrava corretto mandare via chi non rispettava le regole, e tu le trasgredivi sistematicamente. Guzzanti non ci sentiva da quell’orecchio ed ha aspettato che lo esasperassi per mandarti via. Da liberale qual’è non voleva censurare, ma avendo fatto un regolamento che tu puntualmente violavi lo hai costretto.

      E’ tutto più semplice di quel che sembra, bastava che da parte tua ci fosse un comportamento consono e stavi ancora in Rivoluzione Italiana. Riguardo quello che hai scritto ora ti chiedo solo una cosa, chiamiamolo consiglio, se vuoi scrivere e commentare non leggiucchiare qualcosa e poi rifletti, leggi tutto quello che Enrix ti mette a disosizione e poi dicci tutto quello che vuoi.

      Poi naturalmente fai come preferisci ma di certo è antipatico dialogare e confrontarsi con chi AMMETTE CHE SI INFORMA SOLO PARZIALMENTE.

      Gianluca

      P.S. Giuro a volte non riesco proprio a comprenderti.

    • enrix007 00:34 on 28 January 2010 Permalink | Rispondi

      Momento, prego.

      No Sympatros, niente giochino delle tre carte o suoi succedanei coi bicchierini o coi campanellini.
      Qui non ci sono due litiganti, e la mafia che gode e sta a guardare, perchè il terzo è tutt’uno con uno dei due litiganti.
      C’è un’alleanza di cervelli che muove accuse infamanti contro i carabinieri che arrestarono Riina, che li vuole vedere puniti, sostenendo che furono alleati con Provenzano.
      Allora qui la mafia non è fuori che guarda, Sympatros, chiaro?
      E’ parte attiva,non facciamo i furbi,
      Delle due, una: o ha mosso il ROS, o muove i suoi detrattori. La mafia.
      Non è che tribunali, pentiti , giornalisti, parenti stretti si son mossi tutti insieme perchè è scoppiata tipo una moda delle figurine.
      Per questo io vado a caccia della menzogna. Basta snidare quella, e la verità prende forma per contrasto e chiaroscuro.
      Io quando faccio a pugni con un manoscritto apocrifo, dall’altra parte il mio antagonista non è un semplice appassionato di enigmi e cruciverba, o un falsario per hobby. Mi sono spiegato Sympatros?

      Ora, Sympatros…perchè io ti sto per bannare esattamente come ha fatto Guzzanti?
      Non perchè hai scritto il messaggio n°2, ma perchè ho come una vaga sensazione che tu lo abbia scritto nella perfetta lucida consapevolezza che le cose stanno come le ho scritte io qui sopra, e che tu abbia invece voluto fare il trucchetto dei tre bicchierini pensando che questo blog sia come il tavolino nel vicolo a fianco di Roma Termini.
      Nossignore. Qui non è la stazione, è casa mia, come ti ho già detto.

      Niente cortine fumogene. Niente giochino delle tre carte.

      Chi oggi colpisce il ROS e chi ieri e/o l’altro ieri è stato colpito dal ROS, è una carta sola. Intendiamoci bene, non sto parlando della maggioranza sprovveduta, quei poveracci che scendono in piazza a manifestare contro la mafia convinti che chi ha arrestato il capo dei capi lo abbia fatto in virtù di un accordo con altri mafiosi, ma dei burattinai, sto parlando.

      Comunque prendila come un’ammonizione seria, nel caso si ripeta, ecc..ecc.

    • Sympatros 08:51 on 28 January 2010 Permalink | Rispondi

      Io non reputo dei "poveracci" coloro che manifestano contro la mafia e poi non ho capito, secondo quale logica, la mafia non si possa nascondere in tutte e due o in nessuno dei due.

      "<i> Il terzo è tutt’uno con uno dei due litiganti</i>"

      Tu stai snidando la mafia nella cosiddetta antimafia e.. ne sei sicuro.

      Ti lascio alle tue sicurezze. Io resto con i miei dubbi e siccome  non è piacevole stare con la mannaia dell’ammonizione sul collo, lascerò tranquillo il tuo blog. Ciao Enrix.

    • anonimo 01:07 on 1 February 2010 Permalink | Rispondi

      Caro Sympatros,
      scusa se mi inserisco in questo vostro scambio  di pareri.
      I punti di vista sono tutti leggittimi, purchè non offensivi. Capisco che anche la definizione di ciò che possa essere "offensivo" è cosa non agevole, come può sembrare.
      Ma certamente qui in discussione non è in generele il leggittimo quanto lodevole dissenso contro la Mafia, ma il senso della verità. E qui permettimi di essere d’accordo con Enrix che, aldilà dei toni a volte forti, sta svolgendo il compito egregio di far vedere l’altra faccia dei fatti ed in maniera documentata.
      Non si può fare dell’Antimafia, con le stesse metodologie con cui si esprime l’"agire mafioso". Ossia con un "vincolo associativo" fatto di magistrati, giornalisti ed intellettuali, pronti a distruggere o ad oscurare chi non la pensa allo stesso modo, tanto da indurre al silenzio voci fuori coro, per l"’intimidazione" che deriva dal timore di essere additati come amico degli amici, solo perchè si ha  un approccio diverso ai fatti.
      O solo perchè passare sul tuo cadavere è utile per sostenere delle teorie che alla fine portano ad un nemico politico. 
      Questo è il punto vero. Mori e Obinu, tanto per fare degli esempi, hanno scelto, con la loro cultura istituzionale, di tacere mediaticamente e di difendersi nel processo. Allora le armi sono impari. perchè il processo mediatico nei loro confronti è già stato consumato, da un uomo da spettacolo come Ciancimino Massimo, ad esempio, e non solo.
      Riflettiamo su questo.
      Angelo Jannone
      p.s. ma che significa "bannare"

    • anonimo 02:18 on 1 February 2010 Permalink | Rispondi

      Caro Angelo non la conosco ma le dico subito che approvo i suoi ragionamenti riguardo l’antimafia all’Italiana.

      Approfitto della sua presenza su questo blog per chiederle alcune cose. Ho scoperto per la prima volta il suo nome accentrando l’attenzione su di lei pochi giorni fa leggendo il libro di Montolli "Il caso Genchi". Si parla di lei e del fatto che l’ha vista protagonista, l’inchiesta su Telecom Brasile

      Nel libro a pagina 328 trovo scritto che quanto riportato su Wikipedia non è affatto vero. Lei non è vittima di un complotto  ed i fatti non sono come spiegati su Wiki e come lei li descrive nel suo blog. Montolli spiega che lei ha evitato la galera proprio per aver confessato le proprie responsabilità.

      Il gip di Milano Giuseppe Gennari scrive che non la mandava in galera per la sua collaborazione, collaborazione che la portava a cambiare versione ed alla fine a dichiarare "Ho ceduto invece alla proposta di attacchi informatici perchè pensavo di rendermi in qualche modo utile, vista la mia situazione. Mi rivolsi a GHIONI chiedendogli se poteva mettermi in contatto con qualche Kacker per fare un lavoro di questo genere." (Tutto scritto nell’ordinanza di applicazione di misura cautelare e personale del gip del tribunale civile e penale di MIlano Giuseppe Gennari, del 25 ottobre 2007).

      Affermazioni che su Wikipedia sarebbero riportate al contario. Ho controllato ed effettivamente è così.

      Visto che è il diretto interessato riguardo questo specifico fatto, come sono andate veramente le cose? Le sarò grato se potrà dare un contributo alla verità.

      Gianluca

    • enrix007 16:11 on 1 February 2010 Permalink | Rispondi

      Ringrazio Angelo Jannone per il suo ottimo intervento.

      Nota tecnica: "bannare" significa inserire un filtro, in questo caso dello splinder , che impedisca ad un determinato PC, identificato dall’IP e dai coockies, di accedere ai commenti. 

    • anonimo 21:05 on 1 February 2010 Permalink | Rispondi

      Caro Enrix,
      non ti saranno certo sfuggite la dichiarazioni odierne di Massimino:

      http://www.repubblica.it/cronaca/2010/02/01/news/ciancimino_depone-2151180

      e la replica di Ghedini:

      http://www.apcom.net/newspolitica/20100201_184059_532fa2e_81838.html

      Nei giorni scorsi, mi stavo giusto chiedendo quando sarebbe arrivato un riferimento ai soldi di Berlusconi ed eccomi accontentato.
      Un  dichiarante così, "informato" a 360 gradi su tutti i misteri d’Italia  non si era ancora visto.

      anton

    • anonimo 17:01 on 3 February 2010 Permalink | Rispondi

      […]Le ultime rivelazioni di Ciancimino stanno facendo tremare i vetri dei Palazzi: quando Toto’ Riina fu “venduto” allo Stato da ‘o binnu, la condizione era che il covo di via Bernini non fosse perquisito. Perche’ quel “salvacondotto” che aveva garantito la latitanza di Toto’ ‘u curtu doveva passare direttamente nelle mani di Provenzano. Cosa c’era in quel famoso archivio che – dice Massimo Ciancimino – se venisse alla luce ora potrebbe far saltare il Paese? E dove e’ ora?
      Le domande si rincorrono. Ma l’unica, vera risposta sul punto l’aveva data involontariamente proprio il carabiniere che quel covo lo lascio’ incustodito: lui, il Capitano Ultimo Sergio De Caprio, agli ordini del generale Mori.

      I MORI E GLI ULTIMI
      Torna cosi’ in primo piano quanto la Voce aveva rivelato in esclusiva per la prima volta a maggio del 2005. E’ il 20 febbraio 2003. Dinanzi al giudice Gaetano Brusa, chiamato a pronunciarsi sulle presunte diffamazioni a De Caprio contenute nel libro di Attilio Bolzoni e Saverio Lodato “C’era una volta la mafia”, lo stesso Capitano Ultimo spiega le ragioni del suo risentimento: «leggendo il libro viene presentata in maniera sistematica la presenza di accordi illeciti tra Carabinieri e grandissimi personaggi mafiosi come Bernardo Provenzano, che e’ ancora latitante; attraverso questi accordi si sarebbe sviluppata tutta una serie di dinamiche che avrebbero consentito l’arresto di Riina, che ho operato io personalmente (…) si dice chiaramente che non e’ stato voluto perquisire il covo di Riina perche’ c’era un fantoma… un archivio, viene introdotta la presenza di un archivio di Riina, che e’ un fatto gravissimo perche’ a me non risulta da nessuna parte, l’esistenza di questo archivio e praticamente la … il patto e’: Riina e’ stato preso per strada perche’ in cambio gli hanno dato la possibilita’ di nascondere questo archivio, che l’avrebbe preso Provenzano per poter ricattare 3000 perso… ah, grosse personalita’». Ma «nel libro di Bolzoni – confermo’ alla Voce Caterina Malavenda, difensore dei due giornalisti – non si parlava di dossier e non si precisava alcun numero». Dalla viva voce del Capitano Ultimo, insomma, oggi sappiamo che quei nomi erano tremila. E che Massimo Ciancimino, almeno su quel punto, sta dicendo la verita’.
      Dopo essersi scagliato con violente invettive contro i giornalisti della Voce, “rei” di aver rivelato quel suo “lapsus”, quella “excusatio non petita”, oggi Ultimo torna in campo. Lo ha fatto alla grande, organizzando un’imponente manifestazione a Palermo per celebrare la Crimor, l’unita’ militare combattente del Ros cui aveva dato vita dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio e che fu disciolta nel ‘97 in seguito alle accuse di favoreggiamento della mafia a carico di De Caprio e Mori (dalle quali furono poi entrambi assolti in primo grado). C’erano proprio tutti: il suo vice Arciere, che fu trasferito alla “Territoriale” di Pinerolo (nel 2008 finito agli arresti domiciliari con l’accusa di concorso in estorsione per la vicenda del tesoro rubato dalla Palazzina di Caccia di Stupinigi), e poi Aspide, Barbaro, Nello, Omar, Vichingo e tutti gli altri. In carne e ossa mancava solo lui, Ultimo, collegato in videoconferenza “per motivi di sicurezza”. Il tuto condito dall’ugola d’oro di Gigi D’Alessio, «condannato il 2 aprile 2008 in primo grado – ricorda polemica la Associazione familiari vittime della mafia – a nove mesi di reclusione per il reato di lesioni aggravate dall’esercizio arbitrario delle proprie ragioni (pena sospesa)».[…]
       

       

      Moritz
      http://www.lavocedellevoci.it/inchieste1.php?id=259

  • Avatar di enrix

    enrix 02:02 on 13 November 2009 Permalink | Rispondi
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    QUEL CALDO MESE DI LUGLIO 

    Quel caldo mese di luglio.

    FALCONE E BORSELLINO e clessidra 

    La famosa intervista, quella che Paolo Borsellino il 21 maggio ’92 rilasciò ai giornalisti francesi  Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, è stata definita più volte “l’ultima intervista di Paolo Borsellino”. Erroneamente, perché, come è noto, successivamente a quella e poco prima di morire il magistrato rilasciò un’intervista alle TV di Mediaset.

     

    Quindi quella dei francesi è stata ridefinita come “la penultima intervista”.

     

    In realtà non è neppure così, perché Paolo Borsellino rilasciò anche un’altra intervista (quindi quella dei francesi è “la terzultima”) piuttosto interessante, al brigadiere Giuseppe D’Avanzo per le pagine di Repubblica, che la pubblicò il 27 maggio.

     

    Interessante, quell’intervista, soprattutto per un passaggio:

     

    PAOLO BORSELLINO: Per indagare sulla morte di Giovanni ho sollecitato la mia ‘ applicazione’ a Caltanissetta, ma mi hanno ricordato che in quella città non c’ è la funzione di procuratore aggiunto. In ogni caso andrò a Caltanissetta.

     

    D’AVANZO: Con quale scopo?

     

    BORSELLINO: Ci andrò come testimone. Per raccontare piccole cose che possono aiutare l’ inchiesta.

     

    D’AVANZO: A proporre un ragionamento?

     

    BORSELLINO: No. I ragionamenti non fanno parte di una testimonianza. Possono essere il retroterra di una testimonianza, possono essere materiale per un’ intervista. Al procuratore Celesti riferirò fatti, episodi e circostanze. Gli racconterò gli ultimi colloqui avuti con Giovanni.

     

     

    Che cos’avrà avuto da dire Borsellino ai magistrati nisseni? Cosa si dicevano lui e Falcone?

     

    Sempre Giuseppe D’Avanzo, su Repubblica del 23 giugno, nell’articolo “COSI’ SCRISSE FALCONE NEL DIARIO DEI MISTERI”, ci parla di un colloquio per il momento informale tenuto da Borsellino a Caltanissetta dove il magistrato avrebbe parlato ai colleghi del “diario”, i famosi appunti scritti da Falcone sul suo PC nell’ultimo periodo della sua vita.

    Poi, spiega D’Avanzo: “Celesti interrogherà presto Ayala, Borsellino e Guarnotta. Al di là dell’ interrogatorio, comunque, i "capitoli" del diario sono per gran parte noti, anche grazie alle rivelazioni di una puntuale cronaca dell’ Espresso. Sono trentanove, come trentanove furono le occasioni di conflitto e di dissidio con il procuratore capo Pietro Giammanco che mise Giovanni Falcone nella condizione di non lavorare come avrebbe potuto e saputo, che lo costrinse, di fatto, a dover abbandonare la Procura e Palermo. Si va dalla decisione di togliere al giudice assassinato la delega per le inchieste di mafia, alla comunicazione che la riunione settimanale del pool non si sarebbe più tenuta nell’ ufficio di Falcone al pianterreno del Palazzo, ma al primo piano nello studio del procuratore capo. Dalla circostanza che in qualche occasione Falcone fu costretto anche ad attendere a lungo in piedi dinanzi alla porta di Giammanco prima di essere ricevuto (circostanza pregna di significati in una città, come Palermo, attentissima ai segnali di prestigio e in un Palazzo, come quello di Giustizia, occhiutissimo nello scorgere le mosse che legittimano e quelle che delegittimano) alla controversia che Falcone ingaggiò con Giammanco dopo che il nucleo speciale dei carabinieri consegnò in Procura il rapporto sulla mafia degli appalti, un lavoro certosino durato anni che raccontava come tutti gli appalti di Palermo passano attraverso la mediazione di Angelo Siino, titolare di una concessionaria d’ auto, uomo fidato dei Corleonesi. Falcone valutò il rapporto con grande attenzione. Giammanco e i suoi sostituti più fidati con scetticismo. Anzi, con scherno. "Tanta carta per nulla, in questo rapporto non c’ è scritto niente che merita di diventare inchiesta giudiziaria", disse uno dei fedelissimi di Giammanco.”

     

    Ma a quanto mi risulta, Borsellino non fece a tempo per testimoniare a Caltanissetta, perché 25 giorni dopo, fu ucciso.

     

    Di quell’inchiesta, cd “mafia e appalti”, si erano incaricati il capitano De Donno e i suoi carabinieri del ROS. Lasciamo che, questa volta, sia Peter Gomez ad illustrarci della rilevanza di quel filone:

     

    “…È un fatto che le indagini dell’Arma facessero paura a molti. Il giovane capitano Giuseppe De Donno ci aveva lavorato per più di un anno. Così, il 16 febbraio del 1991, consegna nelle mani di Giovanni Falcone un rapporto di 900 pagine che, senza pentiti, sembra anticipare di più di un anno l’inchiesta milanese di Mani Pulite. Falcone però non lo può esaminare. Sta partendo per Roma, dove diventerà direttore degli affari penali al ministero, perché ormai a Palermo lui non può più lavorare. A metterlo in un angolo non sono stati i mafiosi. Sono stati alcuni suoi colleghi e soprattutto l’allora procuratore Pietro Giammanco.)     

     
    Il rapporto di De Donno è una bomba. Per la prima volta viene svelato il ruolo di Angelo Siino, l’uomo che per conto di Cosa Nostra curava la spartizione di lavori e mazzette. E viene anche spiegato quello del gruppo Ferruzzi di Ravenna, in affari con la mafia. Nella relazione sono citati i nomi di aziende come la Grassetto di Salvatore Ligresti, la Tordivalle di Roma (degli eredi di De Gasperi), la Rizzani De Eccher di Udine, le imprese dei cavalieri del lavoro di Catania, la SII poi rilevata dall’ex direttore generale della Edilnord di Berlusconi, Antonio D’Adamo, una serie di cooperative rosse, la Impresem del costruttore agrigentino Filippo Salamone e poi tutte le società che fanno capo a Bernardo Provenzano. Nonostante questo Mani Pulite alla siciliana non parte.
    (e perché? Come, lo vedremo fra poco – ndr) Perché la questione degli appalti e del pizzo diviso tra mafiosi e politici arrivi realmente alla ribalta bisogna attendere che a Palermo giunga il procuratore Giancarlo Caselli.

     
    Ma c’è di peggio. Il rapporto di De Donno finisce presto in mano ai mafiosi. Chi lo abbia consegnato, le indagini, tutte archiviate, non lo hanno mai stabilito.
    (ma è facile immaginarlo, se è vero, come ha detto Mori, che fu consegnato nelle mani degli avvocati difensori degli indagati in allegato agli atti pubblicati – ndr) Restano sul tavolo le accuse: quelle del Ros ai magistrati e quelle dei magistrati ai carabinieri. L’ex braccio destro di Provenzano, il capomafia oggi pentito Nino Giuffrè, è però certo che il contenuto di quel rapporto impresse un’accelerazione alla decisione, secondo lui già presa, di uccidere sia Falcone che Borsellino. In ballo c’erano infatti più di mille miliardi di lire da spartire tra mafia e politica.

     
    È indiscutibile, poi, che anche Borsellino, subito dopo la morte dell’amico, si sia messo a battere pure il fronte dei lavori pubblici. Proprio per questo ebbe allora un incontro con Antonio Di Pietro, all’epoca uomo simbolo di Mani Pulite, e, secondo Mori, il 25 giugno discusse la questione appalti anche con lui e De Donno: un’inchiesta senz’altro rallentata, se non insabbiata, nei mesi successivi.  (Ma da chi, caro dolce fresco Gomez? Lo vedremo fra poco – ndr) Un’indagine che oltretutto sarà poi falcidiata da prescrizioni e sentenze contraddittorie nei confronti di imprese e politici. Sulla morte di Borsellino, insomma, il rapporto mafia-appalti pesa. E da solo spiega molto. Ma non tutto.” (Dall’articolo:  Dietro la strage di via D’Amelio, l’ombra degli appalti. Da Il Fatto Quotidiano, 23 ottobre 2009 – Autore: Gomez, Peter

     

    Può darsi che non sia tutto, come dice Gomez, ma noi ci prendiamo la licenza di ritenere che il rapporto fra il peso della presunta conoscenza da parte di Borsellino delle presunte (e dico presunta e presunte perché che queste siano avvenute prima della sua morte ed in che modo è ancora tutto da dimostrare) “trattative” fra i carabinieri e Vito Ciancimino e l’accertata conoscenza da parte del magistrato dei contorni e dei dettagli della delicatissima inchiesta sulla mafia e sugli appalti (quanto delicata ce lo dice perisno Gomez), sia francamente risibile.

     

    E inoltre non era l’unica questione delicata di cui si stava occupando Falcone.

     

    C’erano i traffici internazionali di enormi somme di denaro, con protagonisti russi ed italiani, che stavano interessando il magistrato (e quindi anche il suo amico Borsellino perché come risulta chiaro i due si aggiornavano continuamente come se fossero una cosa sola), nei modi di cui ho scritto negli articoli dei giorni scorsi. E vale a dire l’inchiesta di Roma in mano ad Ugo Giudiceandrea e Franco Ionta, sulle cui orme anche Giovanni falcone si stava muovendo con la prenotazione di un volo per Mosca, sfumato a causa del tritolo.

     

    Ma dunque che fine hanno fatto effettivamente queste due inchieste?

     

    Per quanto concerne la vicenda dei flussi miliardari Russia-Italia e Italia-Russia, si dice che Ionta abbia depositato la richiesta di archiviazione di quell’inchiesta (forse trascurando un po’ alcuni aspetti, ma questo è già approfondimento, e ne parleremo in altra data), il 7-8 di luglio e che l’archiviazione sia stata ordinata dal Gip Siotto il 27  luglio. Nel bel mezzo delle due date c’è il 19, la triste domenica.

     

    E dico “si dice” perché nonostante  paresse un’autentica pentola in ebollizione, con decine di articoli di giornale ad essa dedicati nel mese di maggio e nel mese di giugno, ed innumerevoli annunci di sviluppi clamorosi, su quell’inchiesta dal primo di luglio calò il più totale silenzio stampa. Della richiesta di archiviazione della Procura, presentata piuttosto repentinamente, va detto, l’8 di luglio, nessuno fornì la notizia, nemmeno “L’Unità”, che invero avrebbe dovuto salutarla con un certo clamore, in quanto organo del partito direttamente interessato e colpito. Sapremo direttamente della sua archiviazione disposta dal GIP di Roma Siotto, solo una settimana dopo la morte di Borsellino, con poche e sintetiche righe sui giornali il 28 di luglio.

     

    Anche dell’inchiesta “mafia e appalti”, nello stesso periodo,  i PM chiedono l’archiviazione.

    E volete sapere? Pare che due di loro, Lo Forte e Scarpinato, l’abbiano firmata il sabato 18 luglio. Giammanco la firma invece la mattina del lunedì 20. Ha trovato tempo e coraggio nonostante il corpo del collega che a quest’inchiesta teneva tanto fosse ancora caldo. E credo che Borsellino di questa istanza di archiviazione non ne sapesse nulla, così come dell’altra. L’ordinanza di archiviazione fu firmata dal GIP il 14 di agosto (la vigilia di ferragosto, evidentemente in un tribunale completamente deserto, roba tipo "L’ultimo uomo che visse sulla terra").

     

    E a questo punto il Segugio vorrebbe fare uno dei suoi giochi preferiti. Non so se avete presente quei libri-gioco dove variando un evento della trama, ci si diverte ad esplorare i nuovi possibili percorsi narrativi.

     

    Analizziamo dunque, SENZA VOLERE ASSOLUTAMENTE INSINUARE NULLA, ma per puro passatempo, che cosa sarebbe potuto accadere con tempistiche differenti.

     

    Se le istanze di archiviazione, esperìte con una certa fretta e velocità, fossero state depositate DOPO la morte di Borsellino, qualcuno avrebbe potuto insinuare che si era approfittato della sua scomparsa per poterlo fare, e che lui non sarebbe stato d’accordo. Si sarebbero forse sollevate delle polverose e fastidiose polemiche, su quelle richieste di archiviazione disposte DOPO la scomparsa dei due magistrati che se n’erano occupati.

     

    Fortunatamente, e naturalmente per coincidenza, la richiesta di archiviazione di Roma è stata avanzata una decina di giorni PRIMA della morte di Borsellino. (l’indagine è durata pochissimo, appena qualche giorno); anche per l’altra inchiesta, l’archiviazione fu predisposta PRIMA, ma…

     

    Se la richiesta di archiviazione di "mafia e appalti" fosse stata però depositata con troppo anticipo rispetto alla data dell’omicidio, siccome si era nel tribunale di Palermo dove Borsellino lavorava, il magistrato sarebbe venuto a saperlo, e molto probabilmente sarebbe in qualche modo intervenuto.

    Se fosse peraltro stata depositata e firmata per intero solo poche ore prima dell’omicidio, qualche dietrologo avrebbe potuto sollevare  sospetti ed insinuazioni, su quella cronologia dei fatti.

     

    Fortunatamente, e naturalmente per coincidenza, la richiesta di archiviazione dell’inchiesta di Palermo è stata firmata IL GIORNO PRIMA della morte del Giudice da due PM (LO FORTE E SCARPINATO, neh, Gomez?), e firmata IL GIORNO DOPO la morte del giudice da Giammanco. (Il giorno in mezzo, quello dell’omicidio, era domenica, giorno in cui non si può firmare e depositare nulla in tribunale, però si può uccidere e si può morire).

     

    Così nessuno può fare sgradevoli insinuazioni.

     

    Se le ordinanze di archiviazione fossero state emesse PRIMA della morte di Borsellino, il magistrato l’avrebbe saputo in tempo reale (ordinanze del genere non si possono tenere segrete) e quindi  avrebbe probabilmente sollevato un bel casino, protestando ed accendendo un’aspra polemica. Se fosse quindi morto a quel punto, le polemiche da lui suscitate sull’archiviazione avrebbero potuto rappresentare un movente.

     

    Fortunatamente, e naturalmente per coincidenza, le ordinanze di archiviazione sono state emesse DOPO la morte di Borsellino.

     

    Così Borsellino non ha visto, pace all’anima sua.

     

    Se le istanze di archiviazione fossero state rese note dalla stampa, e Borsellino ne avesse letto, avrebbe forse acceso delle polemiche ed avrebbe contestato l’atto.

    Se la stampa avesse taciuto, fatto scena muta, su entrambe le istanze di archiviazione, la cosa avrebbe potuto sembrare strana, e destare sospetti.

     

    Fortunatamente, e naturalmente per coincidenza, sulla richiesta di archiviazione dell’inchiesta di Roma (fondi PCUS), presentata al 7-8 di luglio, NESSUNO HA SCRITTO UNA RIGA E NESSUNO HA SAPUTO NULLA. Si è saputo che era stata presentata da Ionta il 7/8 di luglio solo il 28 luglio, quando fu data la notizia dell’archiviazione disposta dal GIP. (fatto piuttosto incredibile, francamente). Sulla richiesta di archiviazione di Palermo, la stampa non ha fatto tempo a dare alcuna informazione prima che morisse il giudice, nonostante sia stata firmata da Scarpinato il giorno prima, perché è stata depositata con tutte le firme e resa nota il giorno dopo la morte del giudice.

     

    Così Borsellino non ha saputo, per fortuna. Pace all’anima sua.

     

    Se le ordinanze di archiviazione fossero state emesse entrambe subito dopo la morte di Borsellino, soprattutto quella su "mafia e appalti" molto attenzionata dalla stampa, si sarebbe potuta ritenere una strana coincidenza, ed un’iniziativa inopportuna dopo l’eliminazione del giudice, che avrebbe potuto accendere sospetti e polemiche  anche soltanto per la sensazione che appena uscito il gatto due topi si siano precipitati immediatamente sul formaggio. Se non si fosse infine disposta l’archiviazione di un’inchiesta particolarmente incandescente in un giorno in cui si pensa ad altro e la maggioranza dei cittadini, giornalisti compresi è fuori e si riposa, e quando rientra pensa a tutt’altro, farlo in un altro momento avrebbe magari suscitato maggiori polemiche “a caldo” e dubbi sull’iniziativa.

     

    Fortunatamente, e naturalmente per coincidenza, l’inchiesta sui fondi PCUS e KGB fu archiviata il 27 luglio, mentre l’ ordinanza di archiviazione dell’inchiesta  "mafia e appalti" è stata depositata e firmata il 14 di agosto, vigilia del ferragosto.

     

    Così l’evento ha perso d’importanza e nessun giornalista, per fortuna, ha pensato, neppure per voglia di protagonismo, a collegarlo   con la morte di Paolo Borsellino.

     

    Come emerge quindi da questa analisi di una serie di tempistiche particolarmente fortunate, il fato e la sorte propizi hanno fatto si che tutto quanto è avvenuto nei palazzi di Giustizia di Roma e Palermo, tra il 7 di luglio ed il 14 di agosto,su quelle due inchieste, non ha interagito con la vita e con la morte (19 luglio) di paolo Borsellino, neppure per sfioramento.

    Sorte propizia con chi detesta i veleni e le polemiche sulla Giustizia, ma crudele con il magistrato, perché Borsellino ci teneva tanto a quelle inchieste, e bastava che una sola di quelle condizioni che si sono verificate (ed erano tante), non si verificasse, che il destino di quelle inchieste e di quella riguardante la morte di Borsellino, sarebbe probabilmente cambiato.

     

    Alla prossima.

     

    Enrix

     

     
    • anonimo 09:22 on 13 November 2009 Permalink | Rispondi

      Enrix, lei e’ un mito.
      Luigi

    • anonimo 17:03 on 13 November 2009 Permalink | Rispondi

      Enrico,che Gomez sia peggio di Travaglio?
      Ciao grande!
      Maury

    • anonimo 16:23 on 14 November 2009 Permalink | Rispondi

      Buongiorno, 
      vorrei entrare subito nel merito di alcuni passaggi. Partiamo dall’articolo di Gomez: 
      È indiscutibile, poi, che anche Borsellino, subito dopo la morte dell’amico, si sia messo a battere pure il fronte dei lavori pubblici. Proprio per questo ebbe allora un incontro con Antonio Di Pietro, all’epoca uomo simbolo di Mani Pulite, e, secondo Mori, il 25 giugno discusse la questione appalti anche con lui e De Donno: un’inchiesta senz’altro rallentata, se non insabbiata, nei mesi successivi. 
      Ciò che ritiene Gomez indiscutibile io lo discuto e chiedo a tutti: 
      - quale è la fonte principale alla base della tesi che Borsellino fosse interessato a riprendere il filone mafia e appalti? 
      sono Mario Mori e Giuseppe De Donno riguardo il loro incontro con Borsellino, che non può né smentire né confermare perché è morto. Altra domanda quindi:

      -  che riscontro abbiamo per verificare la veridicità della testimonianza di Mario Mori e De Donno circa i colloqui con Borsellino il 25 giugno 1992? 
      Risposta: nessun riscontro. Noi dovremmo fidarci di quello che loro dicono.
      Questo per me è sufficiente per dire che non possa essere affermato con certezza che Borsellino ritenesse quella pista fondamentale per capire le ragioni della morte del suo amico. 
      Enrix, tu parli di: …accertata conoscenza da parte del magistrato dei contorni e dei dettagli della delicatissima inchiesta sulla mafia e sugli appalti…

      Borsellino conosce talmente bene i dettagli di quella inchiesta e la considera così importante che solo il 25 giugno, stando sempre a Mori e De Donno, si incontra con i due carabinieri per dare un nuovo impulso a quella indagine.

      Due parole sulle “presunte” trattative tra Ciancimino e i carabinieri. Non sono presunte ma dovrebbero essere considerate certe se si ritenessero attendibili le testimoninze di Mori e de Donno negli anni 90. Mori nega che quella con Ciancimino sia stata una trattativa ma è solo una questione semantica: quello di cui lui ha parlato è una trattativa che non si è conclusa con un accordo (sempre stando alle sue parole). Il problema è un altro: capire se quella trattativa coincida con quella del papello.
      A mio avviso, non si sono elementi per poterlo affermare.

      In generale, per quanto riguarda la pista mafia e appalti, io non credo a quello che Mori e De Donno dicono sul 25 giugno. Non credo, infine, che quella pista sia il movente principale per l’uccisione di Paolo Borsellino.

      Andrea G.

    • enrix007 19:24 on 14 November 2009 Permalink | Rispondi

      Andrea, naturalmente io rispetto le tue convinzioni.

      D’altro canto, come dici tu, alle affermazioni prive di riscontri solidi bisogna sempre guardare con la giusta diffidenza ed attenzione.

      Così ad esempio neppure io, almeno per il momento, credo a Massimo Ciancimino ed alle tempistiche da lui indicate in merito alla "trattativa", anche perchè a dirci di credergli è stato Riina in prima persona, non so se mi spiego.

      Comunque ho documenti in merito alle questioni da te sollevate che ho in programma di pubblicazione più avanti,e non vorrei per ora fare anticipazioni.

      Però, poichè era mia intenzione varare oggi una rubrica periodica (ma saltuaria, non giornaliera) dal titolo "appunti" (brevi note da tenere presente, passaggi, dichiarazioni, stralcetti di giornale, insomma, appunti), approfitto per pubblicare nell’appunto n°1 un virgolettato che, almeno parzialmente, potrebbe servire a chiarire una tua perplessità.

    • anonimo 22:11 on 14 November 2009 Permalink | Rispondi

      CONTRADA HA FATTO BINGO !

      Post n°1273 pubblicato il 13 Novembre 2009 da vocedimegaride
       
      Tag: Bruno Contrada, Gioacchino Basile, Giustizia, Ida Contrada, mafia, Pentiti

      di Marina Salvadore

      Con abbondante anticipo sulla data prevista del 20 novembre, registriamo in appena un mese la terza imbarazzante sentenza negativa alle legittime istanze dello spauracchio di Stato, Bruno Contrada. Da troppo tempo seguiamo le sue contraddittorie vicende giudiziarie, la stanchezza ci ha spossati, vinti ma mai convinti o piegati; ha – tutt’altro! – avvalorato le nostre tesi, confermati i nostri sospetti, certificate le nostre investigazioni mediamente intelligenti! Gli sconfitti, pertanto – in questa trucida odissea – sono LORO, i giustizieri cazzimmisti dalla copertina troppo corta, ormai, per coprire le lordure putrescenti dei loro ventennali fasti, in qualità di Traditori del Popolo Sovrano, della LEGGE, della Democrazia. Dello Stato! Abbiamo più volte fatto osservare ai mafiosi dell’antimafia che l’accanimento terapeutico sul capro espiatorio Contrada finiva col mettere in luce le loro più recondite e segrete masturbazioni mentali, pacchianamente acclaratesi proprio per via dell’atteggiamento negazionista e punitivo oltre ogni decenza su di un uomo già morto! Avevamo, più volte, sollecitato un confronto civile; in silenzio abbiamo stoicamente subito i loro attacchi informatici ed alla nostra sfera privata. Abbiamo sempre mostrato il volto e offerto il fianco, nella speranza che qualcuno tra loro recuperasse ragionevolezza e dignità.Siamo un esercito, noi sostenitori di Bruno Contrada, che ingrossa le sue fila quotidianamente, dinanzi a tanta bieca arroganza dei nuovi Robespierre… siamo un esercito sulla immaginaria “linea Maginot” tracciata dai nuovi illuministi, dal nemico, sui labili confini tra la Legge e la Giustizia, in questo “paese” che vantava d’essere la culla del Diritto! Come cita l’ennesimo laconico comunicato-stampa “La settima sezione della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai legali di Bruno Contrada avverso alla decisione con la quale il Gip di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza, nel marzo scorso ha archiviato l’esposto su “presunte condotte diffamatorie e calunniose tenute ai suoi danni al fine di screditarlo” e che, secondo l’ex funzionario del Sisde, sarebbero state tenute anche da “alcuni collaboratori di giustizia e alcuni appartenenti alle forze dell’ordine”. A questo punto, riproponiamo il medesimo quesito: Chi ha paura di Bruno Contrada?… di un uomo che nel suo esposto chiedeva fossero cercate prove autentiche a suo carico, facendo lucidamente nomi e cognomi dei suoi calunniatori, precisando date e luoghi che l’avevano visto operativo laddove, invece – benchè privo, egli, del dono dell’ubiquità – altri l’avevano invece intravisto altrove, sulla sola base di immondi inciuci tra compagni di merende, depravati menzogneri carriera-dipendenti. Eppure, oggi, allo “STATO” DEI FATTI, Bruno Contrada è forse l’unico sopravvissuto che può raccontarci dell’eldorado giacobino, l’unico testimone attendibile di quell’epopea che gettò la sue radici italiote sin dal 1948; rigogliosamente fiorita, poi, al crollo della Prima Repubblica ed attestatasi rapace, bugiarda, assassina e perfida nell’annus horribilis 1992… e non si capisce come mai anche quei politici liberali e cattolici della nuova era, tuttora al Governo e nel pieno Potere, alcuni indagati ed in procinto di arresti per il medesimo “reato che non esiste” per cui è stato bollato a vita Contrada, non vadano a cercarsi la VERITA’ ove questa è depositata, non usino questa VERITA’ neppure per difendere se stessi, non liberino Contrada dal fango nel quale l’hanno calato insieme ad una Repubblica, all’Italia intera! Non siamo in grado di produrci in cervellotiche minzioni; ci poniamo elementari domande…   Perché i radicali che hanno difeso così strenuamente il povero Enzo Tortora, non hanno espresso tale foga nel sostenere le ragioni di Contrada? Perché Cossiga, dichiaratosi spontaneamente teste a favore del generale Contrada, nel suo ultimo libro “La Versione di k” che tratta degli inestricabili misteri italiani – da Abaco a Zuzzurellone – glissa su Contrada che non è neppure menzionato nell’indice corposo dei nomi? Perché le Procure e la Cassazione continuano ad ignorare che dal ’90 al ’94 a Castello Utveggio c’era Antonio Ruggeri, amico di Caselli e NON Bruno Contrada? Perché e come hanno fatto carriera gli ufficiali dei carabinieri Raffaele Del Sole e Umberto Sinico ed altri calunniatori in divisa, citati con alcuni “pentiti” nell’esposto legittimo di Contrada, divenuto un “tabù”, uno spauracchio ancora più terrificante del suo stesso autore? In questa Cloaca Massima ch’è la degenerazione del far POLITICA, in Italia, sprofondata nel letame delle vie fognarie dell’analogo Grande Fratello televisivo, all’accattonaggio di prouderie, volgarità, camere da letto e fumerie, sarebbe davvero auspicabile ed interessante che fosse proprio Bruno Contrada a sparare il suo dossier di memorie, con nomi, fatti, situazioni, memorie… piuttostochè affidarle alla pietà dei posteri che comunque sarebbero poi accusati anch’essi delle divulgazioni postume di un morto; esattamente come denunciammo noi sostenitori a proposito del suo processo dove le parole infilate nelle bocche aperte dei morti, furono profferite dai pendagli da forca! E’ stanco ed ormai rinunciatario, Contrada. Ha accettato cristianamente il suo Golgota e la sua Passione ma il suo esercito non può dichiarare la disfatta, perché è la disfatta di un Popolo, di una Civiltà che, vigliaccamente, abbandonerebbe i suoi figli e nipoti nelle grinfie della dittatura; occorrono ancora forza e coraggio o, forse, un impulso di vandea con l’uso delle medesime armi del nemico. Speriamo che Bruno Contrada raccolga questo disperato appello, ora che anche la sua coraggiosissima sorella Ida, non vedente, si è appena affacciata sul socialnetwork Facebook, dal quale scaglia le sue piccole ma regali offensive. Ha già raccolto attorno a se’, in due giorni, un centianaio di estimatori. Il suo messaggio di benvenuto ai nuovi amici così recita: “ Ci vuole coraggio ad essere amico di "un" Contrada! Ringrazio tutti i coraggiosi italiani VERI che non mi hanno negato la loro amicizia, temendo di finire in una lista di proscrizione! GRAZIE! OBBLIGATA!"…  la sua scheda di presentazione, è la seguente: “SONO LA SORELLA DELL’UNICO CONDANNATO A MORTE DELL’ITALIA DEL DOPOGUERRA, BRUNO CONTRADA. SONO NON VEDENTE MA FINO A QUANDO AVRO’ VOCE LOTTERO’ COME UNA TIGRE PER LA DIGNITA’ E L’ONORE DI MIO FRATELLO!”… ed ha già anche partecipato ad un’iniziativa “politica” di protesta, sottoscrivendo e diffondendo la petizione pubblica per l’audizione del sindacalista Gioacchino Basile alla commissione Antimafia (n.d.r. Basile fu candidato quale teste a carico di Contrada)) con queste parole: “Vi invito a firmare coraggiosamente questa petizione. Nonostante Gioacchino Basile debba chiarirsi molte idee sul conto dell’operato "specialistico" di mio fratello Bruno (benchè nella sua lettera a Salvatore Borsellino l’abbia dichiarato INNOCENTE) aderisco al suo invito a fare chiarezza e PRETENDO che sia ascoltato dalla Commissione Antimafia! Poi, verrà il giorno in cui si ricrederà su mio fratello e potremo anche stringerci la mano! In fondo, dalle nostre diverse sponde combattiamo …

  • Avatar di enrix

    enrix 23:46 on 2 November 2009 Permalink | Rispondi
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    MAFIA E APPALTI 

    Antimafia fiction: l’inchiesta archiviata

    Quella “inchiesta bomba” archiviata subito dopo via D’Amelio. Così cominciò la battaglia tra i Ros e i pm siciliani

    di Chiara Rizzo

    Un attacco virulento, quello che la procura di Palermo sta sferrando al Ros dei carabinieri che lavorò in Sicilia, ma non nuovo. Il generale Mori e il capitano Ultimo, ad esempio, sono già stati processati a Palermo per la mancata perquisizione del covo di via Bernini, l’ultima dimora di Totò Riina. È finito tutto con l’assoluzione nel 2006. Ora la posta in gioco si è rialzata, perché alla luce delle nuove rivelazioni, il generale Mori e il capitano De Donno sarebbero diventati la causa indiretta della morte di Paolo Borsellino. Ma perché la procura di Palermo insiste così tanto nell’attacco al Ros? Una risposta l’ha indicata lo stesso generale Mori nelle dichiarazioni spontanee rese il 20 ottobre scorso, parlando di un’indagine che il Ros aveva depositato nel 1991: l’inchiesta “Mafia e appalti” seguita da Giuseppe De Donno, collaboratore fidato di Giovanni Falcone, sul controllo mafioso degli appalti pubblici. «Il rapporto di De Donno è una bomba» anche secondo Peter Gomez, che sul Fatto quotidiano del 23 ottobre ha raccontato come l’inchiesta fu in seguito insabbiata, ma omettendo di riportare i nomi di chi bloccò effettivamente l’indagine.
    In aula Mori, invece, non si è autocensurato. E ha spiegato come Mafia e appalti avesse catturato l’attenzione di Giovanni Falcone già nel febbraio del ’91, quando il magistrato era in procinto di lasciare la procura di Palermo per la direzione degli Affari penali del ministero della Giustizia: «Ci sollecitò insistentemente il deposito dell’informativa, spiegandoci che non tutti vedevano di buon occhio l’indagine. Venni da lui informato che il dottor Pietro Giammanco, procuratore della Repubblica di Palermo, con cui i suoi rapporti professionali erano problematici, non dava valore all’informativa». Infatti il 7 luglio ’91 a seguito dell’inchiesta, arrivarono i primi arresti, ma erano solo cinque. Ha ricordato Mori che «l’esito fu deludente: ritenevo che vi fossero altre posizioni, tra le 44 evidenziate nell’informativa, da prendere in esame. La stessa valutazione venne fatta da Falcone, che nei suoi diari definì le richieste della procura di Palermo “scelte riduttive per evitare il coinvolgimento di personaggi politici”». Mori ha ricostruito anche lo sconcerto provato quando ai difensori degli indagati, anziché consegnare gli stralci dell’inchiesta che li riguardavano, fu consegnata copia dell’intera informativa: «In tal modo si svelò il complesso dei dati investigativi posseduti dagli inquirenti, facendo comprendere in quali direzioni l’attività poteva proseguire». E l’inchiesta fu bruciata.

    Accuse e insabbiamenti
    Mafia e appalti ha creato problemi a chiunque vi si sia avvicinato. Paolo Borsellino, subito dopo l’omicidio di Falcone, chiese un incontro riservato a Mori e De Donno, e «non voleva che qualche suo collega potesse sapere dell’incontro», ricorda Mori. Lo stesso Ingroia il 12 novembre 1997 ha raccontato che Borsellino era convinto che partendo dagli appunti contenuti nell’agenda elettronica di Falcone su Mafia e appalti si potevano individuare i moventi della strage di Capaci. Come mai oggi il pm sembra trascurare del tutto le sue stesse parole? Il generale Mori ha cercato di rinfrescargli la memoria, chiedendo che questa sua testimonianza fosse depositata al processo di Palermo. Mori ha raccontato poi che Borsellino ribadì la sua tesi sulla strage di Capaci anche a lui e al capitano De Donno, incontrandoli il 25 giugno 1992, per parlare di Mafia e appalti: «Nel salutarci raccomandò la massima riservatezza sull’incontro, in particolare nei confronti dei colleghi della procura di Palermo».
    Erano ragionevoli i dubbi di Borsellino? L’unica certezza è che il 20 luglio 1992, il giorno successivo al suo assassinio, fu firmata dal procuratore della Repubblica di Palermo Pietro Giammanco la richiesta di archiviazione dell’inchiesta Mafia e appalti, richiesta presentata dai sostituti procuratori Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato. Il decreto di archiviazione fu sottoscritto dal gip il 14 agosto 1992, e chissà se nella storia siciliana è mai stato depositato un altro atto giudiziario la vigilia di Ferragosto.
    Un piccolo nota bene. Il procuratore Giammanco, era lo stesso che aveva suscitato i sospetti di Falcone, e che nell’estate di quell’anno fu praticamente cacciato dalla procura. Lo Forte e Scarpinato, firmatari della richiesta di archiviazione, sono stati i pm di punta del pool di Caselli (insieme allo stesso Ingroia): furono loro, negli anni d’oro di Palermo, a condurre l’accusa al processo Andreotti. E sarebbero forse passati alla storia se i carabinieri non avessero rotto le uova nel paniere: a processo in corso li privarono del super teste, Balduccio Di Maggio, quello che aveva visto il bacio tra Riina e Andreotti, arrestandolo perché, approfittando dello status di collaboratore di giustizia, aveva ripreso a delinquere. Nel ’97 De Donno arrivò addirittura ad accusare esplicitamente Lo Forte di aver insabbiato l’inchiesta Mafia e appalti. Uno scontro tra visioni divergenti della lotta alla mafia che pare non essere finito.

    02 Novembre 2009

    Estratto dalla rivista "Tempi"  -  LINK

     
    • anonimo 17:16 on 3 November 2009 Permalink | Rispondi

      strano che certi attacchi a Caselli vengano sempre dalla zona Berlusconi (Mondadori).

    • enrix007 19:30 on 3 November 2009 Permalink | Rispondi

      Minchia, che segugio che sei pure tu, caro anonimo.

      Il che, quindi, significa che per  conoscere i reali destini dell’inchiesta "mafia & appalti", dobbiamo fare affidamento solo e sempre su Mondadori o sull’area "Communication" Berlusconiana.

      Altrimenti il silenzio sarebbe assordante.

      Eh, sì. Siam messi male.

    • anonimo 19:18 on 24 November 2009 Permalink | Rispondi

      Cosa pensi di quello che scrive Gioacchino Basile?

      http://www.cuntrastamu.org/cuntrastamu/?p=503

      E’ questo il filone mafia-appalti da seguire?

      Ciao.
      Gabriele

    • enrix007 22:57 on 24 November 2009 Permalink | Rispondi

      Penso che se "Mafia e appalti" è una iceberg sotto la sabbia, Gioacchino Basile possa aver cozzato, nel suo cammino, nella punta.

      Per questo è interessante occuparsi anche della sua storia.

      Infatti, è nei miei programmi

    • anonimo 00:45 on 10 January 2010 Permalink | Rispondi

      Caro Enrix,
      Ho letto questo brano in un libro di Roberto Scarpinato e Saverio Lodato (Il Principe, pag. 188).
      Scarpinato, parlando dell’oscuramento mediatico a proposito dei rapporti mafia-politica, cita questo illustre esempio:
      Dopo l’inizio del processo per mafia a carico del senatore Andreotti, la Rai fu autorizzata a riprendere tutte le udienze. Era stata quindi inserita nel palinsesto Rai la programmazione di trasmissioni quotidiane e anche settimanali tratte dalle Udienze. Dopo le prime due trasmissioni, che avevano registrato un’audience molto elevata, la programmazione fu cancellata. La Rai si accollò l’onere delle spese già anticipate e liquidate. Non si ritenne neppure di selezionare una sintesi delle udienze di tutto il processo per una puntata della nota trasmissione Un giorno in pretura. Così, gli italiani hanno potuto vedere varie puntate dedicate ai processi per rapina, per omicidio, e per altri fatti di cronaca nera, ma è stato loro precluso di assistere al dibattimento di quello che la stampa internazionale ha definito come « il processo del secolo» .”

       
      Dunque il potere ha censurato questa cosa per tenere all’oscuro gli italiani. Solo che la cosa mi è sembrata strana perché, in un libro di Jannuzzi , mi sembrava di aver letto che erano stati i PM Lo Forte e Scarpinato a chiedere al giudice di negare il permesso alla televisione di riprendere il processo. Così sono andato a vedere il verbale di una udienza del processo, e ho scoperto che la difesa di Andreotti voleva addirittura la ripresa in diretta, mentre i PM, se ho capito bene, esprimevano parere contrario. Ecco un brano del verbale:
       PRESIDENTE
      http://www.clarence.com/contents/societa/memoria/andreotti/tribunale/an1_0515.html

      Va bene. Per quanto riguarda le televisioni il Tribunale sull’accordo delle parti…

      DIFESA

      :No, Presidente, la difesa ribadisce la posizione assunta a proposito…

      PRESIDENTE

      :No, era sulla conferma dell’ordinanza, se avete nulla da osservare sulla ordinanza emessa.

      DIFESA

      Presidente, noi avevamo una posizione, e in coerenza con la posizione assunta precedentemente chiediamo che abbia luogo e sia autorizzata sia la trascrizione radiofonica integrale in diretta che le riprese televisive in diretta

      .PRESIDENTE

      Va bene, cioè la stessa posizione dell’altra volta.

      DIFESA

      :La stessa posizione.

      PRESIDENTE

      Va bene. La parte civile?

      PARTE CIVILE

      Nulla di…

      PRESIDENTE

      I Pubblici Ministeri?

      P.M.

      Per quanto riguarda questo tema noi ci richiamiamo integralmente alle osservazioni già formulate nella precedente fase del dibattimento, quindi sinteticamente parere contrario alle condizioni già prospettate.

      PRESIDENTE

      Va bene e allora il Tribunale conferma l’ordinanza già emessa in data 26 settembre 1995 con la quale autorizzava la trasmissione radiofonica anche integrale e diretta dell’udienza da parte delle emittenti richiedenti nonchè la ripresa televisiva del dibattimento da parte della Rai con le modalità e gli obblighi già specificati, esclusa la trasmissione in diretta e autorizza la presenza dei fotoreporter nella parte a sinistra… i fotoreporter… non voglio vedere televisioni mobili. Le televisioni mobili vanno fuori. I carabinieri devono invitare le televisioni mobili ad andare fuori. Soltanto le due postazioni fisse della Rai. I fotooperatori si mettano tutti da questo lato. E allora procediamo per le questioni preliminari.

      Fonte:

      Chissà che, caro Enrix, approfondendo la questione, non si scopra che Scarpinato abbia detto un bel cazzillo pure lui.
      Ciao
      Moritz
      : :

    • enrix007 04:52 on 10 January 2010 Permalink | Rispondi

      Ottimo lavoro, Moritz, così si fa.

      Come vede, sembra incredibile, ma dovunque si provi a grattare, viene via la crosta e salta fuori il Truman Show.

      In questo caso è Scarpinato che si scandalizza per la censura alla diretta televisiva, e poi gratti e viene fuori che l’ha pretesa lui.

      O così almeno pare dalle carte che hai riportato.

      La stessa cosa è quando Gomez, in un articolo che ho citato in questo blog, stigmatizza l’onta dell’archiviazione dell’inchiesta "mafia e appalti" (la chiama insabbiatura), senza però dire che questa archiviazione porta la firma di uno dei magistrati convenuti festosi al convegno di inaugurazione del suo Fatto Quotidiano, e cioè proprio Scarpinato.

      Comunque grazie della segnalazione.

    • anonimo 17:14 on 3 February 2010 Permalink | Rispondi

      Ciao Enrix. Avevo letto bene il libro di Jannuzzi. Sempre sulla questione delle riprese televisive al processo lui scriveva:

      « […] mentre l‘avvocato di Andreotti per sollecitare la diretta televisiva ha parlato a braccio per cinque minuti, per oltre quaranta minuti il pm ha dato lettura di una soporifera disquisizione sui rapporti tra giustizia e spettacolo, con una conclusione strabiliante: onde evitare che le immagini del processo provocassero nel Paese pericolose « tensioni sociali» , ha chiesto alla corte di bloccare le trasmissioni televisive fino a quando non fossero stati ascoltati tutti i testi e non fossero state verificate le prove, cioè sino alla fine del processo. Battuto clamorosamente dalla decisione della corte, ha dichiarato: « La televisione ci sarà ma io non sarò un gladiatore del circo mediatico. Il processo deve essere un laboratorio di assoluta razionalità. Siamo come dei chirurghi in sala operatoria. E non si può correre il rischio che a qualcuno tremi la mano» .»
      Il pm di cui si parla è Scarpinato. Secondo Jannuzzi i pm non volevano la diretta perché Andreotti aveva facoltà così di chiedere le dichiarazioni spontanee, cioè di poter parlare a ruota libera senza essere interrotto.

      Moritz

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