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    enrix 05:42 on 17 November 2010 Permalink | Rispondi
    Tags: nicola mancino, nicolò amato   

    Ecco chi è Nicolò Amato, il nuovo sospettato per la "trattativa" fra Stato e Mafia 

    Ecco chi è Nicolò Amato, il nuovo sospettato per la "trattativa" fra Stato e Mafia

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    Tutta la stampa Antimafia è unanime: è un indizio di “trattativa”.
     
    Stiamo parlando del suggerimento di interruzione del regime carcerario 41 bis per i detenuti mafiosi, dato nel marzo 1993 dal Direttore generale degli istituti di prevenzione e pena, dr. Nicolò Amato, al Ministro di Giustizia in carica, prof. Conso.
     
    Ma sarà proprio così?
     
    Noi, per accertarcene, abbiamo provato a scavare nel passato del dr. Amato, per capire bene di che pasta fosse.
     
    Chi avrà voglia di approfondire questo argomento scorrendo questo articolo, pur lunghetto, credo che non se ne pentirà.
     
    E’ possibile seguire il percorso di vita e le idee, in quel decennio in cui tenne l’incarico di Direttore generale degli istituti di prevenzione e pena, sull’archivio storico di Repubblica, che è aggiornato a partire dal 1984.
     
    Ho scelto non a caso l’archivio di Repubblica, perché questo giornale ha seguito particolarmente da vicino e con decine e decine di articoli la carriera di direttore delle carceri del dott. Amato, dando ampio risalto, per non dire vero e proprio supporto,  alle sue attenzioni ed iniziative per una carcerazione umana e civile, e per una regolamentazione efficiente in materia penale, che non tenesse sempre e solo conto delle varie “emergenze”sociali e criminali in cui versava il nostro paese.
     
    E quindi proprio da Repubblica, riscontro questa stringata biografìa del magistrato, pubblicata il 1° settembre 1987:
     
    -Cinquantaquattro anni (quindi oggi ne ha 77 – ndr), messinese, Nicolò Amato è direttore generale degli istituti di prevenzione e pena dal 19 gennaio 1983. Laureato in giurisprudenza, è stato libero docente di filosofia del diritto all' università di Pisa ed è entrato in magistratura nel ' 58. Dopo molti anni trascorsi alla pretura e alla procura della Repubblica di Roma, Nicolò Amato si è recentemente distinto per aver ricoperto la carica di pubblico ministero in processi che hanno attirato l' attenzione dell' opinione pubblica, come quello contro Alì Agca per l'attentato al papa e il dibattimento in corte d' Assise per il sequestro e l' omicidio Moro. (I dietrologi avranno pane per i loro denti – ndr)In quanto direttore degli istituti di pena Amato si è trovato ad applicare i principi della riforma carceraria del ' 75 e i benefici previsti dalla normativa più recente, che risale alla fine dello scorso anno.In questi giorni è stata criticata la sua decisione di trasferire Tuti nel penitenziario ritenuto aperto dell' Isola d' Elba; il provvedimento era stato preso in base alle relazioni delle autorità carcerarie sulla buona condotta del killer neofascista. (Altro pane per i dietrologi – ndr)
     
    Ma vediamo dunque di capire con che tipo di Direttore degli istituti di Pena avevamo a che fare.
     
    Alla fine di giugno del 1984, lo troviamo fra i promotori del primo convegno pubblico (a detta di Repubblica)  tenuto in tutta Europa, da un gruppo di trenta detenuti, a Rebibbia, “ideato autonomamente” dagli stessi carcerati,  “e realizzato con l' appoggio delle forze politiche, dell' amministrazione carceraria e della Provincia”.
    Tema dell'incontro "misure alternative alla detenzione e ruolo della comunità esterna".
    Nel corso del convegno, Nicolò Amato interviene e parla“della necessità di riformare la carcerazione preventiva, di trovare urgentemente ulteriori misure alternative alla detenzione, dell' esigenza di riappropriarsi dello scopo rieducativo del carcere, previsto dalla riforma penitenziaria del ' 75.”
     
    Nel luglio 1984, esplode il caso dei “sepolti vivi” alle Nuove di Torino.
     
    “ I "sepolti vivi" delle Nuove di Torino saranno trasferiti mentre nel sistema carcerario si sta avviando una strategia di attenuazione delle misure di rigore nate durante l' emergenza. E' questo l' annuncio importante dato ieri a Torino dal direttore generale degli istituti di prevenzione e pena Niccolò Amato giunto in città per visitare la "vergogna" (come è stata definita recentemente dal magistrato di sorveglianza Pietro Fornace)  del reparto sotterraneo del carcere torinese dove sono reclusi, in venti celle, 54 detenuti privi di aria e di luce naturale. Nel corso della mattinata, Amato si è anche recato all' ospedale Molinette, nel cui repartino clinicoè detenuto Giuliano Naria, il presunto brigatista rosso, giunto all' ottavo anno di carcere in attesa di giudizio.Verso mezzogiorno Amato ha incontrato brevemente i giornalisti nell' ufficio del direttore delle Nuove, Giuseppe Suraci.Innanzitutto ha annunciato che il reparto maledetto delle Nuove sarà smantellato. Una parte subito, una parte a breve termine. (…) Sul tema del carcere speciale, Amato  ha annunciato che verranno progressivamente attenuate le misure di rigore (come il cosiddetto articolo 90, quello che sospende gli effetti della riforma carceraria ai terroristi) perchè "l' area della irriducibilità si sta restringendo. Si colgono segnali positivi, a cui bisogna stare attenti, di un grosso processo di revisione. Molte risposte le abbiamo già date con declassificazioni individuali di 200 persone, in un anno, dal regime speciale a quello ordinario. Bisogna costituire e ampliare le aree omogenee tra detenuti che sono spazi importantissimi perchè fanno confluire in un unico luogo dissociati che stando insieme possono maturare ulteriormente la loro dissociazione".
     
    Il tema della dissociazione dal terrorismo, sta particolarmente a cuore al Dott. Amato, come leggiamo, sempre su Repubblica, il 31 luglio dell’84:Tra chi si augura al più presto l' intervento del Parlamento c' è Nicolò Amato, direttore generale degli istituti di prevenzione e pena. Dice Amato: "E' urgente che una legge assicuri al problema della dissociazione politica dal terrorismo, una soluzione equilibrata che è divenuta improrogabile".  
     
    Ai primi di settembre, Amato torna a far visita al presunto brigatista Narìa, ed i benefici di questo incontro sono immediati e miracolosi:
     
    UNA VISITA DI AMATO E NARIA RIPRENDE A MANGIARE
    Repubblica — 06 settembre 1984   pagina 4   sezione: POLITICA INTERNA
    TORINO – Giuliano Naria che l' altro ieri aveva iniziato uno sciopero della fame, riprenderà a mangiare, bere e farsi curare. Lo ha deciso a conclusione di un colloquio di due ore con il direttore generale degli istituti di pena, Nicolò Amato, che, nel tardo pomeriggio di ieri gli ha fatto visita su incarico del ministro di Grazia e Giustizia, Martinazzoli. "Pur non potendo entrare nel merito della decisione dei giudici di Trani per rispetto alla autonomia della magistratura – ha affermato Amato – gli ho fatto presente alcune considerazioni di carattere generale sul fatto che trovo inaccettabili che i termini di carcerazione preventiva siano eccessivamente lunghi e che la sua vicenda è diventata emblematica di un periodo difficile della giustizia. Per tutto il pomeriggio, e quindi anche durante l' incontro con Amato, è stato nella camera di Naria il deputato di Democrazia proletaria Franco Calamida, il quale ha affermato: "Giuliano ha riflettuto e si è reso conto che non è vero che non c' è più speranza". …
     
    Ai primi di novembre del 1984, Amato convince il guarda sigilli Martinazzoli a non prorogare “l’art.90”, una norma restrittiva per i detenuti che coinvolgeva anche mafiosi e camorristi (forse la “trattativa” era già in corso?)
     
    FINISCE L' EMERGENZA NELLE CARCERI DA OGGI E' ABROGATO L' ARTICOLO 90
    Repubblica — 01 novembre 1984   pagina 13   sezione: CRONACA
    ROMA – Da oggi le carceri speciali tornano alla normalità e il regime penitenziario sarà di nuovo uguale per tutti i detenuti. Con l' eccezione di 14 reclusi, responsabili di omicidi commessi in carcere. Il ministro della Giustizia, Mino Martinazzoli, d'accordo con il presidente degli istituti di prevenzione e pena, Nicolò Amato, ha deciso di non prorogare l' articolo 90 (la norma che sospende le garanzie previste dalla riforma penitenziaria del ' 75). La misura riguardava circa 950 detenuti. Il loro numero era cresciuto nelle scorse settimane, dopo gli arresti effettuati tra mafiosi e camorristi.
     
    Silvana Mazzocchi, cronista di Repubblica, pare particolarmente soddisfatta:
     
    “Dopo oltre quattro anni di accese polemiche, dunque, dall' universo carcerario arriva un segnale importante di uscita dall' emergenza. Già da molti mesi del resto, il mutato atteggiamento dei detenuti, che avevano inaugurato metodi di protesta pacifica e di dialogo costruttivo, avevano convinto l' amministrazione penitenziaria sull' opportunità di dare il via ad una "pacificazione" interna.  …
     
    Ai primi di dicembre, il carrozzone della “trattativa” si sposta nella rampante città di Parma, dove si tiene un importante convegno, il cui titolo è tutto un programma: “Liberarsi dal carcere”.
    Ospite d’onore, naturalmente, il dott. Amato, il quale, stando a Repubblica, ha parlato a briglia sciolta:
     
    “ Amato ha detto che"bisogna depenalizzare, decarcerizzare, umanizzare la pena". Che"liberarsi dal carcere significa fare a meno del carcere quando questo non è necessario"; che il "carcere è una sanzione costosa sia dal punto di vista economico (un detenuto costa allo Stato centomila lire al giorno) sia dal punto di vista umano". Sulle misure alternative alla detenzione, semilibertà, affidamento eccetera Amato ha dato un parere favorevole: "Le misure alternative hanno dato buoni risultati… Bisogna utilizzare gli attuali strumenti ma non fermarsi a questo. Bisogna allargare, sempre però nel limiti della legge". Infine l' appello: "Chiedo a tutti di collaborare perchè nel carcere le cose vadano meglio, il carcere deve diventare una casa di vetro".
     
    Ma le idee del dott. Amato, non trovano totale approvazione fra gli addetti ai lavori presenti al convegno:
     
    “Qualche piccola contestazione (un giudice di sorveglianza ha interrotto un paio di volte l' intervento del direttore generale beccandosi un irritato "lei chi è?") e lo scarso applauso finale sono stati i sintomi che a molti l' intervento di Amato non è piaciuto. Soprattutto non è piaciuto a coloro che nelle carceri lavorano e che sostengono che il direttore generale ha delle ottime intenzioni ma che poi le cose restano tali e quali o peggiorano.  “
     
    Nel   1985, pare che Nicolò  Amato abbia in animo di realizzare una sezione speciale per superpentiti nel carcere di Pistoia. C’è chi insorge immediatamente.
     
    IN PARLAMENTO
    Repubblica — 02 febbraio 1985   pagina 2   sezione: POLITICA INTERNA
    …  I PENTITI NEL CARCERE DI PISTOIA? UNA SEZIONE speciale per superpentiti a Pistoia? E' un' eventualità ventilata da Nicolò Amato, il direttore generale degli istituti di prevenzione e pena. Un' interrogazione parlamentare per accertare la fondatezza della notizia, e finora rimasta senza risposta, porta le firme dei deputati comunisti Capecchi e Violante e dell' indipendente di sinistra Onorato. Il fatto sarebbe discutibile per la stessa collocazione del carcere che si trova nel cuore della città toscana. Attualmente sono soltanto due le prigioni realmente adibite per la custodia dei superpentiti: quella di Paliano, vicino a Frosinone, e quella di Belluno.  
     
    Nel febbraio dell’85, ad un convegno in Venezia sulle donne in carcere, il dr. Amato interviene e punta il dito :  “…inadempiente – e in modo grave – è anche il Parlamento, di fronte al quale giacciono ormai da lungo tempo proposte tendenti a facilitare l' adozione di misure alternative alla pena detentiva e ad aumentare le possibilità di lavoro "esterno" per i detenuti. 
     
    Nella primavera-estate del 1985, Amato interviene diverse volte sia in radio che sui giornali, lanciando appelli perché nelle carceri prevalgano le regole del diritto anziché quelle dell’emergenza (forse la trattativa era già in corso). Così il 29 marzo 1985, al Gr1:
    "Credo … – ha detto ancora Amato – che il superamento dell' emergenza debba essere un punto di non ritorno e credo anche che uno dei meriti di questo nostro paese, della sua magistratura, delle sue forze dell' ordine, di tutta la società, sia quello di essere riuscito a sconfiggere un terrorismo molto aggressivo e molto violento mantendosi entro i limiti, entro i confini dello Stato di diritto".
     
    Scrive anche un articolo per Repubblica, l’11 agosto, dal titolo “Non seppelliamo uomini vivi”.
     
    Non abbiamo reperito questo articolo, ma lo commenta dopo circa una settimana, sempre su Repubblica, Guido Neppi Modona:
     
    “…se non vogliamo bruciare sul nascere il nuovo clima riformatore, a qualche forma di differenziazione si deve necessariamente andare. E' questa la ragione per cui non vi è in realtà contraddizione tra gli slanci riformatori e le necessità di governo espresse dal direttore generale degli istituti di pena. L' importante è che il dibattito su queste prospettive avvenga alla luce del sole e che le forme di differenziazione del regime penitenziario siano disciplinate per legge e non abbandonate all' iniziativa discrezionale, e quindi potenzialmente arbitraria, dell' amministrazione delle carceri. Deve essere una legge, discussa e votata in Parlamento, a stabilire quali categorie di detenuti e per quali reati debbono essere sottoposti a un regime differenziato, a determinare in modo preciso e razionale delimitazioni ai contatti con il mondo esterno e le altre misure di sicurezza, ad indicare le garanzie (competenza dell' autorità giudiziaria, procedimento giurisdizionale, mezzi di ricorso) necessarie perchè il trattamento di maggiore rigore venga adottato solo nei confronti dei detenuti più pericolosi, non si trasformi in forme di ricatto e di intimidazione per l' intera popolazione carceraria e lasci aperta a tutti la possibilità, ove ne divengano meritevoli, di usufruire dei programmi di recupero sociale.”
     
    Gli interventi di Amato sui principali quotidiani nazionali, suscitano l’emozione di alcuni detenuti. Due di essi, scrivono a Repubblica il 31 agosto:
     
    Vorremmo rispondere al nostro prezioso direttore generale dottor Nicolò Amato; non possiamo farlo direttamente, per questo ci rivolgiamo a Repubblica. Abbiamo usato l' aggettivo prezioso perchè tanto vale il contenuto del suo scritto pubblicato su Repubblica del 2 agosto, soprattutto per noi detenuti in attesa di giudizio, "trattenuti" a scopo preventivo a Regina Coeli. Avremmo potuto addirittura qualificarlo "illuminato ed illuminante", tanta l' emozione, calda e rassicurante che ci ha provocato quella lettura. Chi vi scrive sono due detenuti conosciutisi qui, in carcere, coinvolti in due procedimenti penali diversi e distinti: uno per presunti reati inerenti al terrorimo, e l' altro per presunto "spaccio e detenzione di droga", entrambi chiamati in causa dal solito solitario pentito. Le rispettive perquisizioni domiciliari hanno avuto esito negativo, ma la sola parola del pentito ci ha inchiodati. Ed ora, chi da mesi chi da anni, siamo in attesa che si fissi la data del dibattimento, sicuri di dimostrare la nostra innocenza, certi ormai soltanto dell' orrore delle carceri.Due detenuti di Regina Coeli Roma
     
    Le convinzioni garantiste e riformiste di Amato, non sempre incontrano l’approvazione dei lettori. Dopo che il dirigente scrive una accorata “lettera ai detenuti” richiamando l’opinione pubblica alla dignità del carcerato, a Repubblica giungono lettere di questo tenore:
     
    "Bisogna tutelare la dignità dei detenuti, ha scritto il dott. Amato, nulla da eccepire, ma bisogna tutelare anche la vita di quelli che fanno il proprio dovere, che sono proposti a custodire i reclusi e che lo fanno nel rispetto delle leggi". quanto afferma in una dichiarazione diffusa oggi, riferendosi alla "lettera ai detenuti" di Nicolò Amato pubblicata da un quotidiano nazionale, la signora Tiziana Cosmai, vedova di Sergio Cosmai, direttore del carcere di Cosenza ucciso il 12 marzo 1985 in un agguato. Lasciando intendere l' ipotesi di un collegamento tra l' uccisione del marito e quella del maresciallo degli agenti di custodia Filippo Salsone avvenuta ieri a Brancaleone, in Calabria, Tiziana Cosmai aggiunge: "la mia tragica esperienza pare sia stata dimenticata da tutti, anche da quello stato per difendere il quale mio marito è stato ammazzato, sto ora rivivendo quei momenti. Mi immedesimo nella moglie di Salsone, sottufficiale che conoscevo poichè aveva lavorato con mio marito, e so che ora sta provando il mio stesso dolore, il mio sgomento". "Amato ha mai scritto una lettera per questi caduti del dovere? – prosegue la signora Cosmai – la lista si allunga sempre più e, intanto, come dice Amato, bisogna chinare la testa, andare avanti, a parole!".
     
    A metà del marzo 1986, come ci racconta Guido Passalacqua su Repubblica,  
    “Nella platea della palestra del carcere di Bergamo si mischia un pubblico inconsueto: una trentina di terroristi, deputati nazionali e regionali, consiglieri comunali, il sindaco di Bergamo, il presidente della Provincia, magistrati, il direttore generale degli istituti di pena Nicolò Amato, avvocati, giornalisti e una delegazione di detenuti comuni, tra cui c' era anche Terry Broome. Per la prima volta dagli anni di piombo all' interno di un carcere della Repubblica si affrontano in un convegno sugli anni Settanta.” …  Il convegno è stato concluso in serata da Nicolò Amato con un discorso di grande effetto: "Considero il terrorismo politicamente finito, non c' è spazio nella nostra società per dogmatismi. Credo sia giusto riflettere sulle disfunzioni e i malesseri che ci tiriamo dietro da anni e non posso non chiedermi se da parte della società non ci sia stata incomprensione di quanto doveva essere fatto". "Io credo che sia giusto andare avanti su questa strada non per trovare giustificazioni per una violenza assurda, ma perchè credo che sia utile questa riflessione se vogliamo cercar di capire una storia che incontestatabilmente appartiene a tutti noi".
     
    E così il dott. Amato, e la sua indulgenza verso il fenomeno del terrorismo, piacciono a Repubblica, la quale continua  a pubblicare articoli del magistrato, quale “Un appello dalle carceri” del 6 agosto 86, o  Un carcere senza chiavi”, del  15 agosto 1986    (non disponibili online, purtroppo).
     
    Quando Adriana Faranda e Valerio Morucci alla vigilia di capodanno del 1986 vengono messi in semilibertà su permesso straordinario, Miriam Mafai di Repubblica difende naturalmente questa scelta a fronte di una certa reazione negativa da parte dell’opinione pubblica:  .
    “E difficile vivere senza diventare schizoidi in un paese come il nostro, a metà Svezia e a metà terzo mondo. Morucci e la Faranda che passano questi giorni in famiglia appartengono a quel pezzo di paese che è civile, progredito, già Svezia.”
     
    E nello stesso articolo, il richiamo conclusivo al faro del riformismo carcerario, Nicolò Amato, è d’obbligo:
     
    “L' ergastolo non esiste più: gli ergastolani usciranno in libertà condizionale dopo 26 anni di detenzione, dopo l8 anni potranno ottenere la semilibertà e avere permessi premio dopo dieci anni. Questa conquista di civiltà è stata possibile grazie a una legge del Parlamento, approvata nell' ottobre scorso. Il paese, quando venne chiamato a pronunciarsi, tramite referendum, sull' abolizione dell' ergastolo, rispose di no, a stragrande maggioranza. Il nuovo regime carcerario italiano è probabilmente il più avanzato del mondo. Il concetto di pena come punizione, segregazione totale del colpevole, è definitivamente superato. Si tratta di una conquista straordinaria di civiltà che comporta probabilmente anche qualche rischio.Ma, per dirla con Nicolò Amato, direttore generale degli Istituti di Prevenzione e pena, come uomini il rischio ci appartiene, non ci è dato escluderlo dalla nostra vita e dal nostro destino; l' unico rischio che non possiamo correre è quello di non correre mai rischi.”
     
     Nel febbraio 87, Nicolò Amato, intervistato da Repubblica, è soddisfatto:
     
    Nonostante le difficoltà incontrate dalle riforme del ' 75 e dell' 86 ha detto Amato sono stati colti i primi importanti risultati. L' abbassamento della popolazione carceraria è frutto di tre leggi la mini-riforma penitenziaria, l' amnistia e l' indulto e la dissociazione che hanno costituito la cornice che ha permesso di ottenere positivi risultati. E' una linea di tendenza che aiuta a far camminare le nostre idee di riforme, ha continuato il direttore generale. il sovraffollamento dei penitenziari impedisce ad esempio la realizzazione di quel progetto di territorializzazione che deve essere uno dei nostri primi punti di arrivo. A questo proposito, la direzione delle carceri ha organizzato un sondaggio per sapere dove ogni detenuto vuole essere recluso. Il carcere con la possibilità di restare ancorato a familiari e amici aiuta nella rieducazione chi ha sbagliato. “
     
    Non dimentichiamo che nel papello è richiesto proprio questo: la vicinanza dei carcerati ai famigliari.
    Mancano ancora 5 anni, dalla sua presunta stesura, ma non sarà mica una coincidenza! Forse la “trattativa” era già in corso nel 1987.
     
    Intanto il magistrato dà corso ad alcune iniziative “tecniche” per migliorare l’ambiente carcerario: finestre al posto delle bocche di lupo, sistemi antincendio, citofoni nelle celle per le emergenze, sale stampa nei 5 principali istituti carcerari, e “Punti vendita e lavanderie in ogni sezione delle carceri italiane, cucine autogestite dai detenuti e infine un frigorifero in ogni cella. E' il complesso programma messo a punto dalla direzione generale degli istituti di pena. Questo progetto è stato concepito nel massimo rispetto dei principi di legalità e di dignità ha spiegato Nicolò Amato, direttore generale degli istituti di pena italiani, illustrando il programma nella nuova sala stampa del supercarcere delle Vallette.”
     
    Tutte queste cose, non si ritroveranno poi sul papello. Nemmeno le cucine autogestite ed  i frigoriferi in cella. Ma ovviamente solo e soltanto perché erano state già concesse.
     
     
    Nell’agosto ’87, scoppia la rivolta nel carcere di Porto Azzurro.  A condurla, è il neofascista Mario Tuti, e Amato inizialmente viene criticato per la decisione di trasferire Tuti nel penitenziario ritenuto aperto dell' Isola d' Elba.
    La difesa del magistrato, compare puntualmente su Repubblica, in un articolo di Claudio Gerino:
     
    Amato ha difeso anche la politica penitenziaria: La riforma carceraria non deve essere sacrificata, ora, a causa di un atto di violenza.  Stiamo realizzando una politica di recupero e riabilitazione come impongono i valori della civiltà. Per quanto riguarda il trasferimento di Tuti nel carcere di Porto Azzurro, Amato ha detto che si basava su ragioni inoppugnabili: Questo Tuti è stato per anni in quelli che l' opinione pubblica aveva chiamato braccetti della morte. Così in base alle relazioni degli esperti, si è deciso di stabilire un periodo di osservazione per il terrorista nero, dopo che, dal 1981 (anno in cui Tuti e Concutelli assassinarono in carcere un neofascista indicato come traditore, Ermanno Buzzi, n.d.r.) non aveva dato più fastidi. Per questo era stato trasferito, alla fine di maggio, nel penitenziario di Porto Azzurro, una assegnazione limitata nel tempo ad una casa mandamentale che rispondeva ai requisiti necessari di sicurezza.”
     
    E quando poi la rivolta sarà sedata, con la resa dei rivoltosi, è ancora Gerino a celebrare, il 2 settembre,  l’artefice della “trattativa” con i detenuti, sempre sulle pagine di Repubblica.
     
    Nicolò Amato E' l' uomo della vittoria dello Stato. Arrivato nel carcere di Porto Azzurro, ha subito preso in mano le redini della situazione. Non s' è mai, però, sovrapposto all' opera dei giudici. Ha invece svolto il ruolo di grande mediatore fra il potere politico centrale e la realtà di quanto avveniva nel penitenziario. Non è stato esente da ambiguità, glissando continuamente sulle concessioni ai reclusi, sulla sostanza delle trattative. E sembrava, in certi momenti, un muro di gomma. Gli rimbalzavano contro le domande, gli interrogativi, anche le provocazioni. Poi però, è stato colui che ha raccolto quanto altri, pazientemente, avevano seminato: la resa dei rivoltosi. A suo merito, il fatto di aver difeso la linea della trattativa quando le pressioni per un intervento di forza erano ormai arrivate all' estremo limite.”
     
    Ed anche Paolo Guzzanti, lo stesso giorno e sullo stesso giornale, riferisce che “ lo stesso direttore generale Nicolò Amato, che ha supervisionato la trattativa in tutte le sue fasi ci ha confermato più tardi: I detenuti sono stati bravissimi e io ho lasciato disposizioni precise sulla necessità di mantenere in vigore la riforma e i trattamenti umani che la riforma ha consentito. “
     
     E dopo un paio di giorni, ecco Silvana Mazzocchi che torna alla carica:
     
    Nicolò Amato, presidente degli istituti di pena, è stato uno dei protagonisti dei giorni di Porto Azzurro. La sua valutazione degli avvenimenti è quindi preziosa per ricostruire circostanze e retroscena, ma soprattutto per indicare la prossima linea di tendenza della politica carceraria. La soluzione pacifica è stata favorita da un sistema penitenziario che offre a tutti una speranza, dice Amato ed anche dopo il penoso episodio di Porto Azzurro noi cercheremo di andare avanti comunque sulla via dell' umanità. (…) Perché, in definitiva, la sicurezza non è tanto una caratteristica intrinseca degli istituti di pena, ma dipende essenzialmente dal modo nel quale, in concreto, in ognuno di essi si esercita la sorveglianza e si cura il rispetto della legalità. In particolare impedendo che entrino armi. La rivolta di Porto Azzurro cambierà la vita nelle carceri? Confesso di aver avuto il timore che questa tragica vicenda potesse essere strumentalmente o inconsapevolmente, utilizzata per vanificare gli sforzi che da anni a questa parte stiamo compiendo per realizzare le civilissime riforme penitenziarie approvate dal Parlamento. Andremo avanti Ma noi cercheremo con molta ostinazione e con molta fede di andare avanti su questa strada di umanità e di speranza.” (da:  'CON LA RIFORMA ABBIAMO VINTO' Repubblica — 04 settembre 1987   pagina 9  di SILVANA MAZZOCCHI )
     
    Il  10 settembre 1987   poi, Repubblica ribadisce che  “Il direttore generale degli Istituti di prevenzione e pena s' è detto infine convinto che l' Italia abbia un regime penitenziario all' avanguardia nel mondo: Non credo che altrove si sia espresso un numero così alto di convegni, dibattiti, spettacoli, manifestazioni culturali e attività per la risocializzazione dei detenuti.”   
     
    A dicembre troviamo il dr. Amato a presiedere, in Milano le
    …Giornate internazionali sui problemi della giustizia, organizzate sotto l' auspicio dell' Onu dal Centro nazionale di difesa e prevenzione sociale. Dobbiamo arrivare ha detto Amato ad un sistema che misuri rigidamente l' uso dell' intervento penale e l' uso del carcere secondo i fermi princìpi della necessità. Siamo convinti infatti che non tutte le trasgressioni sociali debbano essere configurate come illeciti penali, ma solo quelle che producono un più elevato danno o allarme sociale. E siamo anche convinti che non tutti i reati, ma solo i più gravi di essi, debbano comportare come sanzione il carcere, essendo questa la pena che costa di più dal punto di vista delle sofferenze umane e anche dal punto di vista economico. Le misure alternative all' esecuzione della pena, che dopo la legge del 1986 vengono applicate sempre più diffusamente, non sono sufficienti secondo Amato. Sono positive, ma rimangono pur sempre nell' ottica della risposta detentiva ha detto ancora Amato Occorrono anche misure diverse dal carcere. Quella del lavoro socialmente utile perché restaura o cerca di restaurare in concreto i legami di solidarietà sociale lacerati dal delitto. Amato nella sua relazione ha ricordato anche la vicenda di Porto Azzurro: Alla sua risoluzione ha contribuito anche, e non poco, la riforma che il paese aveva appena espresso. L' idea cioè di un carcere della speranza che noi abbiamo cercato e stiamo cercando di realizzare. .. (FABRIZIO RAVELLI – repubblica – 1 dicembre 1987)
     
    Alla fine di gennaio 1988, l’instancabile magistrato incontra in carcere i vertici delle Brigate Rosse.
     
    Il rendiconto è ancora di Repubblica:
     
     “ROMA Renato Curcio e Mario Moretti, dopo il dibattito suscitato tra le forze politiche dalla proposta di pacificazione, hanno ottenuto di incontrare Nicolò Amato. Nulla di preparato: il direttore generale degli istituti di prevenzione e pena stava visitando il reparto G8 del carcere di Rebibbia, dove sono rinchiusi i detenuti della cosiddetta area omogenea, quando gli è stato comunicato che i due leader storici delle Br avevano chiesto di vederlo. Poco dopo si è svolto il colloquio. Un segnale di disponibilità da parte dell' amministrazione penitenziaria, la cui rilevanza può essere fondamentale per lo sviluppo della discussione in corso. Dice Nicolò Amato: La richiesta di dialogo è importante e non deve essere lasciata cadere. Su un argomento così delicato deve essere fatta la massima chiarezza e, soprattutto, è necessaria una buona dose di prudenza e di riflessione.(…)  Adesso, alla vigilia della direzione politica democristiana dedicata alla pacificazione, Curcio e Moretti, seguendo una minuziosa e complessa regìa, hanno chiesto di parlare con Amato. Il direttore delle carceri aveva già espresso più volte, nei giorni scorsi, la sua convinzione che si debba proseguire sulla strada della tolleranza, del dialogo già aperto nell' universo penitenziario attraverso la legge Gozzini (la recente riforma penitenziaria che di fatto ha cancellato l' ergastolo, concesso permessi premio ed effettive riduzioni di pena). Amato porta con sé il coinvolgimento del ministero della Giustizia e rilancia, nei fatti, la discussione tra i protagonisti degli anni di piombo e quel sistema democratico che essi volevano abbattere. ( INCONTRO 'STORICO' AL G8 DI REBIBBIA CURCIO E MORETTI PARLANO CON AMATO – Repubblica — 26 gennaio 1988)
     
    Questa disponibilità di Amato al dialogo ed alla tolleranza, anche nei confronti dei detenuti della peggiore risma, suscita l’apprezzamento del cardinale Carlo Maria Martini:
     
     “Sollecitato dal direttore di un piccolo giornale cui collabora un brigatista detenuto a San Vittore, Martini ha mostrato di apprezzare, senza nominarlo, l' operato del direttore delle carceri Nicolò Amato. Non mi riconosco nella discussione sul perdonismo. Penso che la contrapposizione profonda sia tra chi desidera la vendetta, vuole cioè eliminare l' avversario, metterlo a tacere per sempre, e chi auspica la riabilitazione, desidera cioè di riportarlo nel consorzio e alla dignità umana. Qual è lo scopo della pena? La riabilitazione, dice la legge. E allora occorre aiutare qualsiasi tipo di carcerato, e non solo i terroristi, a ricostruirsi come persona: adeguando le strutture, trovando pene alternative alla detenzione, facendo collaborare i condannati al risanamento delle ferite inferte al corpo sociale. Questa è una società mobile, spumeggiante, è può essere difficile navigarci sopra. Penso sia meglio passarci dentro, ma armati della spada a due tagli del discernimento, del pensiero nutrito dalla silenziosa meditazione del Vangelo e quindi capace di operare delle scelte. Questa è una cosa che è possibile fare, perché le persone sono intelligenti.” (AIUTIAMO I CARCERATI E NON SOLO I TERRORISTI' – Repubblica — 26 gennaio 1988   pagina 7)  
     
     A marzo dell’88 Amato pubblica un libro: “Diritto, delitto, carcere”. E naturalmenteMiriam Mafai non perde l’occasione di presentarlo ampiamente su Repubblica, iniziando subito con un bel “distinguo”:
     
    INSOMMA nei nostri ministeri lavorano uomini come Di Palma, direttore generale del ministero dei Lavori pubblici, oggi latitante, e uomini come Nicolò Amato, direttore generale degli Istituti di prevenzione e pena. Una contraddizione non da poco che ieri qualcuno ha rilevato maliziosamente, nel corso della affollata assemblea di uomini politici, giornalisti, alti funzionari, che si era riunita per discutere dell' ultimo libro di Amato Diritto, delitto, carcere con il quale si sostiene appunto con ricchezza di argomentazione giuridica e umana passione civile la necessità (non l' utopia) di un carcere comminato solo per pochissimi gravi reati e comunque, anche in questo caso, trasformato e reso più umano e civile. Procedere su due binari L' ipotesi di Amato può essere condotta a concretezza solo a condizione che si proceda contemporaneamente su due binari. Il primo, quello che più direttamente gli compete per le funzioni che attualmente ricopre, è quello che prevede il riconoscimento di una serie di diritti del detenuto, quindi una umanizzazione della pena e un' apertura del carcere alla società e della società al carcere. Ma il secondo binario non è meno importante. Anzi. E' il binario che prevede un cambiamento radicale del nostro sistema penale, con la depenalizzazione di una serie di reati e l' adozione di misure punitive alternative a quella della detenzione. (…) E' ben vero, come spesso si dice, che tutti i giudici dovrebbero sapere cos' è il carcere prima di condannare qualcuno ad entrarvi. Ma non mi sembra lecito pensare che, nel sostenere le ragioni di questa grande riforma penale e penitenziaria, Amato sia mosso solo dalla conoscenza più ravvicinata del carcere che gli deriva dal suo attuale ruolo. C' è invece, nella sua richiesta di abolire il vecchio carcere e d' inventarne uno nuovo basato sulle regole del diritto, una concezione alta della giustizia che, come diceva ieri lo stesso Amato a conclusione del dibattito, sembra madre di due figli, uno legittimo: il processo, e uno illegittimo: il carcere. Del primo già orgogliosa, del secondo si vergogna un po' . Sul primo accende i riflettori, sul secondo fa scendere il silenzio. Ecco Nicolò Amato, prima giudice e pubblico ministero e oggi direttore generale degli Istituti di prevenzione e pena, vuole rompere questo silenzio, accendere i riflettori anche su questa zona buia della società, perché anche il carcere, quando necessario e nei modi in cui sia necessario, appaia a pieno titolo figlio legittimo della giustizia. “IL SOGNO DI NICOLO' AMATO 'CARCERE SOLO PER POCHI E TANTE PENE ALTERNATIVE – Repubblica — 17 marzo 1988)
     
    Gli anni successivi, vedono Amato al centro di due furibonde battaglie: quella per l’esclusione dal regime carcerario degli utilizzatori di stupefacenti che non commettono reati, e quella per la restrizione dei permessi di degenza in clinica concessi in modo troppo “leggero” ai mafiosi dai magistrati di sorveglianza.
    Questa seconda polemica raggiunse il suo apice quando Madonia, pur già detenuto (ma in clinica), fu incriminato per l’omicidio di Libero Grassi. Ma di questa situazione, stando a quanto scrisse Repubblica, non era certo responsabile Nicolò Amato, anzi.
    Già nel marzo 89, come riferito proprio da Attilio Bolzoni, egli affermava:
     
     “Questo problema dei ricoveri dei detenuti dell' Ucciardone e di case circondariali vicine in ospedali esterni, anche per lunghi periodi, l' ho sollevato sin dalla fine del 1983 disponendo una serie di inchieste amministrative e sanitarie che ho sempre inviato alla autorità giudiziaria di Palermo, ha spiegato ieri alla Agenzia Italia Nicolò Amato, il direttore generale degli istituti di prevenzione e pena. Amato, che propone controlli più efficaci sulle certificazioni mediche attraverso la creazione di commissioni ad hoc, aggiunge poi che in due lettere indirizzate all' Alto commissario nel novembre del 1988 e nel febbraio del 1989 denunciavo il diffuso e gravissimo fenomeno chiedendo che si prendessero, secondo le rispettive competenze, tutte le iniziative per stroncarlo.” TUTTI I RECORD DEI MAFIOSI IN CORSIA di ATTILIO BOLZONI – Repubblica — 17 marzo 1989   pagina 17   sezione: LA LOTTA ALLA PIOVRA)
     
    E quando poi verrà ucciso Libero Grassi, Silvana Mazzocchi di Repubblica provvede a descrivere l’impeccabile operato del dr. Amato:
     
    “A Roma, il direttore delle carceri, Nicolò Amato decide di inviare i suoi ispettori a Palermo. Vuole sapere quanti boss mafiosi sono ricoverati in corsia. E da quando. E' il nono controllo ministeriale dal 1983. Gli ispettori vanno in luglio e tornano con l' elenco aggiornato. Negli ospedali cittadini, di quei detenuti eccellenti ce ne sono nove. E, oltre al solito Madonia, nella lista compaiono anche Pippo Calò e Agostino Badalamenti (ambedue tornati in carcere nei giorni scorsi). Badalamenti, condannato per reati di mafia fino al 2009, risulta ricoverato dal marzo del ' 90. Per "sospetta epatite virale". Il 3 agosto dalla Direzione generale delle carceri parte una nuova richiesta di far trasferire Madonia al carcere di Pisa. Stavolta sembra fatta. Finalmente. Ma per legge è necessario il nullaosta dei medici presso cui il boss è in cura. Il 5 agosto il sanitario di turno della Usl 58 risponde che la "gravità della diagnosi e il continuo ripetersi negli ultimi giorni di emergenze ipertensive e respiratorie, vietano la trasportabilità del paziente con qualsiasi mezzo". E Madonia rimane in clinica. Il 29 agosto viene ucciso Libero Grassi. Il 27 settembre, Nicolò Amato invia l' ennesima circolare alla magistratura di Palermo. Due giorni dopo, Madonia riceve l' ordine di carcerazione per l' omicidio di Libero Grassi. Ieri, infine, la contabilità dei mafiosi ricoverati negli ospedali di Palermo risultava improvvisamente "crollata". Da nove di due mesi fa, ora ne rimangono tre. Madonia è al reparto medicina dell' Ospedale civico, Angelo Siino nella sezione detenuti del nosocomio e Giuseppe Sciurca al Guadagna.”
     
    Per quanto concerne invece il carcere per chi fa uso di droghe, il pensiero di Amato è molto chiaro:
     
    Niente carcere per chi fuma hascish o fa uso di eroina, se non ha commesso reati. Sì a misure alternative come togliere la patente o sospendere il passaporto. A dirlo è un magistrato che la drammatica situazione delle prigioni italiane la conosce bene: il direttore generale delle carceri Nicolò Amato, che ha partecipato ieri a San Vittore alla cerimonia per festeggiare i cent' anni del corpo degli agenti di custodia. Il carcere non può essere la risposta automatica alla tossicodipendenza, ha sottolineato Amato… ('NON METTETE IN CARCERE CHI E' SOLO CONSUMATORE' Repubblica — 28 settembre 1989)
     
    E quando gli alti prelati dichiarano la loro contrarietà al progetto, Amato è pronto a replicare:
     
    ROMA – Il progetto di far uscire dal carcere i consumatori di droga non è piaciuto al cardinale Fiorenzo Angelini, "ministro della Sanità" del Vaticano, autorità della Curia romana. I tossicodipendenti restino in galera e le prigioni siano luoghi di rieducazione, aveva detto venerdì scorso l' alto prelato. (…) "Per rieducare, il carcere dovrebbe avere almeno i mezzi", interviene polemico Nicolò Amato, il prefetto che presiede i penitenziari italiani ormai sull' orlo del collasso, "e invece non ce l' ha. E' abbandonato a se stesso. Il sovraffollamento e la grande promiscuità che c' è nelle carceri aggravano di fatto le condizioni di vita dei detenuti e creano enormi difficoltà al fine del recupero dei tossicodipendenti". (' MONSIGNORE, MA CHE VA DICENDO?' – Repubblica — 15 novembre 1992)
     
    E quando il Governo vara il decreto n°3 del 13 gennaio 1993, Repubblica è pronta a riconoscere i meriti del magistrato:
     
    ROMA – Nicolò Amato, presidente degli Istituti di prevenzione e pena, lo aveva "consigliato" più volte: è meglio depenalizzare il consumo personale di droga ed altri piccoli reati se vogliamo ridimensionare uno dei più drammatici sovraffollamenti carcerari dal dopoguerra. Ha anche denunciato i drammi umani celati dietro le fredde statistiche che i suoi collaboratori sfornano ormai quotidianamente dall' inferno carceri, quei "gironi" che Amato percorre ormai da 13 anni, dopo un passato di giudice. Presidente, questo nuovo decreto dovrebbe soddisfarla. "Infatti il mio giudizio è molto positivo. Ritengo che questo intervento normativo vada nella direzione giusta, cioè verso la depenalizzazione del mero consumo di sostanze stupefacenti". (' ESCONO SOLO IN MILLE E LE CELLE SCOPPIANO' di RAIMONDO BULTRINI –  Repubblica — 13 gennaio 1993  )
     
    Nel settembre del 1990 Nicolò Amato pubblica un nuovo libro, dal titolo “Oltre le sbarre”, e Miriam Mafai torna, su Repubblica, in un’ammirata recensione il cui titolo ci richiama alla grande letteratura:
     
    LE SUE PRIGIONI
    Repubblica — 29 settembre 1990   pagina 16   sezione: MERCURIO – SCAFFALE
    Nicolò Amato, direttore degli Istituti di Prevenzione e pena, come dire il grande regolatore della vita dei carceri italiani, è un ben singolare personaggio. L' ho conosciuto, molti anni fa, durante un Convegno che si svolgeva nel carcere femminile della Giudecca, primo esempio di quel rapporto tra il dentro e il fuori del carcere di cui lo stesso Amato si era fatto coraggioso promotore.(…)  Dopo di allora, incuriosita, ho avuto numerose occasioni di incontrarlo e mi sono confermata nella opinione che mi ero fatta allora: Nicolò Amato, grazie al quale abbiamo, in Italia, un sistema penitenziario che è il più democratico e civile del mondo, è un personaggio affascinante, ma non facilmente classificabile. Difficilmente classificabile è anche questo suo ultimo libro Oltre le sbarre, insieme cronaca di alcune drammatiche vicende carcerarie (dalla rivolta di Alessandria finita nel sangue, a quella di Porto Azzurro finita con la resa degli insorti), storia del difficile rapporto con i detenuti e commossa autobiografia e confessione (io sono soltanto un uomo, uomo fra gli uomini, com' essi fragile e limitato, e dunque mi appartiene la pietà. Così li guardo, gli uomini della rivolta, mentre passano davanti a me. E non mi spiace né m' offende che tengano alta la testa. E ho pietà per loro. Ma per loro ho anche rispetto). Una cronaca dunque e una confessione, ma anche il tentativo di dare una risposta a una serie di domande che tutti ci poniamo: a cosa serve il carcere? E' redimibile il criminale? Perché si diventa delinquenti? E ancora, per stare a domande più vicine e più inquietanti: chi erano gli assassini di Moro? Da quali sentimenti, rabbie, convincimenti erano mossi? E i cosidetti pentiti meritano davvero tanta indulgenza? E infine per giungere a un interrogativo attualissimo: il nostro carcere, con la televisione, le biblioteche, le rappresentazioni teatrali e i permessi premio non è forse troppo indulgente con i criminali? Le risposte di Nicolò Amato sono limpidissime, coraggiose, inequivoche. La sua difesa della riforma carceraria del 1975 e della successiva legge Gozzini è fermissima; altrettanto ferma la sua condanna della cosiddetta politica dell' emergenza, dismisura di sicurezza sociale e sacrificio delle libertà individuali. Molte le sue riserve sull' uso e l' abuso dei pentiti, alle cui parole spesso gli inquirenti attribuiscono valore di verità, tradendo il dovere del dubbio e della verifica. Appassionata la sua difesa di un carcere umano: la sofferenza giusta è la privazione della libertà, una privazione che sia giusta nella sua durata e che lasci spazio alla speranza. Nulla di più, nulla di diverso. Qualsiasi altra sofferenza non è necessaria, è solo una inutile dismisura di patimento e di punizione, mortifica o uccide il desiderio e la possibilità di un riscatto, trasforma la pena giusta in una ingiusta vendetta, offende intollerabilmente la civiltà e l' umanità.Miriam Mafai
     
    Pochi mesi prima, aveva suscitato un certo clamore una nuova ardita proposta del nostro magistrato, quella cioè di
     “ rivedere tutte le sentenze emanate per i delitti commessi con finalità di terrorismo ed eliminare le aggravanti previste dalla legge del 6 febbraio 1980. Lo Stato otterrebbe così un duplice effetto: riconquistare il rispetto delle sue regole ordinarie e sanare la sperequazione che si è determinata quando, sulla base di quelle aggravanti, gli stessi reati vennero puniti più duramente se commessi da terroristi piuttosto che da altri autori, mafiosi compresi.”
     
    Proposta che incontra subito l’approvazione del comunista Ferdinando Imposimato:
    “ E' giusta la proposta del direttore delle carceri Nicolò Amato di rivedere le sentenze degli anni di piombo e cancellare dalle pene l' aggravante della finalità di terrorismo.”
     
    Da rilevare che questa proposta di Nicolò Amato si configurava come alternativa a quella dell’indulto, caldeggiata invece, ad esempio, da radicali e demoproletari.
     
    Nel novembre del 1990, scoppia la polemica sulla controriforma carceraria.
     
    Il prof. Mario Gozzini, autore dell’omonima riforma, è furibondo e stacca il telefono in faccia ai giornalisti che gli chiedono di commentare.
     
     “… A Rebibbia, Fossombrone, Saluzzo, Padova, Prato, Bergamo, Lecce e Brindisi i detenuti stanno già attuando uno sciopero della fame contro la revisione della Gozzini. Una risposta la potrebbe dare il presidente degli istituti di pena Nicolò Amato, che però ieri era in viaggio per Napoli, dove col papa visiterà il carcere di Poggioreale, e non ha rilasciato dichiarazioni. In una recente intervista, Amato si era però detto assolutamente contrario all' esclusione dai benefici di quei detenuti che si sono macchiati di gravi reati. Non si può negare la speranza a nessuno, disse. Aggiungendo: Un provvedimento del genere andrebbe anche contro la Costituzione, oltre a ricreare tensioni all' interno delle carceri.” (GOZZINI: 'SONO SCONVOLTO LA MIA LEGGE E' INNOCENTE' Repubblica — 11 novembre 1990)
     
    Il pensiero di Amato dunque è chiaro, come sempre, ed è una fortuna che egli l’abbia pronunciato due anni prima della cosiddetta “trattativa”, così come quello sull’avvicinamento dei carcerati ai famigliari, altrimenti forse oggi varrebbe anch’esso quale indizio di crimine. 
     
    In compenso, all’epoca, l’attività di Amato costò al magistrato il perpetrarsi di una serie di minacce da parte del gruppo eversivo “Falange armata”:
     
    “… Nella telefonata di Falange armata sono stati anche indicati altri obiettivi per attentati, sempre nell' ambiente penitenziario. Noi rinnoviamo la nostra determinazione è stato detto a colpire gli otto operatori carcerari, quattro direttori e quattro educatori, lacché servi esecutivi pusillanimi delle false profezie di questo signore (Nicolò Amato, ndr). …  (NUOVE MINACCE A 'REPUBBLICA' DALLA 'FALANGE ARMATA'- Repubblica — 09 aprile 1991)  
     
    A metà gennaio 1993 avviene l’arresto di Totò Riina, e tocca ad Amato preoccuparsi della sua incolumità fisica:
     
    “… Lo stesso direttore generale degli istituti di prevenzione e pena, Nicolò Amato, s' è preoccupato della estrema rigidità del trattamento di sicurezza da riservare all' illustre capomafia, e al primo punto è stata messa appunto l' alimentazione. La soluzione adottata è stata questa: Riina non mangerà le stesse cose degli altri detenuti, ma i suoi pasti e le sue bevande proverranno da una cucina esterna al carcere, strettamente controllata dai carabinieri…” (LE MONDE: ' E ORA STAI ATTENTO AL CAFFE' ' – Repubblica — 19 gennaio 1993 )
     
    E giungiamo così al marzo del 93.
    Ecco quanto ci riferisce lo scorso 13 novembre 2010 Salvo Palazzolo su Repubblica:
     
    Un  "appunto"   perviene “al capo di gabinetto del ministro della Giustizia Giovanni Conso. La firma è dell'allora direttore Nicolò Amato. A leggere l'oggetto, in quei 75 fogli c'è solo routine: "Organizzazione e rapporti di lavoro". E invece, a pagina 59, Amato apre un capitolo cruciale: "Revisione dei decreti ministeriali emanati a partire dal luglio '92, sulla base dell'articolo 41 bis". (…) In quell' appunto c' è un' indicazione precisa al Guardasigilli: «Appare giusto ed opportuno rinunciare ora all' uso di questi decreti». Due sono le strade suggerite: «Lasciarli in vigore fino alla scadenza senza rinnovarli, ovvero revocarli subito in blocco. Mi permetterei di esprimere una preferenza per la seconda soluzione». Amato spiega perché: «L' emanazione dei 41 bis era giustificata dalla necessità di dare alla criminalità mafiosa una risposta. Ma non vi è dubbio che la legge configura il ricorso a questi decreti come uno strumento eccezionale e temporaneo». Dietro queste parole non c' è solo un' iniziativa del Dap. È Amato a scriverlo. «In sede di Comitato nazionale per l' ordine e la sicurezza, nella seduta del 12 febbraio, sono state espresse, particolarmente da parte del capo della polizia, riserve sulla eccessiva durezza di siffatto regime penitenziario. Ed anche recentemente – prosegue il direttore – da parte del ministero dell' Interno sono venute pressanti insistenze per la revoca dei decreti applicati agli istituti di Poggiorealee di Secondigliano». Perché il capo della polizia Parisi e il Viminale allora retto da Mancino esprimevano quelle "riserve"? ….
     
    In realtà, qualche ragione dei  suoi auspici, Amato la fornì anche sui giornali dell’epoca:
     
    Infatti spiegava a Repubblica:
     
    …se un boss può liberamente parlare con un parente senza essere ascoltato, se può scrivere e ricevere lettere che non possono essere controllate, beh allora può mandare e ricevere messaggi di ogni tipo senza che a nessuno sia lecito scandalizzarsi. Si stabilisca dunque per legge che il giudice può ordinare l' ascolto dei colloqui dei detenuti più pericolosi, così come può ordinare la censura sulla corrispondenza".
    Il governo ha di recente inasprito le condizioni di carcerazione per i mafiosi. Non è servito?
    "E' stata una risposta giusta alle stragi di mafia. Ma per uscire dall' emergenza occorre separare i narcotrafficanti, i mafiosi e i sequestratori di persona dagli altri detenuti, farli sorvegliare da un numero sufficiente di agenti, allontanare i boss dalle loro zone e ridurre la durata dei processi. Ed è anche necessaria una maggiore collaborazione tra amministrazione pentitenziaria, la magistratura e forze dell' ordine. Senza ciò, non possiamo valutare la pericolosità dei detenuti, e le loro compatibilità o incompatibilità. Dico questo perché mi preme un' efficace risposta carceraria contro la mafia. Ma temo gli effetti delle restrizioni alla legge Gozzini sugli altri detenuti".
    Perché?
    "Ho già detto che ritengo giusto escludere i mafiosi non pentiti dai benefici della riforma. Hanno fatto una scelta lucida, cinica, professionale, valutando rischi e benefici. Ma di fatto da quei benefici sono stati esclusi quasi tutti i detenuti. E non è giusto. Io penso che la riforma penitenziaria, depurata dai suoi eccessi, debba essere risvegliata dal letargo. Perché si tratta di ridare speranza ai detenuti. Se gliela togliamo, dopo essere stato per anni il più avanzato del mondo, il nostro sistema carcerario tornerà ad essere solo il luogo della disperazione e della violenza. E un paese civile non lo può permettere". –  ' ATTENZIONE ALLA BOMBA – CARCERI' di Stefano Marroni –  Repubblica — 14 marzo 1993)
     
    “…Quel che preoccupa di più è la lunghezza dei processi di mafia. "Significa – ha spiegato Amato – che bisogna tenere per mesi i boss nelle prigioni delle loro città vanificando lo sforzo di recidere i loro collegamenti con l' ambiente mafioso". E ha proposto: "Siamo nel Duemila perché non prevedere che, salvo casi particolari, gli imputati partecipino ai processi in collegamento televisivo?". Non si sa se questa proposta, già all' esame del ministero della Giustizia con il "caso Riina", farà parte del "pacchetto di iniziative" che il governo approverà nella prossima riunione del consiglio dei ministri. E' certo comunque che sul tavolo dell' esecutivo c' è il problema di tener fermo il giro di vite contro Cosa Nostra avviato dopo le stragi del 1992. Su questo versante non tutto va per il meglio. Secondo dati dell' amministrazione carceraria, i detenuti negli istituti di massima sicurezza, come Asinara, Pianosa, Voghera, erano 1.262 nel febbraio ' 92, il 3,2 per cento della popolazione carceraria. Sono calati in percentuale al 2,8 per cento – 1.395 – al febbraio ' 93 nonostante la più severa normativa varata nell' estate scorsa. Per questo motivo – per conoscere i problemi e accogliere suggerimenti – che la commissione parlamentare antimafia ascolterà nei primi giorni d' aprile Nicolò Amato. Il direttore degli istituti di pena ribadirà, con ogni probabilità, quanto ha sempre detto in difesa della legge Gozzini, che potrebbe essere una buona soluzione per abbattere il numero dei detenuti. "Ritengo giusto escludere i mafiosi non pentiti dai benefici della riforma – ha sostenuto Nicolò Amato – Ma di fatto da quei benefici sono stati esclusi tutti i detenuti. Io penso che la riforma carceraria, depurata dai suoi eccessi, debba essere risvegliata dal letargo. Perché si tratta di ridare speranza ai detenuti. Se gliela togliamo, dopo essere stato per anni il più avanzato nel mondo, il nostro sistema carcerario tornerà ad essere il luogo della disperazione e della violenza. E un Paese civile non può permetterlo". – (ECCO L' INFERNO DELLE CARCERI ITALIANE di GIUSEPPE D' AVANZO - Repubblica — 20 marzo 1993)
     
    Affermazioni dettate da sincere convinzioni, o prove generali di “trattativa”?
     
    Il gabinetto mediatico-giudiziario, oggi pare non avere dubbi: si tratta della seconda.
     
    Noi invece, comuni mortali, e che non apparteniamo alcun gabinetto, dopo aver letto un po’ di più del passato di questo magistrato, ci permettiamo di dubitare.
     
    Anche perché, tanto per rendere i sospetti ancora più incongruenti, a rimuovere, a poche settimane da quelle dichiarazioni, l’attivissimo funzionario dal posto che occupava da circa 10 anni, fu proprio Nicola Mancino, Ministro dell’interno dell’epoca, e non fu un licenziamento affatto sereno. (…Licenziato dopo dieci anni senza un "grazie", amareggiato nonostante l' innegabile promozione, Nicolò Amato non ha ingoiato il suo siluramento. Soprattutto non manda giù le voci che sono circolate poche ore dopo la sua sostituzione al vertice delle carceri italiane. Compresa quella secondo la quale la sua gestione ipergarantista dei penitenziari avrebbe permesso ai boss detenuti di comunicare con l' esterno a ridosso degli avvenimenti stragistico-mafiosi… –  ' MA IO VOLEVO CARCERI PIU' SEVERE' – Repubblica — 06 giugno 1993 -)
     
    Ma insomma? Ma Mancino ed Amato non dovrebbero essere complici, dalla parte dello Stato, nella trattativa?
     
    Beh, a questo punto, per concludere la nostra modesta ricostruzione di quel turbinoso decennio di attività del magistrato, ricorriamo ad un articolo, questa volta del Corriere della Sera, dove troviamo alcune sorpresine:
     
     Da: “Sul caso Amato scoppia la rissa”  – Corriere della Sera (6 giugno 1993)
     
    “ROMA . Semplice cambio della guardia o siluramento? La sostituzione di Nicolo' Amato con Adalberto Capriotti al vertice della direzione generale degli istituti di prevenzione e pena e' apparsa a molti come un fulmine a ciel sereno. Ma c' e' qualcuno che vede in questa decisione del governo una precisa strategia e fa foschi pronostici sulla reazione dei detenuti. Tiziana Maiolo, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera e candidata sindaco alle elezioni di Milano, attacca il ministro dell' Interno Nicola Mancino e quello che definisce "il suo suggeritore" Luciano Violante, presidente della commissione parlamentare Antimafia. " L' estate delle carceri italiane sara' ancora piu' calda . afferma la Maiolo . dopo l' immotivata destituzione del direttore generale Nicolo' Amato. Il Consiglio dei ministri ha allontanato colui che per 10 anni ha sostenuto in ogni sede il valore delle leggi di riforma, contro le tendenze irresponsabili di chi vuole trasformare ogni prigione in carcere speciale". La deputata, eletta nelle liste di Rifondazione Comunista, afferma che la nomina di Adalberto Capriotti e "il licenziamento in tronco" di Nicolo' Amato e' "in linea con la tendenza controriformatrice" delle leggi degli ultimi due anni e rischia "di aprire una stagione di ingiustizie e di violenza di cui non si sente certo il bisogno". "Una decisione che . continua la Maiolo . nel silenzio del ministro di Giustizia Conso pare direttamente assunta dal ministro degli Interni Mancino e dal suo suggeritore Luciano Violante, in nome di una tesi che qualifica le bombe di Roma e Firenze come mafiose per non voler vedere le responsabilita' dei servizi". Analoga posizione viene espressa dai radicali. "Nel silenzio del ministro della Giustizia . ribadisce Sergio D' Elia . e' stato silurato il massimo artefice di quel carcere della speranza che ha significato umanizzazione delle pene, uscita dal terrorismo di centinaia di persone, fine delle rivolte". "E' l' ultimo atto . aggiunge D' Elia . di almeno due anni di attacchi alla legge penitenziaria ad opera dei ministri dell' Interno e della Giustizia che hanno sempre depistato su carcere e detenuti responsabilita' , inefficienze e complicita' nella emergenza mafia che andavano e vanno ricercate altrove. La scelta di Adalberto Capriotti e del vice Giuseppe Falcone ci riporta indietro di quindici anni: essa appare coerente con la tesi di Mancino che la colpa delle stragi di Roma e Firenze sia della mafia e che i mandanti possano essere mafiosi detenuti a Pianosa e all' Asinara. Si tratta . conclude l' esponente radicale . di una scelta all' insegna della continuita' di stragi impunite, depistaggi, ministri dell' Interno sempre dc. E QUESTA SCELTA HA ANCHE UN OBIETTIVO IMMEDIATO: LA PROROGA, CONTRASTATA DA AMATO, DELL' ARTICOLO 41 BIS (LA SOSPENSIONE DI ALCUNI ISTITUTI DI TRATTAMENTO DEI DETENUTI) ALLA SCADENZA DI UN ANNO DALLA SUA ENTRATA IN VIGORE, CON TUTTE LE CONSEGUENZE DI STRATEGIA DELLA TENSIONE E DEL TERRORE DENTRO E FUORI LE CARCERI".
     
     
    Et voilà, ecco la dimostrazione che gli organi di stampa di oggi, hanno mentito ancora una volta.
     
    L’ostilità di Amato verso il 41bis era tanto frutto di un’idea, quanto ben nota da tempo, altro che segreta e nascosta negli appuntini per il ministro a pag. 59, come ci racconta Palazzolo.
     
    E Amato non era solo: con lui, a condividere,  c’erano, ad esempio, i radicali.
     
    Anche loro complici della “trattativa” fra stato e mafia,  senza dubbio.

     
    • anonimo 17:00 on 19 November 2010 Permalink | Rispondi

      Grande Enrico, lavoro ottimo.

      Al di fuori dell'argomento che tratti, la solita contro informazione per far apparire dei fatti in maniera diversa, approfitto di questo tuo collage per elogiare D'Amato che seguiva con coerenza uno schema che per chi dal 75 voleva che il regime carcerario fosse un sistema rieducativo.

      Peccato che anche oggi le carceri siano tutto meno che quello che stava nello spirito della riforma del 75. Il populismo e l'ignoranza portano il cittadino comune a non comprendere che con il giustizialismo esasperato siamo noi comuni mortali, oltre ai detenuti, a pagare il prezzo più alto, visto che dalle case circondariali Italiane escono spesso delle belve incazzate senza futuro e non cittadini pronti per essere riammessi in un circuito di legalità, dopo aver pagato il proprio prezzo con la giustizia.

      Gianluca

    • anonimo 19:38 on 23 November 2010 Permalink | Rispondi

      A me pare che l'indizio di trattativa stia piuttosto nella revoca del 41bis decisa dal ministro Conso del governo Ciampi.nopr

    • enrix007 22:58 on 23 November 2010 Permalink | Rispondi

      Si anonimo, ma per parlarne bisogna prima provare che ci sia stata ua trattativa.

      Io, per il momento, intorno a questa "trattativa", vedo solo grandi menzogne, il che per me rappresenta, al contrario, un indizio bello grosso della sua inesistenza.

    • anonimo 18:41 on 29 November 2010 Permalink | Rispondi

      Ciao Enrico,
      ciò che stavolta hai "cannato" è che non hai le prove per dimostrare che i senatori IDV hanno votato come pure io PRESUMO abbiano votato, il punto è tutto lì.
      Solo che tu e costa lo scrivete come fosse certo al 100%
      Non mi sarei però aspettato da te un "infantile domanda": ti brucia essere preso in castagna?
      Succede di fare errori, anche a te.
      Sappiamo perfettamente che è più che improbabile ciò che afferma Travaglio, il quale però SA BENE che non c'è il video, lo conferma nella risposta che mi ha dato.
      Però ci sono altre 2 cose:
      1. c'erano scolaresche, magari un altro filmato c'è
      2. mastella l'ha querelato, per cui non finisce qui.

      Ciao
      Renzo C

      cancella pure l' OT e se ne hai voglia ringrazia costa, visto che fa il bulletto inforNatico, ma i suoi filtri li ho superati più volte, però cancella le prove, un vero bambinetto pusillanime

    • enrix007 10:24 on 30 November 2010 Permalink | Rispondi

      Ma no che non ti cancello, caro Renzo.

      E perchè dovrei?

      Semplicemente perchè scrivi che io ho cannato?

      E in cosa avrei cannato?

      Io ho scritto le cose come stanno.

      Lo so che tu vorresti la dimostrazione oggettiva di cosa han fatto quelle braccia, e quasi quasi mi sta venendo voglia di cercarla.

      Ma sta di fatto che, in assenza di ulteriori prove, da un lato c'è l'affermazione di Travaglio (scritta chiaramente non per chi va a leggere i verbali del senato, ma per chi non ci pensa nemmeno di farlo), e dall'altro c'è il verbale di seduta, ove Li Gotti, un minuto e mezzo prima dell'alzata di mano, fa la dichiarazione di voto, in aula:

      "La deliberazione della Giunta e` dunque ineccepibile e per questo
      annuncia il voto favorevole del Gruppo."

      Vedi, è Travagio che si arrampica, non io. Perchè la posizione ufficiale del suo partito è quella lì, quella lasciata a verbale dal suo portavoce.

      Se poi qualcuno ha tenuto giù il braccino (ma sono certo, come te, che non è così), direi che, oltre che bizzarro, è soprattutto irrilevante.

      Anche quando scrive "ho verificato", è sempre più ridicolo.

      Che cazzo ha verificato?

      Diciamo meglio che io e te sappiamo che quel verificato si potrebbe tradurre "ho fatto qualche telefonata per pararmi il culo".

      Io non sono un giudice o un poliziotto, Renzo, esprimo solo le mie opinini.

    • anonimo 14:49 on 30 November 2010 Permalink | Rispondi

      Caro Enrico,
      visto che non ti dispiace, proseguo nel OT.

      Torniamo ai fatti
      Né tu né Travaglio avete la prova di voto.
      Personalmente sai come la penso, anche se il mio parere vale zero.
      Ma Travaglio ha scritto ciò che non doveva, nella seconda risposta, il chè dimostra una certa inquietudine e, come al solito, impreparazione tecnica.
      Ovvio che sia in agitazione, il mastellone ceppalonico lo ha querelato :)
      Come andrà il processo non possiamo prevederlo, però potremmo provare ad istruirlo.
      Come? Sulla base di questa tua frase che mi piace assai: "Lo so che tu vorresti la dimostrazione oggettiva di cosa han fatto quelle braccia, e quasi quasi mi sta venendo voglia di cercarla."
      Dici sul serio?
      Perchè allora ti posso fornire qualche spunto interessante.

      Fammi sapere

      Ciao

      Renzo C

      perchè lo faccio? perchè le balle mi stanno sulle balle, così come la propaganda politica "mascherata"

    • enrix007 23:19 on 30 November 2010 Permalink | Rispondi

      Spara pure gli spunti.

      intanto io mi sono già mosso.

      Se mancano le prove documentali, si passa alle testimoniali.

    • anonimo 10:59 on 1 December 2010 Permalink | Rispondi

      Dunque Enrico, le prove testimoniali per me saranno fuffa: IDV dirà (forse) ha ragione Travaglio, gli altri il contrario.
      MA
      Il video c'è :)
      O forse c'era.
      E ti spiego: rivedendo il filmato ufficiale sul sito del senato, posso affermare quasi al 100% che ci siano almeno 4 telecamere in funzione, infatti il video è prodotto da REGIA (ricordi niente?), non c'è una sola telecamera.
      Se io fossi il regista, metterei una fissa sul presidente, 2 sull' emiciclo (una non basta) e una "personalizata"; così direi che è sufficiente per scegliere poi cosa montare dopo.
      Quindi, e qui non ti posso aiutare, i filmati ci sono, a meno che riutilizzino le cassette se è analogico, o cancellino i files se digitale.
      Sinceramente non me lo aspetto che buttino o riutilizzino (paghiamo noi, che gli frega) e forse anzi sono da conservare.
      Chi può saperlo e metterci mano? Io no, sorry :)

      Altra ipotesi.
      Erano presenti una o due scolaresche, sai mai che abbiano filmato qualcosa coi cellulari o telecamerine, vista l'occasione di essere al senato?
      Chi sono le scolaresche lo trovi nel pdf del resoconto.

      Ciao

      Renzo C

    • anonimo 19:39 on 5 December 2010 Permalink | Rispondi

      Trovato niente Enrico?
      Perchè Travaglio ha riproposto l'articolo in home sul FQ e come al solito i pro IDV se la bevono

      Ciao

      Renzo C

    • enrix007 23:03 on 5 December 2010 Permalink | Rispondi

      Caro Renzo, le indagini sono in corso e nei prossimi due giorni potrebbero esserci novità. A me le cose piace definirle.

    • anonimo 00:35 on 6 December 2010 Permalink | Rispondi

      Ottimo!
      Quando sai qualcosa farai un post qui, spero, e se sei d'accordo lo incollerei sul FQ, lo spam lo faccio io :D
      Hanno messo una protezione per evitare che si incollino i testi che fa capire quanto sono dei babbei informatici, si aggira come e quando si vuole.

      Non male anche le ultime del cianciarone, va in giro senza scorta, ma non aveva tanta paura?
      E va proprio a casa di uno in odore di 'ndrangheta, senza la scorta: che sappia che la scorta oltre a proteggerlo (muahhhh) prende nota di dove va e quando?

      Ciao

      Renzo C

    • anonimo 16:37 on 10 December 2010 Permalink | Rispondi

      No news?

      Ciao

      Renzo C

    • enrix007 21:15 on 14 December 2010 Permalink | Rispondi

      Renzo, dammi, appena puoi, un tuo indirizzo mail personale.

    • Renzo_C 14:47 on 20 December 2010 Permalink | Rispondi

      Ciao Enrico,
      ho utilizzato l'interfaccia "contattami" di questo blog qualche giorno fa: è arrivato il messaggio con la mia mailbox?
      Mi sono pure dovuto iscrivere a Splinder per utilizzarla, spero sia arrivato.

      Ciao

      Renzo C

      p.s. ci sarebbe anche un' altra faccenda sul FQ assai gustosa, non fosse altro perchè mi censurano il commento a ripetizione :D

    • anonimo 21:49 on 26 January 2011 Permalink | Rispondi

       "Ritengo giusto escludere i mafiosi non pentiti dai benefici della riforma – ha sostenuto Nicolò Amato – Ma di fatto da quei benefici sono stati esclusi tutti i detenuti. Io penso che la riforma carceraria, depurata dai suoi eccessi, debba essere risvegliata dal letargo. Perché si tratta di ridare speranza ai detenuti. Se gliela togliamo, dopo essere stato per anni il più avanzato nel mondo, il nostro sistema carcerario tornerà ad essere il luogo della disperazione e della violenza. E un Paese civile non può permetterlo".

      qui è contenuta la motivazione, secondo me, che ha portato al siluramento di Nicolò Amato. Egli concepiva il 41/bis in funzione rierucativa perchè riteneva giusto APPLICARLO solo ai mafiosi NON PENTITI. Cioè concepiva un 41bis che favorisse il pentitismo. Fatto che certo non favoriva la trattativa dello stato con la mafia stragista, essendo questa assolutamente contraria, per ovvii motivi, ad ogni iniziativa che favorisse il pentitismo.
      La sua rimozione segna l'inizio della trattativa che comincia a materializzarsi con la sostpèensione del 41bis da parte del ministro Conso

  • Avatar di enrix

    enrix 18:57 on 27 March 2010 Permalink | Rispondi
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    Perché considero inattendibile Massimo Ciancimino 

    Perchè considero inattendibile Massimo Ciancimino

    di Sebastiano Gulisano

    Mi sarebbe piaciuto assistere alle udienze del processo Mori-Obinu, all’inizio di febbraio, per osservare le facce dei protagonisti, scrutarne le espressioni mano a mano che procedeva il racconto del «teste assistito» Massimo Ciancimino sulla trattativa Stato-mafia dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992 e prima della strage di via d’Amelio. Avrei voluto scrutarne gli sguardi, le espressioni, le smorfie, i gesti e, attraverso essi, tentare di interpretare i pensieri di ciascuno di loro. A pensarci bene,  non mi sarebbe nemmeno bastato esserci: mi ci sarebbero volute un bel po’ di telecamere, almeno una per ogni protagonista e una sala di regia da dove osservare. In quell’aula di Tribunale, però, non c’ero, né ho visto filmati di quel dibattimento, di quelle udienze; ho solo ascoltato le registrazioni di Radio Radicale delle tre giornate in cui Ciancimino ha raccontato la sua verità. In precedenza, avevo letto tutti i verbali depositati dai pm agli atti del processo Mori-Obinu, scaricati dalla rete tramite il sito Censurati.it. Sulla vicenda, inoltre, conoscevo la progressione delle dichiarazioni di Giovanni Brusca dal 1996 in poi, le testimonianze degli ex ufficiali del Ros dei carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno al processo di Firenze sulle stragi del 1993, la versione ufficiale di don Vito Ciancimino che sostanzialmente coincide con quella dei carabinieri: la trattativa sarebbe iniziata dopo le stragi siciliane, alla fine di agosto. Senza contare le innumerevoli cronache giornalistiche che, negli anni, hanno trattato l’argomento. Insomma: pensavo di saperne qualcosa e mi ero anche formato qualche idea.
    Dopo le dichiarazioni di Ciancimino jr, specie dopo la sua testimonianza in Tribunale nei giorni 1, 2 e 8 febbraio 2010, non so più nulla. O quasi.

    Nelle ultime settimane ho riletto tutti i verbali del figlio di don Vito e ascoltato più volte attentamente le sue parole al processo Mori-Obinu: l’unica cosa che mi è chiara è che Massimo Ciancimino ha studiato male, talmente male da riuscire a contraddirsi persino sulle vicende di cui è stato protagonista diretto. Figurarsi su ciò che gli avrebbe raccontato il defunto don Vito.
    Complessivamente, il racconto del «testimone assistito» è verosimile. Verosimile non vuol dire vero, ma raccontato in maniera tale che possa sembrarlo. Specie se non si hanno elementi di paragone. Il fatto è che se si mettono a confronto le cose che Ciancimino racconta ai pm in due anni di collaborazione (già in parte contraddittorie, ma in qualche modo giustificabili) con quelle che racconta nell’aula del processo Mori-Obinu la sua attendibilità va a farsi friggere. Non perché dica cose false (non sono in condizione di saperlo), ma perché in più occasioni afferma cose radicalmente diverse rispetto a quelle dichiarate ai pm: nella migliore delle ipotesi, ha problemi di memoria. Problemi seri. So che un Tribunale, in relazione a determinati fatti palermitani degli anni Ottanta, lo ha ritenuto attendibile, ma so anche che quella patente di attendibilità non rende né vero né attendibile tutto ciò che dice Massimo Ciancimino.
    Faccio qualche esempio così risulta chiaro ciò che intendo.

    Dall’interrogatorio del 7 aprile 2008 davanti ai pm palermitani Nino Di Matteo (PM) e Antonio Ingroia (PM1):

    «CIANCIMINO: De Donno (…) L’ho incontrato subito dopo l’omicidio del dottor Giovanni FALCONE in una… sul volo Palermo – Roma. In quell’occasione siamo riusciti, parlando con la hostess, a farci assegnare un posto accanto… (…) …mi ricordo proprio il periodo, è stato una settimana dopo, 10 giorni dopo (la strage di Capaci, ndr). (…) l’incontro con DE DONNO è avvenuto circa 10 – 15 giorni dopo… (…)
    CIANCIMINO: Ci siamo messi accanto e lui mi ha detto: ma secondo lei… inizialmente mi chiese soltanto se…
    P.M.1: Volo Palermo – Roma, giusto?
    CIANCIMINO: Palermo – Roma… se mio padre avesse avuto mai intenzione di farsi una chiacchierata con lui. Il primo contatto tra me e DE DONNO dice: ma secondo me tuo papà mi ricever… sarebbe disposto a ricevere me e casomai qualche altro per farsi una chiacchierata? (…) non mi ricordo ovviamente se mi parlò di collega o superiore. Ho parlato con mio padre di questo, più di una volta… premesso, il dottor DE DONNOmi lasciò un recapito telefonico dove trovarlo ed era un numero di una utenza telefonica mobile.
    P.M.1: Quindi lei riferendo a suo padre…
    CIANCIMINO: Esatto, mio papà disse di chiamarlo, mi disse: vabbè chiamalo e chiedi al Capitano DE DONNO quale dovrebbe essere l’argomento della discussione. Chiamai il Capitano DE DONNO e mi ricordo che in quell’occasione lo incontrai a Palermo, ci incontrammo di fuori della Caserma quella diciamo che purtroppo ho conosciuto pure io, Caserma Carini, quella che c’è qua dietro al Politeama…»

    Al processo Mori-Obinu, l’1 febbraio 2010, l’incontro con De Donno non avviene più a Punta Raisi ma a Fiumicino, il volo è Roma-Palermo e il primo appuntamento con De Donno non è più a Palermo, vicino alla caserma Carini, ma a Roma, ai Parioli.

    Che la cosiddetta trattativa cominci con un incontro più o meno casuale in aeroporto, fine maggio-primi di giugno, è un fatto noto da 15 anni, raccontato dallo stesso De Donno, che lo ha sempre collocato sul Palermo-Roma, come il primo Ciancimino. Da dove salti fuori la seconda versione non è dato sapere: il pm Di Matteo non ha fatto nulla per indurlo a ricordare meglio; la difesa di Mori non glielo ha stranamente contestato.

    Durante l’interrogatorio del 20 novembre del 2009 (condotto da ben 6 pm di Palermo e Caltanissetta) a Ciancimino viene chiesto di spiegare il contenuto di un “pizzino” che lo stesso ha consegnato ai magistrati, una lettera dattiloscritta indirizzata da Provenzano a don Vito, ritirata personalmente da Massimo:

    «P.M.: Carissimo ingegnere, ho ricevuto la notizia che ha ritirato la ricetta dal caro dottore… ascolti bene, non…
    CIANCIMINO: Sì, sì.
    P.M.: credo che è il momento che tutti facciamo uno sforzo, come già ci eravamo parlati al nostro ultimo incontro, il nostro amico è molto pressato, speriamo che la risposta ci arrivi per tempo, se ci fosse il tempo per parlarne noi due insieme. Io so che è buona usanza in lei andare al Cimitero per il compleanno del padre suo, si ricorda, me ne parlò… me ne parlo lei, potremo vederrci con due erre… per rivolgere insieme una preghiera a Dio o come l’altra volta, per comodità sua, da nostro amico OMISSIS. Bisogna saperlo, perché a noi ci vuole tempo per organizzarci».

    Dunque: nel racconto di Massimo Ciancimino il «Carissimo ingegnere» è il padre, la «ricetta» è il papello, il «caro dottore» è Antonino Cinà (che avrebbe consegnato il papello a Massimo il 29 giugno 1992, giorno di S. Pietro – a Roma è festa e lui aveva programmato una gita a Panarea ma ha dovuto rinunciare); «la risposta» che aspettano «per tempo» sarebbe quella delle istituzioni alle richieste contenute nel papello; il «nostro amico» è Totò Riina, «molto pressato» da un soggetto esterno a Cosa Nostra («il grande architetto» lo chiama Ciancimino padre) che vuole continuare la strategia stragista; il «Cimitero» è quello dei Cappuccini, a Palermo; il «compleanno del padre suo» ricorreva il 12 luglio.
    Secondo il racconto che Ciancimino jr fa ai magistrati il 20 novembre – lo sintetizzo perché è lungo una decina di pagine –, il pizzino, in busta chiusa, gli sarebbe stato consegnato da persone vicine a Provenzano «alla fine di giugno del 1992» e da lui portato al padre, senza leggerlo; il contenuto gli sarebbe stato riferito successivamente dallo stesso don Vito. Massimo è certo del periodo perché ricorda che il «padre era venuto a Palermo per incontrare il Lo Verde», alias Provenzano, e che l’incontro «è avvenuto in una giornata di mercoledì (…) di fine giugno 1992».
    Al processo, il 2 febbraio, il ritiro della busta, spostato da «fine giugno» ai «primi di luglio» del ’92, avviene in seguito alla consegna a Provenzano, la mattina dello stesso giorno, di un’altra busta «proveniente da Roma» (da don Vito) di cui prima sostiene di non conoscere il contenuto ma, poco dopo, per spiegare in cosa consistesse lo «sforzo» da fare, cambia idea e dichiara che «mio padre mi dice che nella lettera che aveva mandato a Provenzano lamenta come queste situazioni, queste richieste del Riina erano inattuabili, quindi viene chiesto a mio padre di fare quell’ulteriore sforzo che viene identificato da mio padre, me lo dice lui, in quella specie di contropapello: cercare dei punti di convergenza per andare avanti nella trattativa, in quanto lo stesso mio padre aveva definito non attuabile il tutto».
    Nell’analisi del passaggio successivo la divaricazione con le dichiarazioni rese ai pm di Palermo e Caltanissetta si fa evidente, ché quando c’è da interpretare la speranza «che la risposta ci arrivi per tempo se ci fosse il tempo di parlarne noi due insieme», succede il patatrac:

    Pm Ingroia: «A che risposta si riferisce Provenzano?»
    Ciancimino: «Alla possibilità di avanzare il contropapello di mio padre come condizione su cui continuare questa trattativa».
    Ingroia: «Non ho capito. La risposta di chi a chi. Provenzano di quale risposta parla?»
    Ciancimino: «La risposta di mio padre. Mio padre doveva fornire un tipo di documentazione su cui aprire questa eventuale altra possibilità di trattare con questi soggetti e sollecita un incontro a tal proposito fra i due che poi di fatto avviene».
    Ingroia: «Cioè una risposta che doveva dare suo padre?»
    Ciancimino: «In merito a quella che era la sottoposizione di questo elenco di…»
    Siccome la cosa sembra volgere al peggio, il pm Ingroia, come si dice dalle mie parti,  c’a cala cca cucchiaredda, cioè lo imbocca:
    Ingroia: «Sebbene sia un italiano approssimativo, però la frase dice: “speriamo che la risposta CI arrivi per tempo”, cioè “ci” significa “a noi”, “noi” sono i due interlocutori del colloquio, cioè Provenzano e Ciancimino. Quindi, dalla lettura di questa frase, sembra che ci sia una terza persona, diversa da Provenzano e Ciancimino…»
    Ciancimino: «Sono i carabinieri, ovviamente».
    Ingroia: «Non lo so».
    Ciancimino: «Sono i carabinieri e il signor Franco che devono…»
    Ingroia: «Non lo so… Una persona diversa deve dare una risposta».
    Ciancimino: «…una risposta ad andare avanti in un minimo di trattativa».
    La strategia ha funzionato e, dunque, il pm Ingroia continua: «Questo bigliettino consegnato a suo padre è successivo alla consegna del cosiddetto papello?»
    Ciancimino: «Si. Il papello è stato ritirato, la ricetta…».
    Ingroia: «E quindi, la domanda è… Presidente, richiamo la sua attenzione per evitare che poi mi si dica che faccio domande suggestive, quindi valuterà lei se è tale. La domanda è: la risposta contenuta nel pizzino è la risposta che ci si aspettava dal papello che era stato inoltrato?»
    Ciancimino: «Sì, la risposta in merito se c’erano margini di discussioni in merito al papello, ché Provenzano non aveva accesso diretto coi carabinieri, ché mio padre…»
    Ingroia: «Benissimo. E allora: quando Provenzano dice a Ciancimino “la risposta ci arrivi per tempo”, “per tempo” rispetto a cosa o a quale eventuale evento si riferisce Provenzano in questo pizzino?»
    Ciancimino: «Eventuale…»
    Non lo lascia finire e lo incalza: Ingroia: «C’è un riferimento alla pressione cui era sottoposto Riina?»
    Ciancimino: «Sì, il riferimento è chiaro. Mi dice mio padre “Ci arrivi per tempo” perché Riina aveva indicato uno spazio temporale entro il quale si doveva rispondere o sì o no a quelle che erano le sue richieste avanzate in quel documento perché sennò sarebbe dovuto andare avanti in quello che era il suo piano iniziale, di proseguire con le stragi».
    Potrebbe fermarsi qui, Ingroia, ché la situazione l’ha recuperata brillantemente, ma non gli basta, vuole chiudere il cerchio e rendere plausibili le prime strampalate risposte di Ciancimino.
    Ingroia: «E questo perché – lo ha già detto nella prima parte dell’esame condotto dal collega – Provenzano era andato da Riina per cercare di convincerlo a frenare, ad abbassare le richieste, no?»
    Ciancimino: «Sì. Analizzare una controproposta che avrebbe avanzato mio padre, che di fatto non si distaccava molto da quelle che erano le sue 12 richieste ma le rendeva presentabili a quelli che dovevano essere i possibili interlocutori».

    Un capolavoro, quello di Ingroia: riesce a recuperare una situazione disperata inserendo nell’ultima domanda un elemento di cui non ho trovato traccia nella prima parte dell’esame condotto dal pm Di Matteo (spero che altri la trovino e mi smentiscano): se non sono diventato sordo selettivo, Ciancimino non aveva mai detto (nemmeno negli interrogatori depositati dai ai pubblici ministeri di Palermo e Caltanissetta) che dopo la consegna del papello «Provenzano era andato da Riina per cercare di convincerlo a frenare, ad abbassare le richieste». Ritengo che quello del pm sia un errore riconducibile all’estenuante lunghezza e alla complessità degli interrogatori. Solo in due occasioni, le risposte di Ciancimino alle domande dei pm si erano vagamente avvicinate a quella affermazione: nell’interrogatorio del 19 ottobre 2009, il figlio di don Vito aveva riferito che, dopo avere ricevuto il papello, il padre aveva insistito con Provenzano e con il signor Franco per cercare una mediazione e Provenzano gli aveva risposto che «se si fosse presentato qualcosa di attuabile lui si sarebbe adoperato» per convincere Riina ad accettare; mentre il successivo 20 novembre, commentando il pizzino della “ricetta”, al pm che gli chiedeva se sapesse se Provenzano avesse già parlato del papello con suo padre e con Riina, Ciancimino aveva risposto: «Con tutti e due, io credo che mio padre… cioè io credo… mio padre mi dice che è Provenzanoche deve convincere Riina a discutere e a capire… perché mio padre non parla con Riina».
    Nemmeno stavolta la difesa del generale Mori si avvede dell’errore. Anche per loro, vale la stessa attenuante di Ingroia. D’altronde, non se ne sono accorti nemmeno i giudici.
    È decisamente più facile starsene seduto davanti a un computer e scovare questi dettagli avendo quasi due mesi a disposizione, con verbali da leggere e rileggere fino allo sfinimento e file mp3 da ascoltare e riascoltare a piacimento.
    Al di là di chi se n’è accorto e chi no, a prescindere dal possibile errore commesso da Ingroia, risulta evidente come Ciancimino non ricordi assolutamente l’originaria interpretazione da lui data di quel pizzino. E siccome ciò che sa glielo ha detto suo padre, in assenza di don Vito e di qualsivoglia elemento di riscontro, non possiamo sapere ciò che il padre gli ha detto.
    Visto che ci siamo, voglio precisare che dell’inversione della rotta aerea e del cambio di città del primo incontro fra Massimo Ciancimino e De Donno mi sono accorto al primo ascolto, ché la mia memoria non è ancora da buttare. È plausibile che i giudici non abbiano rilevato la discrepanza, ché non sono tenuti a conoscere tutti i verbali di Ciancimino; è sorprendente che non se ne siano accorti Mori e i suoi legali; ritengo che il pm De Matteo, che conduceva l’esame, se ne sia accorto e abbia sorvolato.

    I due episodi narrati non intendono sindacare la buona fede di Massimo Ciancimino e la genuinità della sua collaborazione con la giustizia, ma – lo ribadisco – rilevano come la sua memoria sia un colabrodo e, dunque, la sua attendibilità prossima allo zero.

    C’è da precisare come in due anni di interrogatori – quantomeno in quelli pubblici – Ciancimino non avesse mai riferito ai magistrati che «Riina aveva indicato uno spazio temporale entro il quale si doveva rispondere o sì o no a quelle che erano le sue richieste». Ma, di fronte a tale novità, non gli viene chiesto a quanto ammontasse tale «spazio temporale», sebbene i tempi, le date in questa vicenda siano importanti tanto quanto i contenuti (a prescindere dalle numerose contraddizioni) della narrazione.  Un particolare, questo dello «spazio temporale» tutt’altro che secondario: l’assunto di tutta questa storia è che la trattativa avrebbe convinto Totò Riina che «lo stragismo paga» e, di conseguenza, avrebbe accelerato l’attuazione della strage di via D’Amelio. In tale contesto, dunque, sapere se lo «spazio temporale» si fosse o meno esaurito ci consentirebbe di sapere se l’assunto è reale oppure se la strage di via D’Amelio è avvenuta dopo la fine dello «spazio temporale» e, quindi, la trattativa non avrebbe accelerato un bel niente ma, al contrario, avrebbe attenuato le «pressioni» esterne procrastinando l’attuazione della strage. Di conseguenza, la trattativa non potrebbe rientrare manco di striscio fra i possibili moventi dell’eliminazione del procuratore Paolo Borsellino.

    Una ulteriore precisazione: il signor Franco, detto anche signor Carlo, secondo il racconto di Massimo Ciancimino sarebbe un personaggio delle istituzioni, legato ad ambienti dei servizi segreti, tuttora non identificato. Di lui sappiamo che è in relazione con don Vito fin dal tempo in cui il ministro dell’Interno era Restivo (1968-1972) e che nella trattativa è consigliere dell’ex sindaco fin dal primissimo momento. Anzi: don Vito accetta di incontrare i carabinieri solo dopo che Provenzano e il signor Franco gli hanno consigliato di farlo. È il signor Franco, secondo Ciancimino jr, a rivelare a don Vito che dietro i carabinieri c’erano «il ministro Rognoni e il ministro Mancino».

    Vediamole, dunque, queste date, così come emergono dalle dichiarazioni dibattimentali.

    Il 27-29 giugno del 1992 Massimo riceve la busta contenente il papello dal dottor Cinà, a Palermo, «e la porto subito a mio padre a Roma». Dopo la consegna, il padre lo esorta a telefonare a De Donno per fissare un appuntamento con lui e Mori e, dopo, di fare lo stesso col signor Franco. Inoltre, il padre «informa subito Provenzano» delle richieste «inaccettabili e impresentabili» fattegli recapitare da Riina «e viene invitato a cercare punti di mediazione», a elaborare una proposta «credibile e presentabile». Non è chiaro quando avvengano gli incontri coi carabinieri e col signor Franco, né cosa intenda Ciancimino quando dice che suo padre informa «subito» Provenzano. Non facciamo ipotesi e facciamo finta che lui, in precedenza, su questa punto non abbia detto nulla (ché in realtà ha cambiato versione svariate volte) e, dunque, nulla sappiamo.
    Tra la fine di giugno e i primi di luglio Massimo è di nuovo a Palermo per consegnare una busta con un messaggio del padre a Provenzano e, nel pomeriggio dello stesso giorno, ritira da emissari del boss latitante una busta contenente il pizzino in cui si parla della «ricetta». Di tale collocazione temporale Ciancimino, nell’interrogatorio del 20 novembre 2009, si dichiara certo perché ricorda che il «padre era venuto a Palermo per incontrare il Lo Verde», alias Provenzano, e che l’incontro «è avvenuto in una giornata di mercoledì di fine giugno 1992». Il 30 giugno era martedì, dunque il padre e Provenzano si sarebbero visti il 24 giugno (ultimo mercoledì del mese) o il primo luglio. Se l’incontro fosse avvenuto il primo luglio non avrebbe senso che contestualmente i due usassero Massimo come postino per scambiarsi pizzini in cui si parla di «ricetta» – ne avrebbero discusso di persona –, collochiamo perciò l’appuntamento alla data del 24 giugno. Ma non è importante, ché nel processo tale dettaglio non è entrato.
    L’altra data certa è quella del 12 luglio, compleanno del defunto padre di don Vito e occasione (vedi pizzino) per incontrare Provenzano e parlare di papelli e contropapelli. Sempre il 12 luglio, inoltre, don Vito incontra nella sua casa dell’Addaura il signor Franco e gli mostra il papello (o gli viene restituito, avendoglielo egli dato in precedenza). Alla fine dell’incontro, don Vito conserva il foglio nella tasca della giacca e commenta che Riina è «il solito testa di minchia» e che le sue richieste sono «inaccettabili e irricevibili». Massimo ha assistito alla scena e ha sentito con le proprie orecchie il padre pronunciare quelle parole, quindi non c’è da dubitare che ciò sia avvenuto.
    Non sappiamo quanto tempo abbia concesso Riina, ma sappiamo che due settimane dopo la consegna del papello Vito Ciancimino incontra, nel corso della stessa giornata, Provenzano e il signor Franco: col primo parla del contropapello; col secondo del papello e s’inalbera per il contenuto. Sappiamo anche che, stando all’interpretazione dibattimentale del testo del pizzino, ai «primi di luglio» Provenzano e don Vito erano in attesa della «risposta» dei carabinieri e del signor Franco. Non è chiaro come mai, se all’inizio del mese aspettavano la risposta dell’uomo dei Servizi, il 12 luglio li troviamo a Mondello ancora col papello in mano. Anche perché – altra cosa che sappiamo – Provenzano aveva cortesemente pregato don Vito di fare un piccolo sforzo e di elaborare un «contropapello» che «non si distaccava molto dalle richieste di Riina, ma le rendeva accettabili». Dunque, alla data del 12 luglio abbiamo don Vito che parla ancora di papello col signor Franco e di contropapello con Provenzano; non sappiamo se è arrivata la risposta dei carabinieri e dei loro politici di riferimento. Intanto Riina aspetta una qualche risposta, mentre «il grande architetto» continua a esercitare pressioni su di lui, «riempiendogli la testa di minchiate» per fargli continuare la strategia stragista.
    Per inciso: che il papello sia stato consegnato ai carabinieri lo sappiamo anche dal fatto che agli atti del processo, fra i documenti depositati, provenienti dall’archivio dell’ex sindaco e consegnati dal figlio ai magistrati di Palermo, c’è una fotocopia delle 12 richieste di Riina in cui c’è scritto – dalla mano di don Vito, ha giurato Massimo – che è stato «consegnato spontaneamente al colonnello dei carabinieri Mario Mori del Ros». La scritta è stata vergata su un post-it e incollato al papello, ma siccome agli atti del dibattimento c’è una fotocopia bisogna specificarlo.

    Domande.
    Se Vito Ciancimino considerava le 12 richieste contenute nel papello «irricevibili e impresentabili» e si è dato così tanto da fare per convincere Provenzano e il signor Franco a dargli il tempo di elaborare un «contropapello», perché ha consegnato a Mori il foglio ricevuto da Riina tramite Cinà?
    Lo ha forse fatto all’insaputa di Provenzano e del signor Franco?
    Se a Mori è stato consegnato il papello con le proposte «irricevibili e impresentabili», a cosa serviva il «contropapello» di don Vito che «non si distaccava molto dalle richieste di Riina, ma le rendeva accettabili»?
    Non sarebbe stato più sensato attendere la definizione delle richieste da includere nel «contropapello» e consegnare quest’ultimo ai carabinieri?
    È mai possibile che né Ciancimino, né il signor Franco, né Provenzano abbiano pensato a tale eventualità?
    E se qualcuno di loro ci ha pensato, lo ha esternato agli altri?
    E se lo ha fatto, come mai la proposta è stata bocciata?

    In chiusura, diamo una sbirciata alle presunte proposte «accettabili» (anch’esse agli atti del processo): fra l’altro, don Vito aveva sostituito l’assurda pretesa di revocare il 41 bis (il carcere duro per i mafiosi) con la più sensata richiesta di abolire il 416 bis (il reato di associazione mafiosa); mentre al posto dell’improponibile soppressione della tassa sui carburanti, in modo che i siciliani potessero spendere quanto quelli della Val d’Aosta, era stato introdotta la più ragionevole pretesa di abolizione del monopolio di Stato sui tabacchi, per le felicità di tutte le organizzazioni criminali – Cosa Nostra inclusa – che da circa mezzo secolo prosperavano sul traffico illegale di tabacchi possibile grazie all’esistenza del monopolio.
    Ignoro cosa pensassero il signor Franco e il ragionier Lo Verde (alias Provenzano) di cotanto geniale «contropapello», ma non dispero che prima o poi possa saltare fuori qualche pizzino a colmare la mia lacuna.

    estratto dal blog "Il vizio della memoria":
    http://ilviziodellamemoria.splinder.com/post/22453125/Perch%C3%A9+considero+inattendibil

     
    • anonimo 13:57 on 6 April 2010 Permalink | Rispondi

      Perche' assomiglia a Bugs Bunny?Maury

    • Sympatros 22:55 on 10 April 2010 Permalink | Rispondi

      E' da tempo che non seguo il Segugio, come vanno le cose… i vari scoop hanno inciso nelle tormentate vicende…. intervista Borsellino…. processo dell'Utri… processo Mori? Hanno avuto il meritato successo? Sono state prese in considerazione dalla difesa di Mori e Dell'Utri? Certo se non l'hanno fatto sono dei veri tonti… ma come si può..come si può…. una difesa geniale servita su un piatto d'argento? Insomma come stanno le cose, ragguagliatemi!Una lettura di Segugio al mese e non al giorno leva il medico di torno!Ciao, Enrix, hai finito di scoopare?

    • anonimo 15:10 on 11 April 2010 Permalink | Rispondi

      Oltre a un'intervista di Facci a Ciuro oggi in prima pagina su Libero, segnalo un servizio del Giornale nelle pagine interne sull'articolo di Paradisi di Liberoreporter dello scorso bimestre.Cordialita'Luigi

    • anonimo 09:43 on 12 April 2010 Permalink | Rispondi

    • anonimo 02:16 on 11 May 2010 Permalink | Rispondi

      Egr. Enrix,mi perdoni il mezzo OT, ma volevo segnalarti il passaparola di oggi, a mio modesto parere è imperdibile.Ormai ha troppo da fare (promozione=vendere) e prende per oro colato le mirabolanti inchieste di Bolzoni, sì quello delle 3 cassaforti :D SalutiRenzo C

    • anonimo 15:43 on 20 May 2010 Permalink | Rispondi

      non postate più news??

    • anonimo 21:46 on 18 June 2010 Permalink | Rispondi

      complimenti!!!! non ti fermare. so che hai ragione perche'vivo il contesto in"prossimita'" . avrai successo perche' ti muovi con logica ed onesta'.ad maiora!!!   Drago

    • enrix007 00:28 on 19 June 2010 Permalink | Rispondi

      Grazie, Drago.

  • Avatar di enrix

    enrix 02:44 on 23 November 2009 Permalink | Rispondi
    Tags: , , , , , , , , , , , , , nicola mancino, , , , , , ,   

    I manoscritti sulla "trattativa" tra stato e mafia 

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    1) Premessa

    Prima di partire con la prima puntata del nostro telefilm, debbo fare una precisazione   doverosa.

    Quando per carburare il Truman Show si da il via ad una campagna mediatica, non è detto che tutti coloro che vi partecipano facciano parte della regia.

    Molti giornalisti, magistrati, politici, ecc…ecc… partecipano alla messa in onda del “rumor” , vale a dire quel suono, quel vociare che parte nel giornale del mattino e si conclude con le serate televisive, a volte persino inconsapevolmente, e vale a dire semplicemente ripetendo o facendo da eco alla colonna sonora dello show, e cioè ai virus informativi lanciati dai registi, convinti di fare cosa giusta e, certe volte, persino di avere a che fare con cose veritiere.

    Ergo, quando in questo sito, analizzando un testo od una trasmissione televisiva, scopriremo qualche cumulo di sciocchezze, occorre ribadire che tali sciocchezze non sempre, per chi le enuncia,  rappresentano qualcosa di scritto o pronunciato in stato di coscienza e consapevolezza, e quindi di dolo, ma che si può trattare semplicemente e giustappunto di sciocchezze, corbellerie, bufale, proposte al pubblico per mera superficialità ed approssimazione, da qualcuno che non ha verificato né approfondito la notizia innestata nello show da chi sta in cabina di regia, o da chi si è lasciato semplicemente trasportare dall’enfasi e dal noto metodo del “più o meno”.

    In sintesi: proponendo una teoria di imprecisioni, falsità e corbellerie, non è vero che intendiamo significare allo stesso tempo che gli autori delle stesse siano dei falsari di mestiere o dei criminali.

    Molte  volte, anziché di paraculi,  si tratta di gente pasticciona e poco professionale,  od anche ingenua , così come ingenua ed innocente è la schiera dei lettori o telespettatori che recepisce le notizie così come sono, senza alcuno spirito critico.

    Altre volte invece, pizzicheremo i veri e propri mascalzoni, i cervelli criminali. (Non distante da qui, negli articoli di Segugio dei giorni scorsi, abbiamo parlato di uno di questi, e bello grosso).

    Buona lettura.
     

    2) I manoscritti sulla "trattativa" tra stato e mafia


    C’eran tre papelli,
    vergati da Don Vito.
    Ma, di tre, due son patacche, ahimè.
    Lui non ci ha mai messo dito.

    truman show avatar.bmp Da  molti anni ormai si parla del famigerato papello, il foglio contenete l’elenco delle pretese avanzate allo Stato dalla mafia per allentare la morsa degli attentati e delle stragi.  Su questo blog abbiamo già trattato diffusamente dell’argomento, nell’articolo  “De papellibus”.

    A metà dello scorso mese di ottobre, il presunto papello è saltato fuori, consegnato prima in fotocopia, e quindi in originale, da massimo Ciancimino ai PM di Palermo.

    Insieme al papello, son saltati fuori altri due documenti.

    Il primo, è un papello-bis, un altro foglio contenente richieste che lo stato avrebbe dovuto esaminare per trattare con la mafia, sulla base delle stesse, onde fermare gli attentati.

    Il secondo, è un memoriale di 13 pagine, sulla trattativa, manoscritte da Vito Ciancimino nel 1993 e pubblicate integralmente e per la prima volta il 21 ottobre scorso, contemporaneamente su questo blog e sul blog “censurati.it” di Antonella Serafini, cui va il merito di avere reperito il documento. Memoriale che, come vedremo, era già in mano ai Procuratori di Palermo ancor prima che fosse manoscritto. (?….tranquilli, ora ve la spiego).

    Quindi, TRE documenti, che ho descritto in forma sintetica.

    A questo punto, per calarsi nello show provando in modo pieno ed appagante  la sensazione di essere un Mr. Truman come si deve, bisogna prima capire bene CHE COSA SIA EFFETTIVAMENTE ognuno di questi documenti.

    Così funziona. Per capire che ti è caduto un faretto cinematografico tra i piedi, bisogna prima sapere bene che cosa è e com’è realmente fatto, un faretto cinematografico.

    E quindi, ecco qua.


    —-> documento numero uno: il papello originale

    Lo vediamo in questa immagine:

     

    Come ho
    detto, è un elenco di 12 pretese numerate, scritte dalla mafia per mano di un
    non precisato scrivano (secondo Brusca si tratta del Dott. Cinà), su di un
    foglietto in possesso di Don Vito Ciancimino, da lui consegnato al generale
    Mori e custodito, in copia, in cassetta di sicurezza sino ad un mesetto fa,
    allorchè Massimo Ciancimino riuscì finalmente a recuperarlo e quindi a
    consegnarlo ai magistrati inquirenti.

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    Come ho detto, è un elenco di 12 pretese numerate, scritte dalla mafia per mano di un non precisato scrivano (secondo Brusca si tratta del Dott. Cinà, secondo Sandro Ruotolo potrebbe trattarsi di Totò Riina, secondo me di uno qualsiasi), su di un foglietto in possesso di Don Vito Ciancimino, da lui consegnato, in ori ginale o in copia, al generale Mori e custodito, in originale o in copia, in cassetta di sicurezza sino ad un mesetto fa, allorchè Massimo Ciancimino riuscì finalmente a recuperarlo e quindi a consegnarlo ai magistrati inquirenti.

    Su questa copia, come si vede dall’immagine, qualcuno ha scritto «Consegnato, spontaneamente, al colonnello dei Carabinieri Mario Mori dei Ros», e secondo Massimo Ciancimino lo scrittore sarebbe suo padre.  E quindi anche secondo la totalità dei media nazionale, Don Vito risulta essere l’autore di quella scritta. Fatto importante, quella postilla, perché essendo provato e confermato dallo stesso Mori che siano avvenuti incontri fra di lui e Vito Ciancimino, quella scritta del defunto Don Vito, sarebbe un pesante indizio contro il generale, una prima rilevante prova che egli abbia ritirato “il papello” della trattativa fra mafia e stato, fatto che egli ha sempre negato.

    In realtà noi abbiamo fatto un confronto calligrafico fra parole equivalenti, estratte le une da questo e dal secondo papello (doc. numero 2)  e  e le altre dal documento numero 3, scritto certamente da Vito Ciancimino.

    Dal confronto fra le grafie, sorgono alcuni dubbi. Anche il papello bis, come il precedente, in alcune parti suscita perplessità..

    VEDI QUI IL CONFRONTO CALLIGRAFICO

     

    —–> documento numero due: il papello originale “rivisto” da Vito Ciancimino   


    Lo vediamo in questa immagine.

     


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    Secondo quanto afferma Massimo Ciancimino, suo padre quando lesse per la prima volta il PAPELLO N°1, considerò le 12 richieste delle “richieste da testa di m….”.

    Per lui quelle richieste poste allo stato erano irricevibili, assolutamente improponibili.

    Pensò quindi di redigere un elenco di richieste alternativo, con pretese più “soft” rispetto a quelle originali, diciamo “smussate” così da renderle proponibili. Ad esempio la richiesta di eliminazione delle accise sul carburante, veniva sostituita da Don Vito con una più realistica e ragionevole: la soppressione del Monopolio di Stato sui tabacchi.

    Su questo papello-bis si possono leggere, in testa, i nomi di Virginio Rognoni e Nicola Mancino.  «Quei due nomi non sono sul papello. Mio padre li scrisse a mano su un foglio a parte (il papello-bis)  facendo i suoi ragionamenti, le sue modifiche sui 12 punti della carta principale, cioè il papello»

    Quindi questo papello sarebbe stato scritto di proprio pugno da Don Vito, così come confermato anche da suo figlio Massimo, il superteste.

    In realtà, sempre dal confronto calligrafico da noi effettuato e già citato sopra, ANCHE QUESTO SECONDO PAPELLO suscità perplesità in più punti. 

     

    —–> documento numero tre: il memoriale di vito ciancimino del 1993

    Questo documento viene definito “memoriale”, ma in realtà non è esattamente questo.

    Sarebbe invece la trascrizione testuale, fatta di proprio pugno da Don Vito Ciancimino, di un verbale di una sua stessa deposizione redatto il giorno 17 marzo 1993 nel carcere romano di Rebibbia, innanzi al Procuratore Distrettuale della Repubblica di Palermo, dott. Giancarlo CASELLI e al sostituto Procuratore dott. Antonio INGROIA.

    Vito Ciancimino, che in carcere aveva tutto il tempo per farlo, trascrisse a mano quel verbale e lo corredò di un paio di paginette di note aggiuntive.

    Il motivo dell’operazione, si spiegherebbe col fatto che il Ciancimino aveva l’intenzione di affidare ad un editore straniero un suo libro di memorie, che nella sua stesura originale doveva essere interamente manoscritto, a provarne l’autenticità anche in caso di eventuale incapacità di conferma da parte dell’autore, caso mai gli fosse capitato qualche incidente.

    E quindi Ciancimino trascrisse a mano quella parte del suo verbale di deposizione innanzi ai PM, perché aveva l’intenzione di utilizzarla per il suo libro.
    In realtà poi, rinunciò, e la ripose in un cassetto.

    Questo manoscritto NON RISULTA ESSERE MAI STATO CONSEGNATO da Ciancimino a Mori, o comunque non c’è alcuna prova che ciò sia avvenuto.  Anzi, c'è la prova contraria. Infatti il documento originale, è stato sequestrato dagli inquirenti nel 2005 a Massimo Ciancimino, nel contesto delle iniziative cautelari disposte dalla Procura di Palermo per le indagini relative alle presunte attività di riciclaggio del patrimonio illegale paterno illecitamente condotte da  Ciancimino Jr.

    Consiglio a tutti, giunti a questo punto, di leggere attentamente il testo della deposizione di Ciancimino resa dinnanzi a INGROIA e trascritta nel memoriale, testo che PER LA PRIMA VOLTA, su di un mezzo di comunicazione, qui di seguito è riportato fedelmente (compresi gli errori, l’uso delle maiuscole, e le sottolineature).

    Chi lo desiderasse, può scaricare QUI il file con l'ipertesto del memoriale, e QUI il file con le immagini ad alta risoluzione delle pagine del memoriale.

    memoriale Amemoriale Bmemoriale C

     
     
    memoriale D

    Penso che dalla lettura del testo tutti quanti si possa notare quali siano i punti salienti

    e soprattutto quanto questi siano importanti.
    Innanzitutto Ciancimino comunica la data degli incontri avuti con i carabinieri: dal 25 di agosto 92 (De Donno) al 1° settembre 92 (Mori) e oltre. Tutte date che smentiscono l’attuale teoria accusatoria dei PM contro Mori, ed escludono il coinvolgimento dei ROS e della loro trattativa, nella strage di Via D’Amelio (luglio 92).
    Ciancimino poi, spiega qual’era l’oggetto della richiesta dei ROS: collaborazione per assicurare alla giustizia i latitanti. Altra testimonianza che assolve i ROS dalle accuse di torbide trattative.

    Ciancimino dice di aver deciso di collaborare con i ROS, e di avere anche iniziato, esaminando insieme a loro carte geografiche di Palermo ed altri documenti utili per la cattura di un grosso latitante.

    Ciancimino afferma di essere stato arrestato immediatamente dopo aver dato inizio alla sua collaborazione con i carabinieri, essendo secondo lui tale circostanza una ben strana coincidenza e priva di fondate motivazioni.

    Ciancimino afferma di aver avuto una richiesta dimostrazione di “referenza” e “credibilità” da parte del suo interlocutore emissario della mafia, consistente in un aggiustamento “delle sue cose”, e cioè del suo processo (non sarà per questo che Ciancimino per mezzo di Mori, chiedeva insistentemente un incontro con Violante, a partire dell’ottobre 92?)

    Di quella deposizione di Ciancimino dinnanzi a Caselli, trascritta dallo stesso Vito Ciancimino, ci ha parlato Marco Travaglio, il 22 ottobre scorso (che è il giorno successivo alla pubblicazione sui nostri blog, di questo “memoriale”.) sul “Fatto quotidiano”:

    “(Vito Ciancimino) lo sentirà Gian Carlo Caselli, poco dopo essersi insediato alla Procura di Palermo il 15 gennaio ’93 (lo stesso giorno dell’arresto di Totò Riina e della mancata perquisizione del covo da parte del Ros, forse nel timore di trovare carte inerenti la trattativa del papello). Ma Ciancimino, a quel punto, si ritrarrà a guscio e dirà ben poco sul delitto Lima e sul caso Andreotti. Anche perché sia Violante sia Mori si sono ben guardati dal rivelare a Caselli quel che sanno sui colloqui top secret fra il Ros e Ciancimino.”  (Travaglio: Violante, don Vito e l'antimafia          di Marco Travaglio – 22 ottobre 2009)

    Così, piuttosto rozzamente,  liquida Travaglio quella deposizione, che invece, non si ha che da leggerla,  è la sola testimonianza diretta della parte interessata, di come,  quando e perché sia avvenuta la famosa trattativa. Niente niente.

    All’inizio di marzo del 2005, come ho già detto, il manoscritto viene sequestrato a Massimo Ciancimino, nella sua abitazione, nell’ambito delle indagini a suo carico per riciclaggio.

    E’ importante leggere il resoconto dato da Repubblica in quella circostanza:

    Dieci pagine firmate Vito Ciancimino

    Repubblica — 06 marzo 2005   pagina 2   sezione: PALERMO

    Inchiesta riciclaggio, all' esame dei pm c' è anche un manoscritto dell' ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino sequestrato la scorsa settimana durante la perquisizione a casa del figlio Massimo. Dieci paginette manoscritte dal titolo: "I carabinieri". Vito Ciancimino avrebbe voluto inserirle nel suo memoriale scritto negli anni passati a Rebibbia, ma alla fine decise di tenerle a parte. Anche se il tema era sempre quello: la sua «collaborazione» con lo Stato e la famosa trattativa avviata da Cosa nostra con pezzi delle istituzioni dopo la terribile stagione delle stragi del 1992. Le dieci paginette iniziano così: «Il capitano Giuseppe De Donno è coetaneo e amico di mio figlio. Da tempo cercava di convincermi a parlare, ma io ho sempre detto di no. Ora a farmi cambiare idea sono stati l' omicidio di Salvo Lima, che mi ha turbato, quello di Giovanni Falcone, che mi ha sconvolto, e quello di Paolo Borsellino che mi ha atterrito». Un rapporto rimasto misterioso quello avviato proprio dopo le stragi tra l' ex sindaco di Palermo e i carabinieri. E rievocato anche dal generale Mario Mori, capo del Sisde, nell' ambito dell' inchiesta sulla mancata perquisizione del covo di Totò Riina in via Bernini. Ai magistrati di Caltanissetta che lo interrogarono sul caso, Mori ricostruì così la collaborazione con Ciancimino, definito da lui "fonte confidenziale". «Il capitano De Donno aveva instaurato un buon rapporto con il figlio Massimo, durante la detenzione del padre. Fu così che invitai De Donno ad approfondire i rapporti». Il primo ottobre del '92 Ciancimino avvia la sua collaborazione, 18 giorni dopo l' incontro decisivo. «Ciancimino mi informò che i suoi interlocutori avevano accettato di portare avanti un certo tipo di trattativa… gli chiesi di avere la consegna di Riina e degli altri assicurando che le famiglie di costoro sarebbero state trattate bene. Al che Ciancimino ebbe uno scatto improvviso… "Mi vuole morto, così morite anche voi". Aggiunse che avrebbe comunicato ai suoi interlocutori che vi era stato un momento di ripensamento e ci accompagnò alla porta». Un mese dopo, il figlio di Ciancimino contatta De Donno e lo invita a tornare dal padre. «Ciancimino aveva accettato – spiega Mori – e chiese una dettagliata mappa di Palermo nella zona compresa tra viale Regione Siciliana e Monreale. La sera stessa fu arrestato». In carcere l' ex sindaco accettò di parlare con i magistrati. «La collaborazione – conclude Mori – non approdò a buoni risultati. Si è perduta un' occasione importante». (…)ALESSANDRA ZINITI


    Si noti dunque bene che:
    Il manoscritto di cui parla Repubblica il 6 marzo 2005 è proprio il nostro terzo documento, quello di cui stiamo parlando

    Ergo quel documento era senz’altro a conoscenza dei PM sin dal marzo del 2005, ove fu da essi sequestrato

    I PM lo posero immediatamente “all’esame”. Situazione un po’ paradossale, trattandosi della stessa procura ove quel manoscritto, nella sua forma originale e non trascritta, era depositato agli atti sin dal marzo del 1993.

    Pur contenendo il manoscritto tutti i particolari della “trattativa” ed altri dettagli fondamentali in merito all’oggetto della collaborazione cui Ciancimino si era determinato, Repubblica omette di illustrarci tali contenuti, che sono invece la parte fondamentale di quell’atto giacente in tribunale sin dal 1993; riporta invece parti, in virgolettato, non significative.

    Il resoconto reso da Mori su quelle vicende, in parte riportato nel virgolettato sull’articolo di Repubblica, coincide perfettamente con quello reso da Ciancimino sul suo manoscritto.

    In ogni dettaglio. Ergo, ai cittadini italiani è stato sempre taciuto (in primis, già nell’articolo di Repubblica che ho citato, indi viene ancora taciuto oggi, salvo la possibilità di leggere il testo su questo modesto blog) CHE ESISTEVA UNA DEPOSIZIONE OLOGRAFA DI VITO CIANCIMINO, e cioè l’interlocutore dei ROS, RESA IN CARCERE, che confermava alla lettera, passo per passo, tutte le circostanze riferite da Mori in merito alla trattativa. Tutte, in ogni dettaglio. Come se fosse un particolare da nulla. Piccoli fondali dipinti del Truman Show che cominciano a scollarsi dal telaio di sostegno.

    Ed ora facciamo un salto di oltre 4 anni. Del misterioso manoscritto non si sente più parlare, sino al 16 ottobre 2009. (sto parlando dei mass-media, in vero, poichè nella sentenza di assoluzione dalle accuse a carico di Mori e De Caprio per il presunto reato di favoreggiamento, il memoriale era stato citato)

    Il giorno precedente, 15 ottobre, l’Avvocato di Massimo Ciancimino ha consegnato la copia dei Papelli (numero uno e numero due), ai PM Palermitani.

    Il settimanale L’Espresso, mette in rete la fotocopia dei Papelli alle ore 18.33, dello stesso 15 ottobre come dimostra questa diagnosi del file.

      data creazione espresso

    Nelle ore immediatamente successive, le immagini dei papelli sono sul web e sui giornali.

    Il giorno dopo, 16 ottobre, il TG3 serale decide di occuparsi della papellofanìa, e lo fa con un servizio di Fabrizio Feo.

    Ora che conosciamo bene i DOCUMENTI NUMERO UNO, DUE E TRE, possiamo rivederlo, e divertirci:


    E quindi lo trascriviamo, questo servizio del TG, col corredo delle immagini, poste a lato del testo,   che nel video erano temporalmente coincidenti con la narrazione trascritta.


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    tg3 16 nov 09

    Vediamo dunque brevemente cos’ha combinato il TG3 in questo servizio:

    Il video comincia con una descrizione del papello n°1. Nel frattempo viene mostrata l’immagine del papello n°2. Poi lo speaker prosegue con la descrizione del papello n°1, e conclude: “Se sia la copia del papello originale, o un pro-memoria di Vito Ciancimino (il documento n° 3 – ndr) , lo chiarirà Massimo Ciancimino.”

    A fronte di questo dubbio, io, senza scomodare Ciancimino jr.,  avrei la risposta pronta per i nostri simpatici redattori della RAI: “Entrambi tre”.

    Poi, ancora un’affermazione sibillina:

    Difficile invece spiegare incongruenze temporali e anomalie nell’elenco di richieste.”

    Su questo argomento lo speaker non aggiunge altro; noi sappiamo a cosa si riferisce, perché abbiamo studiato, ma il telespettatore medio comincia ad accusare capogiri non capendo di cosa stanno parlando al TG; anche perché, nel frattempo, prorompe per la prima volta sullo schermo televisivo l’immagine di un misterioso documento, che nulla ha a che vedere con quelli sino ad ora oggetto del servizio: il memoriale di Ciancimino del 93 (documento numero tre), in un dettaglio della quarta pagina dove campeggiano in primo piano tre inquietanti parole sottolineate “piena delega a trattare.” Trattare. Trattativa. Abbiamo capito, abbiamo capito.

    Ma proprio a questo punto viene il bello, perché il commentatore ci spiega: “ Secondo l’Espresso sul documento c’era un post-it, con l’annotazione: “Consegnato al colonnello dei carabinieri Mori dei ROS”. Giustamente nel riferirci tale notizia, il TG  riproduce, finalmente, un particolare del Papello n°1, quello giusto di cui sta parlando il servizio, e precisamente la frase citata vergata dal presunto Vito Ciancimino (e che, tra l’altro,  noi riteniamo essere un falso, una brutta imitazione).

    Dopodichè, un capolavoro della logica.

    TG3 si domanda: “Cos’era stato consegnato a Mori?”  E a quel punto appare la simpatica faccia barbuta del cronista, Fabrizio Feo, che ci spiega cos’era stato consegnato a Mori.

    Ma alla spiegazione di Feo anteponiamo un breve riassunto delle parti precedenti, perché è una perla che va vista nell’insieme.

    In  pratica, ci è stato detto:

    C’è un papello, fatto così e così, contenente le richieste della mafia. E’ stato consegnato in copia da Massimo Ciancimino ai PM. Se poi sia una copia di se stesso o un’altra cosa, ce lo deve dire Ciancimino. Poi su questo papello c’è una nota: “consegnato a Mori”. E cos’era stato consegnato a Mori? Ve lo dico subito: non il papello con su scritto “consegnato a Mori”, ma degli appunti, redatti tra il 92 e il 93, pieni di sorprese. (che tra l’altro, mai sono stati consegnati a Mori). E fra queste sorprese, ad es., c’è Vito Ciancimino che scrive di ritenere che i boss mafiosi siano pazzi, oppure abbiano le spalle coperte politicamente. Per ora, fine delle sorprese.

    Sticazzi, chiarissimo, ed inquietante.

    A quel punto bisogna assolutamente sentire che ne pensa Violante:

    VIOLANTE: “Ma, bisogna vedere bene prima  che cosa sono, questi appunti. Si parla di fotocopie… bisogna vedere se corrispondono a quello dato ai magistrati. Quindi sarei molto molto prudente Sia ben chiaro: la mafia ha sempre cercato il contatto con i poteri pubblici: non è una novità.

    TRADUZIONE: Ma santa pazienza, dite di volermi intervistare sul papello consegnato ieri da Ciancimino, e mi mostrate questa roba, una deposizione di Ciancimino davanti a Caselli nel 93 che non c’entra una sega col papello e quindi non è quello che ieri han dato ai magistrati. Che caspita volete che vi dica? Mah…, dirò di stare molto prudenti a far ‘sti casini coi documenti, e poi qualcosa di un po’ generico sui contatti fra mafia e politica. Ma guarda che mi tocca… 

    E in conclusione, torna il nostro


    SPEAKER: col famoso papello finalmente sul tavolo dei magistrati, e le rivelazioni sui contatti fra stato e cosa nostra giunte a Paolo Borsellino poco prima della sua morte, i magistrati hanno elementi per nuove indagini, che potrebbero far luce sul periodo delle stragi, e sulle responsabilità.

    Tutto chiaro, il telespettatore è servito. Ora, grazie a queste informazioni opportunamente approfondite e spiegate dal nostro Truman Show, sa che i magistrati hanno sul tavolo una patacca, che si va ad aggiungere agli altri schiaccianti elementi a loro disposizione per nuove indagini, come “le rivelazioni sui contatti fra stato e cosa nostra giunte a Paolo Borsellino poco prima della sua morte”.

    E quali sarebbero queste rivelazioni?

    Le sole ed uniche rivelazioni nuove, sulle informazioni giunte a Borsellino sulla trattativa, sono quelle di Martelli ad Annozero, e cioè:

    «Mi fu comunicato dal direttore degli Affari penali del ministero, Liliana Ferraro, che era venuta a trovarla l’allora capitano Giuseppe De Donno, che l’aveva informata che Vito Ciancimino aveva volontà di collaborare». Cui seguì una precisazione di Sandro Ruotolo, che riferisce  che, secondo Martelli, Borsellino fu avvertito direttamente dalla Ferraro della volontà di Ciancimino di trattare.


    Quindi queste nuove rivelazioni, sarebbero che Borsellino era stato informato che Don Vito Ciancimino voleva collaborare con gli inquirenti (nespole, che rivelazioni inquietanti). Che è esattamente ciò che Mori va ripetendo da anni, nonché ciò che era agli atti della Procura di Palermo, con la deposizione dello stesso Ciancimino che abbiamo pubblicato, da oltre 16 anni.

    Caspita, proprio  nuove, nuovissime, rivelazioni.

     

    Questo è l’Italian Truman Show, giunto al termine della sua prima puntata.

    enrix                   
     

     
    • anonimo 23:36 on 24 November 2009 Permalink | Rispondi

      Enrix, tu affermi:

      Innanzitutto Ciancimino comunica la data degli incontri avuti con i carabinieri: dal 25 di agosto 92 (De Donno) al 1 settembre 92 (Mori) e oltre. Tutte date che smentiscono l’attuale teoria accusatoria dei PM contro Mori, ed escludono il coinvolgimento dei ROS e della loro trattativa, nella strage di Via D’Amelio (luglio 92)

      In realtà sono tutte date che smentiscono gli stessi  De Donno e Mori.

      Udienza del 24 gennaio 1998, al processo per le stragi nel continente celebrato di fronte alla Corte di Assise di Firenze:

      Teste Mori:…Incontro per la prima volta Vito Ciancimino a casa sua, a via di Villa Massimo, che è dietro Piazza di Spagna a Roma, il 5 agosto…nel pomeriggio del 5 agosto del 92

      A supporto di questo e di altri incontri Mori consegna ai giudici pagine delal sua agenda

      Teste Mori: Sì, ho portato la fotocopia delle pagine, solo delle pagine relative, ovviamente. E qui leggo: "5 agosto tra le 14 e le 15" – dell’agenda – "incontro con V.C.", cioè Vito Ciancimino.
      "Sabato 29 agosto, ore 16.00 V.C.", cioè Vito Ciancimino.
      "1 ottobre" – sempre di quell’anno – "pomeriggio, colloquio con V.C.".
      "Domenica 18 ottobre ore 11.30 V.C.".
      "22 gennaio" – dell’anno successivo, quindi siamo nel 93 – "ore 9.00, incontro con V.C.", qui a Rebibbia, anche se non l’ho scritto – "ore 14.00, 13.30 – 14.00 incontro col dottor Caselli"

      Quesito: chi dice la verità?

      Veniamo ora a De Donno, sempre il 24 gennaio 1998.

      Teste De Donno: …E abbiamo provato il contatto che, tra la strage di via Capaci e la strage di via D’Amelio, avviene. Perché Ciancimino accetta di incontrarmi nella sua abitazione di Roma. In quel periodo che Ciancimino era libero…

      Enrix, tu affermi: …il resoconto reso da Mori su quelle vicende, in parte riportato nel virgolettato sull’articolo di Repubblica, coincide perfettamente con quello reso da Ciancimino sul suo manoscritto.

      In realtà, più correttamente, è vero l’inverso: ciò che affermano Mori e De Donno coincide nella sostanza con gli interrogatori resi da Vito Ciancimino nel 1993 indipendentemente dalla veridicità o meno della sua trascrizione. La sequenza temporale degli eventi può non essere neutra rispetto all’analisi di queste testimonianze. Vediamo perché.

      Teste Mori:...L’inizio delle escussioni del Ciancimino verso la metà di febbraio. Ad alcune ho assistito anch’io. Nel contesto di queste dichiarazioni che rese ai magistrati della Procura di Palermo, Ciancimino fece cenno a tutta la vicenda del rapporto tra di noi e lui.
      Il capitano De Donno, che compilò gli atti relativi e tutti gli accertamenti connessi connessi alle dichiarazioni di Ciancimino, riferì anche sui nostri rapporti. La Procura di Palermo non ci ha mai chiesto alcunché su questo fatto.

      Nei fatti, potremmo dire che Mori e De Donno nel 1998 confermano ciò che già è stato detto nel 1993.

      Per ora è tutto.

      Andrea G.

    • enrix007 02:01 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Ottimo intervento Andrea, ed ottime argomentazioni.

      le commenterò domani, che ora sono stanco.

      Però le incongruenze sulla data del primo appuntamento, credo meritino approfondimento, ed anche un articolo. Vanno senz’altro chiarite.

      Dimmi, se mi puoi asser d’aiuto: a quale fonte hai attinto per i verbali del 24 gennaio 98?

    • anonimo 10:11 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Buongiorno Enrix,

      L’Associazione delle vittime della strage di via dei Georgofili recentemente ha messo in rete i verbali dei dibattimenti.

      Vai a:

      http://www.strageviadeigeorgofili.org

      A sinistra dello schermo vai a "documenti", poi "verbali del primo dibattimento", poi "udienze", clicca su "980124", lì ci sono le deposizioni di Mori e De Donno.

      A presto

      Andrea

    • anonimo 17:17 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Scusa Andrea perchè scrivi chi dice la verità? Premesso che comunque gli incontri sono successivi la morte di Borsellino (come giustamente scrivi anche te) immagino che sia stato Ciancimino a ricordare male. Ho esistono atti ufficiali in cui Mori sostiene altre date?

      Solo per capire, Andrea.

      Gianluca

    • anonimo 17:24 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Tra l’altro leggo dagli atti ufficiali che gentilmente Andrea hai linkato relativi alla sentenza sulle stragi trovo scritto che Mori non ha agito assolutamente fuori le righe ha solo cercato con la collaborazione con Ultimo di arrivare ai capimafia:

      SENTENZA  (n. 2/2000 – depositata il 20.4.2000)

      In effetti Mori, che aveva informato Subranni il quale – pur lasciandogli ampi
      margini di autonomia e concordando con l’iniziativa – lo avvertì che il
      personaggio era abile e da trattare con estrema cautela e circospezione (la sostanza dei consigli fu questa anche se Subranni non ha confermato i termini letterali delle raccomandazioni come riferite da Mori: “…ti può mettere sotto scopa …”), e De Donno si accreditarono presso Ciancimino come rappresentanti dello Stato. Al di là di ogni loro aspettativa, Ciancimino si mostrò disponibile, e il 1 ottobre confermò che era in grado di fare da intermediario con i “corleonesi”. Quando, il successivo 18 ottobre, chiese esplicitamente cosa avevano da offrire, il “bluff” dei due ufficiali venne scoperto. Essi, in realtà, non potevano dare nessuna garanzia, e Mori fece l’unica proposta cui, quale ufficiale di p.g., era legittimato: Riina e Provenzano avrebbero dovuto costituirsi, i loro
      familiari sarebbero stati protetti. Dunque, una richiesta di resa incondizionata. Ciancimino ebbe una reazione impressionante, scattò in piedi adirato e congedò l’interlocutore dicendo: “Lei mi vuole morto, anzi vuole morire anche lei, io questo discorso non lo posso fare a nessuno.”
      Il 19 dicembre Ciancimino fu arrestato, in seguito risulta aver collaborato, ma, citato dalla difesa perché deponesse ai sensi dell’art. 210 c.p.p. all’udienza del 13.10.1999, si è avvalso della facoltà di non rispondere.

    • anonimo 18:16 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Ciao Gianluca,

      sinteticamente poi probabilmente ci ritorneremo.

      - De Donno incontra, a suo dire, Vito Ciancimino tra le due stragi, poi, dopo la strage di via D’Amelio interviene Mario Mori

      - chiedo "chi dice la verità" perché le date di Mori differiscono da quelle della trascrizione di Ciancimino.

      Non ho espresso la mia opinione su chi dica la verità, può essere benissimo che Ciancimino abbia ricordato male. Più difficile che sia Mori a dire il falso perché ha con sé le pagine delle sua agende.

      Il problema è un altro (tra i tanti): siamo sicuri che la trascrizione di Ciancimino sia autentica? aggiungo che più della trascrizione a me interessano i verbali degli interrogatori al Ciancimino. Io non li ho ma per una serie di ragioni io credo che collimino nella sostanza con quelli successivi a Mori e De Donno.

      In questo stadio dell’analisi non esprimo ancora giudizi sui comportamenti dei soggetti.

      Andrea

    • anonimo 00:13 on 26 November 2009 Permalink | Rispondi

      Capisco che giustamente vuoi approfondire, stessa cosa mia, ma attualmente quanto sostiene Enrix è immodificabile, sto parlando delle considerazioni fatte con il materiale che abbiamoa disposizione.

      Di certo traspare una considerazione certa, è in atto un depistaggio MEDIATICO DI DIMENSIONE GIGANTI.

      Gianluca

    • enrix007 03:31 on 26 November 2009 Permalink | Rispondi

      E non è neppure un’operazione troppo facile, caro Gianluca, bisogna darne atto.

      Se si spinge troppo sul filone trattativa, si possono sottrarre elementi indiziari a carico di Berlusconi come mandante.

      Se si spinge troppo sul movente-mandante "Berlusconi", si depaupera il filone trattativa col rischio di scagionare Mori, che è già sotto processo.

      Non a caso il filone trattativa è spinto nel processo Mori, e l’altro nel processo Dell’Utri.

      Di fatto sono due processi che si contendono mandanti e moventi delle stragi, con una sapiente regia mediatica che cerca di renderli compatibili e conniventi tutti e due.

      Compatibili con la possibilità di esistere, ma per ora ben poco con la realtà, perchè ci sono testimnianze in contrasto fra di loro e documenti falsi che girano nelle aule di giustizia.

      Eh, si. Per fare luce occorrerebbe un po’ di pulizia.

    • anonimo 09:17 on 26 November 2009 Permalink | Rispondi

      A me sembra che si stia cercando di separare le varie stragi, quelle del 92 da quelle del 93.
      Berlusconi secondo le indiscrezioni viene abbinato ormai solamente alle bombe del 93.
      Anche le stragi del 92 vengono separate; quella di Capaci è opera della mafia, credo che nessuno lo metta in dubbio, quella di via D’Amelio sarebbe opera dello stato.
      Insomma quello che sembrava semplice, bombe di mafia, lo stanno facendo diventare una cosa complicatissima.

      La strage di Capaci mi permette di fare una divagazione.
      Ieri ho sentito alla radio da Cruciani le disavventure di Schifani. Credo che ad esporle fosse Flores D’Arcais, mi è sembrato che Cruciani lo chiamasse Flores o Floris, ma non mi sembrava la voce di Giovanni Floris.
      Cosa sosteneva Flores? Sosteneva che in un paese civile Schifani non sarebbe neanche in parlamento perchè quando era avvocato difese il costruttore di un edificio abusivo a Palermo, questa mi è sembrata l’accusa.
      E come la mettiamo con quel senatore dell’IDV che prima di essere eletto è stato il difensore di Giovanni Brusca, quello che ha messo la bomba a Capaci?
      Sottosegretario alla giustizia del governo Prodi.
      Se i dubbi valgono per Schifani, a maggior ragione, secondo me, valgono per Li Gotti.
      Se non dubitiamo di Li Gotti, non possiamo dubitare nemmeno di Schifani.

      L’avvocato che umanizza la ferocia.

      http://archiviostorico.corriere.it/1996/settembre/01/Gotti_avvocato_che_umanizza_ferocia_co_8_9609013761.shtml

      Ciao, Gabriele

    • anonimo 11:48 on 26 November 2009 Permalink | Rispondi

      Non voglio entrare nel merito di date, luoghi e stragi.
      Da politico in erba, vorrei fare delle considerazioni che, stante le lapallisiane manipolazioni in corso nelle procure di Palermo e Caltanisetta, mi portano a leggere i FATTI sotto altra luce, ponendomi altresì una domanda: perchè?
      Perchè dei PM che già avevano indagato, interrogato, raccolto testimonianze, confessioni, già all’epoca delle due stragi (CHE NON SONO DI STAMPO MAFIOSO, PERCHE’ LA MAFIA UCCIDE NEL SILENZIO DELLA LUPARA), con processi già celebrati, sentenze già emesse, oggi a distanza di 16-17 anni dai fatti, riaprono il tutto?
      Perchè dei PM danno credito a dei pentiti, già sentiti, vagliati, smentiti da processi, che fanno rivelazioni  solamente di derelato, oggi hanno credito?
      Perchè dei PM, perseguendo nella loro volontà di piegare anche la dimensione temporale, voglio mettere sotto lo stesso cappello, due processi, Dell’Utri e Mori, così da far contraddire le due corti chiamate a giudicare, creando una dicotomia lampante nella giustizia italiana?
      Se tutti diamo la stessa risposta, allora credo che si arriverà a quello che non si riuscì di fare nel 1992 e che SB con la sua discesa in campo nel ’94 non permise e cioè all’allegra armata di instaurare un regime di allegro comunismo, in mano ai poteri forti del Britannia.
      Quindi se tutto il lavoro meritorio di Enrix diviene per l’ennesima volta carta straccia, ci troveremo ancora a dover difendere, ob torto collo, uno come SB che è la negazione della politica e l’anfitrione della menzogna, ma che cmq rimane il mane minore per la democrazia italiana.

      Star Joe, coffa di maestra Catania

    • anonimo 03:02 on 30 November 2009 Permalink | Rispondi

      Ciao Enrix, hai scritto che dal doc.3, la mafia voleva da Ciancimino una prova di credibilità, che aggiustasse alcune cose, probabilmente un processo… e forse proprio per questo C. voleva incontrare Violante. Non hai approfondito… Non si può ipotizzare che questo fosse un anticipo di contropartita richiesta dalla mafia? C. voleva incontrare Violante (mi pare non ci riuscì) ma chi ci dice che non abbia trovato qualcun’altro disposto ad ascoltarlo? Insomma questa frase ha attirato la mia attenzione, se la mafia ha richiesto questo tipo di garanzia vuole dire che si aspettavano fosse possibile ottenerla… tu invece l’hai buttata li senza approfondire…

      Ma poi in molti punti del memoriale C. lascia intendere che secondo lui i suoi interlocutori mafiosi avevano le spalle coperte politicamente, cioè la trattativa vera non era la sua con i Ros ma un’altra che stava comunque avvenendo… tu non lo hai per niente approfondito… questo è il punto importante. Non il fatto che i Ros non c’entrano, ma il fatto che la trattativa pare esserci stata.

      Ultima cosa, secondo te da chi è mosso Ciancimino junior? Perché i papelli falsi?

      Luigi C.

    • anonimo 09:13 on 30 November 2009 Permalink | Rispondi

      Buongiorno sig. Enrix
      stamattina ho ascoltato come il solito la rassegna stampa di radio24 ed e’ stato letto un articolo della giornalista Marcelle Padovani (spero di non sbagliarmi), autrice di un libro su Falcone, che in non so quale quotidiano in edicola oggi ha detto che Berlusconi vive nel Truman Show (testuali parole).
      Ho subito pensato che magari e’  capitato su queste pagine!
      Buona giornata.
      Luigi (C. anch’io ma non sono quello di sopra. Sono quello del Pensatore, per capirci)

    • anonimo 09:35 on 1 December 2009 Permalink | Rispondi

    • anonimo 13:29 on 2 December 2009 Permalink | Rispondi

      Ciao Enrix, volevo segnalarti un interessante articolo su democrazia e legalità
      http://www.democrazialegalita.it/redazione/redazione_vere_parole_borsellino=24novembre2009.htm
      Vai alla fine della pagina che ti ho linkato e clicca su link… chissà che tu non riconosca la fonte

    • anonimo 13:29 on 2 December 2009 Permalink | Rispondi

      il mio nome è Alex

  • Avatar di enrix

    enrix 00:04 on 3 November 2009 Permalink | Rispondi
    Tags: , , , , , , , , , , , , , , nicola mancino, , , , , , , , ,   

    LA SCOMPARSA DEI FATTI 

    Antimafia Fiction

    Rivelazioni schock, accordi tra boss e politici, “sbirri” collusi, omicidi eccellenti. Nel perfetto film di Palermo sulla trattativa tra Cosa nostra e lo Stato c’è proprio tutto. Tranne i fatti

    Leggi l’intervista a Giuseppe del Vecchio

    Leggi: L’inchiesta bomba archiviata

    di Chiara Rizzo

    Palermo, aula della IV sezione penale del tribunale, 20 ottobre 2009. Sguardi compunti e grandi inchini davanti ai pm antimafia e ai lacunosi ricordi di Luciano Violante. Risolini scettici e qualche plateale sbuffo di noia nei riguardi delle dichiarazioni spontanee del generale Mario Mori. Nell’aula al secondo piano del tribunale di Palermo c’è un clima di tifo effervescente per i teoremi dei pm Antonino Ingroia e Nino Di Matteo. Tanto che ad un certo punto il generale richiama stizzito all’ordine l’appuntato di AnnoZero, Sandro Ruotolo. Cosa succede a Palermo? La copertina dell’ultimo numero dell’Espresso, viene in soccorso: “Esclusivo: Tra mafia e Stato. I verbali inediti dei pentiti Brusca e Spatuzza. Così andò la trattativa tra Cosa nostra e i politici. Da Mancino a Berlusconi”. Tempi vorrebbe rovesciare la prospettiva, sulla base delle carte e di un quesito apparentemente stravagante: dove nascondereste voi una foglia? Forse in un bosco, no? E dove nascondereste il mistero di un’inchiesta scottante archiviata frettolosamente? Forse in mezzo a tante altre inchieste?
    Sostiene Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, che «siamo all’anticamera della verità». Una verità che ne ospiterebbe al suo interno molte altre, come un gioco di scatole cinesi. Una verità che sarebbe contenuta nelle pieghe del famoso “papello” con le richieste di Totò Riina allo Stato, vergate nell’anno 1992. La prova di una trattativa tra mafia e istituzioni, secondo la procura siciliana. Custode del papello e intermediario tra boss e Stato, attraverso i massimi vertici dei carabinieri, sarebbe stato Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo vicino ai corleonesi e condannato per mafia. Dietro la supposta trattativa via papello, ci sarebbe la soluzione di molti misteri italiani. Da quello di via d’Amelio, l’attentato in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino (e ucciso, secondo la tesi dei pm palermitani, proprio perché non avrebbe condiviso la trattativa). Giù giù fino alla spiegazione delle stragi del ’93 a Roma, Firenze, Milano, organizzate, sempre secondo la tesi dell’antimafia, per vendetta contro lo Stato traditore dei patti. E ancora giù, fino all’ultima scatola infernale: quella di una presunta seconda trattativa, avviata alla fine del ’93 con il nuovo referente politico, Forza Italia, tramite Marcello Dell’Utri. Quest’ultima è senz’altro la parte più golosa del teorema palermitano, adombrata dal pentito Giovanni Brusca (quello che azionò il telecomando nella strage di Capaci) nelle sue rivelazioni riportate dall’Espresso. Brusca non aveva ancora finito di parlare dalla copertina del settimanale, che già sulle pagine di Repubblica si affacciava il “nuovo” pentito Gaspare Spatuzza, pronto a confermare la trattativa con Forza Italia.
    Chissà quanti altri recupereranno la memoria prossimamente. D’altra parte, l’urgenza di “nuove rivelazioni” pare aver rinfrescato i ricordi anche a Claudio Martelli (nel ’92 ministro della Giustizia) e a Liliana Ferraro (allora direttrice degli Affari penali del ministero). A entrambi è ritornato in mente che in effetti, prima di morire, Borsellino sapeva di una trattativa tra mafia e Stato. E guardacaso il soprassalto di memoria dei due è avvenuto proprio nel corso di un’intervista di Sandro Ruotolo per la puntata di AnnoZero in onda l’8 ottobre 2009.

    Tutti ricordano diciassette anni dopo
    Ma come si è arrivati, diciassette anni dopo i fatti, «all’anticamera della verità», per dirla con Ingroia? Riavvolgiamo il film e torniamo al punto di partenza. Il processo palermitano contro Mori (il generale dei carabinieri che nel 1993 guidò l’operazione che condusse all’arresto di Totò Riina), si dipana lungo due filoni di indagine. Il primo riguarda la mancata cattura, nel ’95, di Bernardo Provenzano, successore di Riina ai vertici di Cosa nostra: Mori è accusato di aver favorito la fuga del boss. Il secondo riguarda invece il presunto papello di Riina: la tesi dell’accusa è che Mori avrebbe fatto da tramite, durante i suoi abboccamenti del ’92 con Ciancimino, tra mafia e alti livelli dello Stato. C’è un problema, però, per i fan del teorema a cascata trattativa-mafia-carabinieri-Stato-Dell’Utri- Berlusconi”: i fatti.
    Primo fatto. La principale fonte delle informazioni sulla presunta trattativa mafia-Stato è oggi Massimo Ciancimino, il figlio di “don” Vito. Il quale inizia a rilasciare dichiarazioni alla direzione distrettuale antimafia palermitana , cioè a Ingroia e Di Matteo, nell’aprile del 2008. Ovvero sedici anni dopo i fatti in questione. E soprattutto un anno dopo la sua condanna, l’11 marzo 2007, per riciclaggio e tentata estorsione. A luglio 2008 si apre il processo contro Mori, dove l’accusa è sostenuta dai pm Ingroia e Di Matteo. E Ciancimino jr. a furia di rivelazioni, da figlio di mafioso, arrestato, condannato e alleggerito nelle proprietà e nei beni per la cifra astronomica di 60 milioni di euro, viene trasformato, grazie alla ribalta mediatica, in superteste (con tanto di scorta) di un processo, quello contro il generale Mori, che sui media è ormai diventato un “processo allo Stato”.

    L’interrogatorio dimenticato
    Secondo fatto. Fino al giugno 2009, Massimo Ciancimino rimane evasivo sul famoso papello custodito da papà Vito. Messo però alle strette dai pm, nel luglio 2009 (proprio nei giorni a ridosso della sentenza di Genova che ha ridotto la condanna al colonnello Michele Riccio, l’uomo che accusa il generale Mori di aver favorito la fuga di Provenzano), promette ai magistrati di consegnare il foglio con le richieste di Riina, e rivela loro che i primi incontri tra suo padre e gli alti ufficiali dei Ros (Mori e Giuseppe De Donno) risalivano al giugno del ’92, prima della strage di via D’Amelio. Ad oggi, però, a Palermo risultano depositate solo due fotocopie di appunti manoscritti: una del presunto papello di Riina, l’altra è la fotocopia della versione riveduta e corretta da Vito Ciancimino. Dove sono gli originali di questi documenti?
    Terzo fatto. Esistono manoscritti originali e verbali di interrogatorio, dei quali il pm Ingroia e l’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli sono a conoscenza dal gennaio del 1993, in cui Vito Ciancimino stesso parla degli incontri con gli ufficiali del Ros, l’allora colonnello Mori e l’allora capitano De Donno. Tali documenti sono stati depositati il 20 ottobre scorso al processo Mori. Che spiegazione ha dato di questi abboccamenti con Cinancimino l’ex numero 1 del Ros? Mori innanzitutto li ha collocati a partire dal 5 agosto 1992, dopo la morte di Borsellino (il che escluderebbe che la presunta trattativa mafia-Stato sia stata la causa della morte del magistrato). In secondo luogo il generale ha chiarito a quali ragioni investigative rispondessero tali incontri: attraverso il sindaco mafioso i carabinieri intendevano ottenere indicazioni per arrivare alla cattura dei boss. L’incontro significativo sarebbe stato il quarto, quello avvenuto il 18 ottobre 1992, dopo che Ciancimino aveva avviato i contatti con i corleonesi. Ha ricordato il generale Mori: «Mi disse: “Guardi, quelli accettano la trattativa. Voi che offrite in cambio?”. Io non avevo nulla da offrire, per cui dissi: “I vari Riina, Provenzano si costituiscano e lo Stato tratterà bene loro e le loro famiglie”. A questo punto Vito Ciancimino si imbestialì». Ecco perché la “trattativa” è saltata: perché non c’è stata nessuna trattativa.

    E don Vito disse: il patto? Una palla sonora
    In seguito, nel dicembre del ’92, Vito Ciancimino viene arrestato. Il 15 gennaio 1993 il capitano Ultimo, dei Ros guidati da Mori, arresta anche Riina. Lo stesso giorno si insedia a Palermo il nuovo procuratore Giancarlo Caselli. Che da Mori viene immediatamente informato di una richiesta di Ciancimino: il sindaco vuole incontrare il nuovo procuratore palermitano nel carcere di Rebibbia, dov’è detenuto, perché intende rilasciare alcune dichiarazioni. Il 27 gennaio avviene il primo interrogatorio di Ciancimino. Sono presenti il procuratore Caselli, il pm Ingroia, il colonnello Mori e il capitano De Donno. Seguono numerosi interrogatori a cui sono sempre presenti Ingroia e Caselli. Quello che ci interessa è l’interrogatorio del 17 marzo 1993 (clicca sopra per scaricarlo – ndr) , ore 9.30. In quell’occasione Ciancimino parla estesamente con Caselli e Ingroia degli incontri avuti nel 1992 con i carabinieri. Nota bene: a quell’epoca l’ex sindaco di Palermo avrebbe tutto l’interesse a retrodatare il più possibile questi incontri, per candidarsi così ad accedere ai benefici per i “collaboratori di giustizia”. Cosa dice invece quel 17 marzo 1993 Vito Ciancimino? Spiega a Caselli e a Ingroia che «avevo avuto dal capitano De Donno varie sollecitazioni per iniziative comuni. Le avevo respinte. Ma dopo i tre delitti (quello di Lima, che mi aveva sconvolto; quello di Falcone che mi aveva inorridito; quello di Borsellino che mi aveva lasciato sgomento) cambiai idea. Manifestai la mia intenzione di collaborare, ma chiesi un contatto con un livello superiore. Conseguentemente il capitano De Donno tornò a casa mia (mi pare il 1° settembre 1992) accompagnato dal colonnello Mori. Esposi il mio piano: cercare un contatto per collaborare con i carabinieri. Questo piano fu accettato, e una ventina di giorni dopo incontrai una persona, organo interlocutorio di altre persone». Il “contatto” è Antonino Cinà, il medico della mafia. Ricorda Ciancimino: «Chiamai i carabinieri, i quali mi dissero di formulare questa proposta: “Consegnino alla giustizia alcuni latitanti grossi e noi garantiamo un buon trattamento alle famiglie”. Ritenni questa proposta angusta per poter aprire una valida trattativa».
    Cosa fanno davanti a queste dichiarazioni Caselli e Ingroia, l’uomo che conduce l’accusa contro Mori e sostiene la tesi di una trattativa tra mafia e Stato? Nulla. Non battono ciglio. Leggono, firmano e sottoscrivono il verbale dell’interrogatorio. Vito Ciancimino racconta anche altro in quell’interrogatorio del 17 marzo 1993. Racconta di un secondo tentativo di collaborare con i carabinieri. Ecco le sue parole a verbale: «Il 17 dicembre partii per Palermo, dove mi incontrai con l’intermediario-ambasciatore. Io gli avevo raccontato (d’intesa con i carabinieri) una “palla” sonora, grossa come una casa, vale a dire che un’altissima personalità della politica (che non esisteva), che era un’invenzione mia e dei carabinieri, voleva ricreare un rapporto tra le imprese. Comunicai l’impegno dell’interlocutore-ambasciatore a rispondermi al capitano De Donno. Questa comunicazione avvenne il sabato. Mezz’ora dopo questo colloquio venivo arrestato». Dunque: Ciancimino dichiara anche di aver proseguito i contatti con i mafiosi e riferito ai carabinieri. Malgrado questo, viene arrestato. Naturale che sia imbufalito. Eppure, nonostante abbia più di una ragione per volersi vendicare dei carabinieri che lo usavano ma non lo hanno sottratto all’arresto, non si presenta come il tramite tra Riina e Mori e come il custode di un documento (il famoso papello) che prova l’esistenza di una trattativa con lo Stato. Anzi. Don Vito bolla il coinvolgimento di «un’altissima personalità della politica» come «una palla sonora, grossa come una casa». Quel 17 marzo Ingroia legge e sottoscrive tutte queste affermazioni di Ciancimino. I dubbi gli sono venuti diciassette anni dopo.

    02 Novembre 2009

    Estratto dalla rivista "Tempi"  -  LINK

     
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