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    enrix 21:16 on 26 July 2010 Permalink | Rispondi
    Tags: claudio martelli   

    CLAUDIO MARTELLI RISPONDE 

    Siparietto: Ulpio Mercatali, un nuovo Francisco Pizarro, un conquistador di questo minuscolo “pueblo” andino degli amanti della verità, per ribattere al Segugio cita un virgolettato attribuito da Repubblica a Claudio Martelli.  
    Io gli replico che quella frase, per logica, non può essere che una fabbricazione del giornale, ed annuncio di volere interpellare Martelli in argomento. E mentre Mercatali fa le boccacce, Claudio Martelli invece, gentilmente, subito mi risponde: è una forzatura del giornale, “o peggio”.

    claudio martelli

    Egr. Dott. Martelli,
    sono  […] e mi occupo, per pura passione, di giornalismo d'inchiesta in veste di blogger.
    Ho recentemente scritto un libro imperniato sulle testimonianze di Massimo Ciancimino, dal titolo "prego, dottore!", che nonostante sia venduto soltanto online sul mio blog, ha ottenuto un discreto successo e meritato molte recensioni lusinghiere anche sulle pagine di quotidiani nazionali.
    Se Ella vorrà rilasciarmi un indirizzo per la spedizione, sarò lieto di farle omaggio di una copia.
     
    Il motivo per cui mi permetto di disturbarLa, riguarda però un dubbio che mi attanaglia da qualche tempo, e che non so come risolvere se non chiedendo a lei soltanto un brevissimo chiarimento.
     
    In data 15-16 ottobre 2009, alcuni quotidiani nel riferire delle sue note deposizioni dinnanzi ai procuratori di Palermo e Caltanissetta, Le hanno attributo, in virgolette, questa affermazione:
     
    "Intuii che Borsellino sapesse della trattativa fra Stato e boss per fare cessare la stagione delle stragi e di recente me lo ha confermato Liliana Ferraro".
     
    Poichè mi risulta invece che la sua posizione sia sempre stata chiara nel definire semplicemente come "contatti" quelli fra gli ufficiali del ROS e don Vito Ciancimino, e mai come "trattativa fra Stato e boss" vera e propria, e poichè al processo "Mori" lei ebbe poi a dichiarare:
     
    "“«SE MINIMAMENTE AVESSI SUBDORATO UNA TRATTATIVA TRA RAPPRESENTANTI DELLO STATO CON LA MAFIA AVREI FATTO L'INFERNO, DENUNCIANDO TUTTO PUBBLICAMENTE».
     

    e ancora:
     
    «Non le tenni per me. Ne parlai con il ministro dell'Interno di allora, Scotti, e con i capi di polizia e Dia. Lo ritenni una evidente insubordinazione dei Ros, MA NESSUNO PARLÒ MAI DI TRATTATIVA. »
     
    mi domandavo se Lei non mi poteva confermare o meno, molto brevememente, se la frase attributale dai quotidiani in data 15-16 ottobre 2009
     
    "Intuii che Borsellino sapesse della trattativa fra Stato e boss per fare cessare la stagione delle stragi e di recente me lo ha confermato Liliana Ferraro",
     
    sia stata effettivamente da Lei espressa in forma letterale, o se si tratti piuttosto di una forzatura degli stessi quotidiani.
    Ringraziandola moltissimo ed anticipatamente per qualsiasi  riscontro ella mi vorrà fornire, le confermo tutta la mia più sincera stima, e le porgo i miei più cordiali saluti.
    Enrico  […]
     
     
    La risposta di Claudio Martelli:
     
    E'una forzatura o peggio fanno testo le dichiarazioni che ho reso in udienza.
    I'll mio indirizzo e' […].
    La saluto cordialmente, CM

     
    • enrix007 22:37 on 26 July 2010 Permalink | Rispondi

      Come può constatare, Mercatali, a differenza del musicista americano amico del suo amico, l'ex Ministro di Grazia e Giustizia è ancora vivente.

    • anonimo 01:50 on 27 July 2010 Permalink | Rispondi

      Caro Enrix è sempre la stessa Storia. Stavo leggendo il libro di Lo Bianco l'agenda Nera ed assalito dal dubbio che la Ferraro e Martelli avessero parlato di trattativa, proprio ieri sera ho fatto una piccola ricerchina.Mi sono accorto che mai avevano parlato di trattativa nonostante i titoli dei giornali facevano credere il contario, a tal proposito ho scirtto un post che linko, indicativo per dimostrare l'approssimazione con cui vengono spacciate per vere certi tesi:http://www.paologuzzanti.it/?p=1500#comment-120341Gianluca

    • Sympatros 20:48 on 27 July 2010 Permalink | Rispondi

      Bart, purtroppo per Sympatros si tratta dell'ennesima pagliacciata.Io conosco già retroscena che purtroppo non posso ancora rivelare.Ma credo che presto avremo occasione di divertirci.Sympatros, resta con noi su questi schermi, mi raccomando.Io sono qui e amo divertirmi""Anche Massimo Ciancimino, il teste figlio dell’ex sindaco di Don Vito, è sorpreso: “Il signor Franco parlava molte lingue ma secondo me era un militare non un diplomatico. Mostrava un’età inferiore agli attuali 84 anni. Inoltre non ho mai avuto sentore che potesse essere israeliano. Mio padre era amico di un commerciante di diamanti ebreo ma era di origini tedesche e si chiamava Leos Gluts”".http://www.docmafie.it/2010/07/27/cosa-nostra/signor-franco-moshe-gross/

    • Sympatros 20:53 on 27 July 2010 Permalink | Rispondi

      SONO QUI E AMO DIVERTIRMI……non andava in corsivo… perché sono proprio io che amo, oltre al divertissement pascaliano, anche il divertimento tera tera!

    • enrix007 23:12 on 27 July 2010 Permalink | Rispondi

      Sympatros, chiunque ama divertirsi, e anch'io naturalmente.Ma per una volta, vorrei chiederti di contribuire in positivo, forte delle tue qualifiche professionali.Potresti dunque dirmi se, scrivendo in stampatello, sulle "I" maiuscole è in uso, in qualche circostanza, mettere i puntini?

    • AntonEgg 17:28 on 29 July 2010 Permalink | Rispondi

      In merito all'uso del termine "trattativa" vi sottopongo questo breve estratto dalla sentenza della Corte d’assise di Firenze del 6/6/1998 in merito al processo per le stragi del 92-93Parte Quinta – Cap. V pagg. 1530-1549( N.B. Il documento  pdf che ho io, non è costituito dalle fotocopie della sentenza, ma da testo vero e proprio con impaginatura  diversa dall'originale. La parte di testo citato si trova apag. 954 di 1087)————————————- inizio estratto ———————————-Sotto questi aspetti vanno dette senz’altro alcune parole non equivoche: l’iniziativa del ROS (perché di questoorganismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano, il vicecomandante e lo stesso comandante del Reparto)aveva tutte le caratteristiche per apparire come una “trattativa”; l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello diconvincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione. Come è stato adombrato qua e là, senza nemmeno un argomento indiziante, da vari soggettiprocessuali.Sotto questi profili non possono esservi dubbi di sorta, non solo perché di “trattativa”, “dialogo”, haespressamente parlato il cap. De Donno (il gen. Mori, più attento alle parole, ha quasi sempre evitato questi duetermini), ma soprattutto perché non merita nessuna qualificazione diversa la proposta, non importa con qualiintenzioni formulata (prendere tempo; costringere il Ciancimino a scoprirsi o per altro) di contattare di vertici di“cosa nostra” per capire cosa volessero (in cambio della cessazione delle stragi).Qui la logica si impone con tanta evidenza che non ha bisogno di essere spiegata.Quanto agli effetti che ebbe sui capi mafiosi soccorrono, assolutamente logiche, tempestive e congruenti, ledichiarazioni di Brusca.Su questo personaggio si potrà dire, ancora una volta, quello che si vuole, ma il tempo (luglio-agosto 1996) incui parlò, per la prima volta, di questa vicenda, spazza ogni dubbio sulla assoluta veridicità di quanto ebbe araccontare.Allora, infatti, l’esistenza di questa trattativa era sconosciuta a tutti i protagonisti di questo processo; Brusca nonpoteva “prenderla” da nessuno (lo stesso generale Mori ha dichiarato di averla raccontata al Pubblico Ministerodi Firenze nel mese di agosto del 1997).Eppure, egli ne parlò in termini assolutamente convergenti (e speculari) con quelli introdotti dai due testi diPolizia Giudiziaria sopra esaminati.———————————————— fine estratto ——————————-Va' precisato che sia Mori che De Donno nelle loro deposizioni parlano non solo di contatti per indurre Ciancimino a collaborare (inizialmente) ma anche per indurre i vertici di Cosa Nostra a consegnarsi.Comunque sia, ritengo l'estratto interessante per almeno due ragioni1) Perchè fa risalire al 97 la prima rivelazione (completa) di Mori sulla faccenda. Pertanto, non capisco come le parole di Martelli nel 2009 (12 anni dopo) ad anno zero, possano essere state considerato uno scoop da Santoro & CO.2) Perchè ipotizza che le interpretazioni date dai vertici di cosa nostra  del contatto ROS Ciancimino possano essere state alquanto differenti dagli intendimenti del ROS. In altre parole ritengo non inverosimile che Riina & CO possano aver pensato che lo stato si era fatto avanti. Ammesso e non concesso che Vito Ciancimino abbia parlato della cosa con Riina, immagino che, da politico scafato,  abbia usato una tattica morbida, molto diversa da quella che avrebbero usato i ROS direttamante con Riina. Sapete come sono i politici, promettono sempre grandi cose, ma diverse in funzione dell'interlocutore. In sintesi, un messaggio di invito alla collaborazione in sede giudiziaria, potrebbe essersi trasformato passando per gli intermediari, nella famigerata trattativa stato mafia.Anton

  • Avatar di enrix

    enrix 02:44 on 23 November 2009 Permalink | Rispondi
    Tags: , claudio martelli, , , , , , , , , , , , , , , , , , ,   

    I manoscritti sulla "trattativa" tra stato e mafia 

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    1) Premessa

    Prima di partire con la prima puntata del nostro telefilm, debbo fare una precisazione   doverosa.

    Quando per carburare il Truman Show si da il via ad una campagna mediatica, non è detto che tutti coloro che vi partecipano facciano parte della regia.

    Molti giornalisti, magistrati, politici, ecc…ecc… partecipano alla messa in onda del “rumor” , vale a dire quel suono, quel vociare che parte nel giornale del mattino e si conclude con le serate televisive, a volte persino inconsapevolmente, e vale a dire semplicemente ripetendo o facendo da eco alla colonna sonora dello show, e cioè ai virus informativi lanciati dai registi, convinti di fare cosa giusta e, certe volte, persino di avere a che fare con cose veritiere.

    Ergo, quando in questo sito, analizzando un testo od una trasmissione televisiva, scopriremo qualche cumulo di sciocchezze, occorre ribadire che tali sciocchezze non sempre, per chi le enuncia,  rappresentano qualcosa di scritto o pronunciato in stato di coscienza e consapevolezza, e quindi di dolo, ma che si può trattare semplicemente e giustappunto di sciocchezze, corbellerie, bufale, proposte al pubblico per mera superficialità ed approssimazione, da qualcuno che non ha verificato né approfondito la notizia innestata nello show da chi sta in cabina di regia, o da chi si è lasciato semplicemente trasportare dall’enfasi e dal noto metodo del “più o meno”.

    In sintesi: proponendo una teoria di imprecisioni, falsità e corbellerie, non è vero che intendiamo significare allo stesso tempo che gli autori delle stesse siano dei falsari di mestiere o dei criminali.

    Molte  volte, anziché di paraculi,  si tratta di gente pasticciona e poco professionale,  od anche ingenua , così come ingenua ed innocente è la schiera dei lettori o telespettatori che recepisce le notizie così come sono, senza alcuno spirito critico.

    Altre volte invece, pizzicheremo i veri e propri mascalzoni, i cervelli criminali. (Non distante da qui, negli articoli di Segugio dei giorni scorsi, abbiamo parlato di uno di questi, e bello grosso).

    Buona lettura.
     

    2) I manoscritti sulla "trattativa" tra stato e mafia


    C’eran tre papelli,
    vergati da Don Vito.
    Ma, di tre, due son patacche, ahimè.
    Lui non ci ha mai messo dito.

    truman show avatar.bmp Da  molti anni ormai si parla del famigerato papello, il foglio contenete l’elenco delle pretese avanzate allo Stato dalla mafia per allentare la morsa degli attentati e delle stragi.  Su questo blog abbiamo già trattato diffusamente dell’argomento, nell’articolo  “De papellibus”.

    A metà dello scorso mese di ottobre, il presunto papello è saltato fuori, consegnato prima in fotocopia, e quindi in originale, da massimo Ciancimino ai PM di Palermo.

    Insieme al papello, son saltati fuori altri due documenti.

    Il primo, è un papello-bis, un altro foglio contenente richieste che lo stato avrebbe dovuto esaminare per trattare con la mafia, sulla base delle stesse, onde fermare gli attentati.

    Il secondo, è un memoriale di 13 pagine, sulla trattativa, manoscritte da Vito Ciancimino nel 1993 e pubblicate integralmente e per la prima volta il 21 ottobre scorso, contemporaneamente su questo blog e sul blog “censurati.it” di Antonella Serafini, cui va il merito di avere reperito il documento. Memoriale che, come vedremo, era già in mano ai Procuratori di Palermo ancor prima che fosse manoscritto. (?….tranquilli, ora ve la spiego).

    Quindi, TRE documenti, che ho descritto in forma sintetica.

    A questo punto, per calarsi nello show provando in modo pieno ed appagante  la sensazione di essere un Mr. Truman come si deve, bisogna prima capire bene CHE COSA SIA EFFETTIVAMENTE ognuno di questi documenti.

    Così funziona. Per capire che ti è caduto un faretto cinematografico tra i piedi, bisogna prima sapere bene che cosa è e com’è realmente fatto, un faretto cinematografico.

    E quindi, ecco qua.


    —-> documento numero uno: il papello originale

    Lo vediamo in questa immagine:

     

    Come ho
    detto, è un elenco di 12 pretese numerate, scritte dalla mafia per mano di un
    non precisato scrivano (secondo Brusca si tratta del Dott. Cinà), su di un
    foglietto in possesso di Don Vito Ciancimino, da lui consegnato al generale
    Mori e custodito, in copia, in cassetta di sicurezza sino ad un mesetto fa,
    allorchè Massimo Ciancimino riuscì finalmente a recuperarlo e quindi a
    consegnarlo ai magistrati inquirenti.

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    Come ho detto, è un elenco di 12 pretese numerate, scritte dalla mafia per mano di un non precisato scrivano (secondo Brusca si tratta del Dott. Cinà, secondo Sandro Ruotolo potrebbe trattarsi di Totò Riina, secondo me di uno qualsiasi), su di un foglietto in possesso di Don Vito Ciancimino, da lui consegnato, in ori ginale o in copia, al generale Mori e custodito, in originale o in copia, in cassetta di sicurezza sino ad un mesetto fa, allorchè Massimo Ciancimino riuscì finalmente a recuperarlo e quindi a consegnarlo ai magistrati inquirenti.

    Su questa copia, come si vede dall’immagine, qualcuno ha scritto «Consegnato, spontaneamente, al colonnello dei Carabinieri Mario Mori dei Ros», e secondo Massimo Ciancimino lo scrittore sarebbe suo padre.  E quindi anche secondo la totalità dei media nazionale, Don Vito risulta essere l’autore di quella scritta. Fatto importante, quella postilla, perché essendo provato e confermato dallo stesso Mori che siano avvenuti incontri fra di lui e Vito Ciancimino, quella scritta del defunto Don Vito, sarebbe un pesante indizio contro il generale, una prima rilevante prova che egli abbia ritirato “il papello” della trattativa fra mafia e stato, fatto che egli ha sempre negato.

    In realtà noi abbiamo fatto un confronto calligrafico fra parole equivalenti, estratte le une da questo e dal secondo papello (doc. numero 2)  e  e le altre dal documento numero 3, scritto certamente da Vito Ciancimino.

    Dal confronto fra le grafie, sorgono alcuni dubbi. Anche il papello bis, come il precedente, in alcune parti suscita perplessità..

    VEDI QUI IL CONFRONTO CALLIGRAFICO

     

    —–> documento numero due: il papello originale “rivisto” da Vito Ciancimino   


    Lo vediamo in questa immagine.

     


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    Secondo quanto afferma Massimo Ciancimino, suo padre quando lesse per la prima volta il PAPELLO N°1, considerò le 12 richieste delle “richieste da testa di m….”.

    Per lui quelle richieste poste allo stato erano irricevibili, assolutamente improponibili.

    Pensò quindi di redigere un elenco di richieste alternativo, con pretese più “soft” rispetto a quelle originali, diciamo “smussate” così da renderle proponibili. Ad esempio la richiesta di eliminazione delle accise sul carburante, veniva sostituita da Don Vito con una più realistica e ragionevole: la soppressione del Monopolio di Stato sui tabacchi.

    Su questo papello-bis si possono leggere, in testa, i nomi di Virginio Rognoni e Nicola Mancino.  «Quei due nomi non sono sul papello. Mio padre li scrisse a mano su un foglio a parte (il papello-bis)  facendo i suoi ragionamenti, le sue modifiche sui 12 punti della carta principale, cioè il papello»

    Quindi questo papello sarebbe stato scritto di proprio pugno da Don Vito, così come confermato anche da suo figlio Massimo, il superteste.

    In realtà, sempre dal confronto calligrafico da noi effettuato e già citato sopra, ANCHE QUESTO SECONDO PAPELLO suscità perplesità in più punti. 

     

    —–> documento numero tre: il memoriale di vito ciancimino del 1993

    Questo documento viene definito “memoriale”, ma in realtà non è esattamente questo.

    Sarebbe invece la trascrizione testuale, fatta di proprio pugno da Don Vito Ciancimino, di un verbale di una sua stessa deposizione redatto il giorno 17 marzo 1993 nel carcere romano di Rebibbia, innanzi al Procuratore Distrettuale della Repubblica di Palermo, dott. Giancarlo CASELLI e al sostituto Procuratore dott. Antonio INGROIA.

    Vito Ciancimino, che in carcere aveva tutto il tempo per farlo, trascrisse a mano quel verbale e lo corredò di un paio di paginette di note aggiuntive.

    Il motivo dell’operazione, si spiegherebbe col fatto che il Ciancimino aveva l’intenzione di affidare ad un editore straniero un suo libro di memorie, che nella sua stesura originale doveva essere interamente manoscritto, a provarne l’autenticità anche in caso di eventuale incapacità di conferma da parte dell’autore, caso mai gli fosse capitato qualche incidente.

    E quindi Ciancimino trascrisse a mano quella parte del suo verbale di deposizione innanzi ai PM, perché aveva l’intenzione di utilizzarla per il suo libro.
    In realtà poi, rinunciò, e la ripose in un cassetto.

    Questo manoscritto NON RISULTA ESSERE MAI STATO CONSEGNATO da Ciancimino a Mori, o comunque non c’è alcuna prova che ciò sia avvenuto.  Anzi, c'è la prova contraria. Infatti il documento originale, è stato sequestrato dagli inquirenti nel 2005 a Massimo Ciancimino, nel contesto delle iniziative cautelari disposte dalla Procura di Palermo per le indagini relative alle presunte attività di riciclaggio del patrimonio illegale paterno illecitamente condotte da  Ciancimino Jr.

    Consiglio a tutti, giunti a questo punto, di leggere attentamente il testo della deposizione di Ciancimino resa dinnanzi a INGROIA e trascritta nel memoriale, testo che PER LA PRIMA VOLTA, su di un mezzo di comunicazione, qui di seguito è riportato fedelmente (compresi gli errori, l’uso delle maiuscole, e le sottolineature).

    Chi lo desiderasse, può scaricare QUI il file con l'ipertesto del memoriale, e QUI il file con le immagini ad alta risoluzione delle pagine del memoriale.

    memoriale Amemoriale Bmemoriale C

     
     
    memoriale D

    Penso che dalla lettura del testo tutti quanti si possa notare quali siano i punti salienti

    e soprattutto quanto questi siano importanti.
    Innanzitutto Ciancimino comunica la data degli incontri avuti con i carabinieri: dal 25 di agosto 92 (De Donno) al 1° settembre 92 (Mori) e oltre. Tutte date che smentiscono l’attuale teoria accusatoria dei PM contro Mori, ed escludono il coinvolgimento dei ROS e della loro trattativa, nella strage di Via D’Amelio (luglio 92).
    Ciancimino poi, spiega qual’era l’oggetto della richiesta dei ROS: collaborazione per assicurare alla giustizia i latitanti. Altra testimonianza che assolve i ROS dalle accuse di torbide trattative.

    Ciancimino dice di aver deciso di collaborare con i ROS, e di avere anche iniziato, esaminando insieme a loro carte geografiche di Palermo ed altri documenti utili per la cattura di un grosso latitante.

    Ciancimino afferma di essere stato arrestato immediatamente dopo aver dato inizio alla sua collaborazione con i carabinieri, essendo secondo lui tale circostanza una ben strana coincidenza e priva di fondate motivazioni.

    Ciancimino afferma di aver avuto una richiesta dimostrazione di “referenza” e “credibilità” da parte del suo interlocutore emissario della mafia, consistente in un aggiustamento “delle sue cose”, e cioè del suo processo (non sarà per questo che Ciancimino per mezzo di Mori, chiedeva insistentemente un incontro con Violante, a partire dell’ottobre 92?)

    Di quella deposizione di Ciancimino dinnanzi a Caselli, trascritta dallo stesso Vito Ciancimino, ci ha parlato Marco Travaglio, il 22 ottobre scorso (che è il giorno successivo alla pubblicazione sui nostri blog, di questo “memoriale”.) sul “Fatto quotidiano”:

    “(Vito Ciancimino) lo sentirà Gian Carlo Caselli, poco dopo essersi insediato alla Procura di Palermo il 15 gennaio ’93 (lo stesso giorno dell’arresto di Totò Riina e della mancata perquisizione del covo da parte del Ros, forse nel timore di trovare carte inerenti la trattativa del papello). Ma Ciancimino, a quel punto, si ritrarrà a guscio e dirà ben poco sul delitto Lima e sul caso Andreotti. Anche perché sia Violante sia Mori si sono ben guardati dal rivelare a Caselli quel che sanno sui colloqui top secret fra il Ros e Ciancimino.”  (Travaglio: Violante, don Vito e l'antimafia          di Marco Travaglio – 22 ottobre 2009)

    Così, piuttosto rozzamente,  liquida Travaglio quella deposizione, che invece, non si ha che da leggerla,  è la sola testimonianza diretta della parte interessata, di come,  quando e perché sia avvenuta la famosa trattativa. Niente niente.

    All’inizio di marzo del 2005, come ho già detto, il manoscritto viene sequestrato a Massimo Ciancimino, nella sua abitazione, nell’ambito delle indagini a suo carico per riciclaggio.

    E’ importante leggere il resoconto dato da Repubblica in quella circostanza:

    Dieci pagine firmate Vito Ciancimino

    Repubblica — 06 marzo 2005   pagina 2   sezione: PALERMO

    Inchiesta riciclaggio, all' esame dei pm c' è anche un manoscritto dell' ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino sequestrato la scorsa settimana durante la perquisizione a casa del figlio Massimo. Dieci paginette manoscritte dal titolo: "I carabinieri". Vito Ciancimino avrebbe voluto inserirle nel suo memoriale scritto negli anni passati a Rebibbia, ma alla fine decise di tenerle a parte. Anche se il tema era sempre quello: la sua «collaborazione» con lo Stato e la famosa trattativa avviata da Cosa nostra con pezzi delle istituzioni dopo la terribile stagione delle stragi del 1992. Le dieci paginette iniziano così: «Il capitano Giuseppe De Donno è coetaneo e amico di mio figlio. Da tempo cercava di convincermi a parlare, ma io ho sempre detto di no. Ora a farmi cambiare idea sono stati l' omicidio di Salvo Lima, che mi ha turbato, quello di Giovanni Falcone, che mi ha sconvolto, e quello di Paolo Borsellino che mi ha atterrito». Un rapporto rimasto misterioso quello avviato proprio dopo le stragi tra l' ex sindaco di Palermo e i carabinieri. E rievocato anche dal generale Mario Mori, capo del Sisde, nell' ambito dell' inchiesta sulla mancata perquisizione del covo di Totò Riina in via Bernini. Ai magistrati di Caltanissetta che lo interrogarono sul caso, Mori ricostruì così la collaborazione con Ciancimino, definito da lui "fonte confidenziale". «Il capitano De Donno aveva instaurato un buon rapporto con il figlio Massimo, durante la detenzione del padre. Fu così che invitai De Donno ad approfondire i rapporti». Il primo ottobre del '92 Ciancimino avvia la sua collaborazione, 18 giorni dopo l' incontro decisivo. «Ciancimino mi informò che i suoi interlocutori avevano accettato di portare avanti un certo tipo di trattativa… gli chiesi di avere la consegna di Riina e degli altri assicurando che le famiglie di costoro sarebbero state trattate bene. Al che Ciancimino ebbe uno scatto improvviso… "Mi vuole morto, così morite anche voi". Aggiunse che avrebbe comunicato ai suoi interlocutori che vi era stato un momento di ripensamento e ci accompagnò alla porta». Un mese dopo, il figlio di Ciancimino contatta De Donno e lo invita a tornare dal padre. «Ciancimino aveva accettato – spiega Mori – e chiese una dettagliata mappa di Palermo nella zona compresa tra viale Regione Siciliana e Monreale. La sera stessa fu arrestato». In carcere l' ex sindaco accettò di parlare con i magistrati. «La collaborazione – conclude Mori – non approdò a buoni risultati. Si è perduta un' occasione importante». (…)ALESSANDRA ZINITI


    Si noti dunque bene che:
    Il manoscritto di cui parla Repubblica il 6 marzo 2005 è proprio il nostro terzo documento, quello di cui stiamo parlando

    Ergo quel documento era senz’altro a conoscenza dei PM sin dal marzo del 2005, ove fu da essi sequestrato

    I PM lo posero immediatamente “all’esame”. Situazione un po’ paradossale, trattandosi della stessa procura ove quel manoscritto, nella sua forma originale e non trascritta, era depositato agli atti sin dal marzo del 1993.

    Pur contenendo il manoscritto tutti i particolari della “trattativa” ed altri dettagli fondamentali in merito all’oggetto della collaborazione cui Ciancimino si era determinato, Repubblica omette di illustrarci tali contenuti, che sono invece la parte fondamentale di quell’atto giacente in tribunale sin dal 1993; riporta invece parti, in virgolettato, non significative.

    Il resoconto reso da Mori su quelle vicende, in parte riportato nel virgolettato sull’articolo di Repubblica, coincide perfettamente con quello reso da Ciancimino sul suo manoscritto.

    In ogni dettaglio. Ergo, ai cittadini italiani è stato sempre taciuto (in primis, già nell’articolo di Repubblica che ho citato, indi viene ancora taciuto oggi, salvo la possibilità di leggere il testo su questo modesto blog) CHE ESISTEVA UNA DEPOSIZIONE OLOGRAFA DI VITO CIANCIMINO, e cioè l’interlocutore dei ROS, RESA IN CARCERE, che confermava alla lettera, passo per passo, tutte le circostanze riferite da Mori in merito alla trattativa. Tutte, in ogni dettaglio. Come se fosse un particolare da nulla. Piccoli fondali dipinti del Truman Show che cominciano a scollarsi dal telaio di sostegno.

    Ed ora facciamo un salto di oltre 4 anni. Del misterioso manoscritto non si sente più parlare, sino al 16 ottobre 2009. (sto parlando dei mass-media, in vero, poichè nella sentenza di assoluzione dalle accuse a carico di Mori e De Caprio per il presunto reato di favoreggiamento, il memoriale era stato citato)

    Il giorno precedente, 15 ottobre, l’Avvocato di Massimo Ciancimino ha consegnato la copia dei Papelli (numero uno e numero due), ai PM Palermitani.

    Il settimanale L’Espresso, mette in rete la fotocopia dei Papelli alle ore 18.33, dello stesso 15 ottobre come dimostra questa diagnosi del file.

      data creazione espresso

    Nelle ore immediatamente successive, le immagini dei papelli sono sul web e sui giornali.

    Il giorno dopo, 16 ottobre, il TG3 serale decide di occuparsi della papellofanìa, e lo fa con un servizio di Fabrizio Feo.

    Ora che conosciamo bene i DOCUMENTI NUMERO UNO, DUE E TRE, possiamo rivederlo, e divertirci:


    E quindi lo trascriviamo, questo servizio del TG, col corredo delle immagini, poste a lato del testo,   che nel video erano temporalmente coincidenti con la narrazione trascritta.


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    tg3 16 nov 09

    Vediamo dunque brevemente cos’ha combinato il TG3 in questo servizio:

    Il video comincia con una descrizione del papello n°1. Nel frattempo viene mostrata l’immagine del papello n°2. Poi lo speaker prosegue con la descrizione del papello n°1, e conclude: “Se sia la copia del papello originale, o un pro-memoria di Vito Ciancimino (il documento n° 3 – ndr) , lo chiarirà Massimo Ciancimino.”

    A fronte di questo dubbio, io, senza scomodare Ciancimino jr.,  avrei la risposta pronta per i nostri simpatici redattori della RAI: “Entrambi tre”.

    Poi, ancora un’affermazione sibillina:

    Difficile invece spiegare incongruenze temporali e anomalie nell’elenco di richieste.”

    Su questo argomento lo speaker non aggiunge altro; noi sappiamo a cosa si riferisce, perché abbiamo studiato, ma il telespettatore medio comincia ad accusare capogiri non capendo di cosa stanno parlando al TG; anche perché, nel frattempo, prorompe per la prima volta sullo schermo televisivo l’immagine di un misterioso documento, che nulla ha a che vedere con quelli sino ad ora oggetto del servizio: il memoriale di Ciancimino del 93 (documento numero tre), in un dettaglio della quarta pagina dove campeggiano in primo piano tre inquietanti parole sottolineate “piena delega a trattare.” Trattare. Trattativa. Abbiamo capito, abbiamo capito.

    Ma proprio a questo punto viene il bello, perché il commentatore ci spiega: “ Secondo l’Espresso sul documento c’era un post-it, con l’annotazione: “Consegnato al colonnello dei carabinieri Mori dei ROS”. Giustamente nel riferirci tale notizia, il TG  riproduce, finalmente, un particolare del Papello n°1, quello giusto di cui sta parlando il servizio, e precisamente la frase citata vergata dal presunto Vito Ciancimino (e che, tra l’altro,  noi riteniamo essere un falso, una brutta imitazione).

    Dopodichè, un capolavoro della logica.

    TG3 si domanda: “Cos’era stato consegnato a Mori?”  E a quel punto appare la simpatica faccia barbuta del cronista, Fabrizio Feo, che ci spiega cos’era stato consegnato a Mori.

    Ma alla spiegazione di Feo anteponiamo un breve riassunto delle parti precedenti, perché è una perla che va vista nell’insieme.

    In  pratica, ci è stato detto:

    C’è un papello, fatto così e così, contenente le richieste della mafia. E’ stato consegnato in copia da Massimo Ciancimino ai PM. Se poi sia una copia di se stesso o un’altra cosa, ce lo deve dire Ciancimino. Poi su questo papello c’è una nota: “consegnato a Mori”. E cos’era stato consegnato a Mori? Ve lo dico subito: non il papello con su scritto “consegnato a Mori”, ma degli appunti, redatti tra il 92 e il 93, pieni di sorprese. (che tra l’altro, mai sono stati consegnati a Mori). E fra queste sorprese, ad es., c’è Vito Ciancimino che scrive di ritenere che i boss mafiosi siano pazzi, oppure abbiano le spalle coperte politicamente. Per ora, fine delle sorprese.

    Sticazzi, chiarissimo, ed inquietante.

    A quel punto bisogna assolutamente sentire che ne pensa Violante:

    VIOLANTE: “Ma, bisogna vedere bene prima  che cosa sono, questi appunti. Si parla di fotocopie… bisogna vedere se corrispondono a quello dato ai magistrati. Quindi sarei molto molto prudente Sia ben chiaro: la mafia ha sempre cercato il contatto con i poteri pubblici: non è una novità.

    TRADUZIONE: Ma santa pazienza, dite di volermi intervistare sul papello consegnato ieri da Ciancimino, e mi mostrate questa roba, una deposizione di Ciancimino davanti a Caselli nel 93 che non c’entra una sega col papello e quindi non è quello che ieri han dato ai magistrati. Che caspita volete che vi dica? Mah…, dirò di stare molto prudenti a far ‘sti casini coi documenti, e poi qualcosa di un po’ generico sui contatti fra mafia e politica. Ma guarda che mi tocca… 

    E in conclusione, torna il nostro


    SPEAKER: col famoso papello finalmente sul tavolo dei magistrati, e le rivelazioni sui contatti fra stato e cosa nostra giunte a Paolo Borsellino poco prima della sua morte, i magistrati hanno elementi per nuove indagini, che potrebbero far luce sul periodo delle stragi, e sulle responsabilità.

    Tutto chiaro, il telespettatore è servito. Ora, grazie a queste informazioni opportunamente approfondite e spiegate dal nostro Truman Show, sa che i magistrati hanno sul tavolo una patacca, che si va ad aggiungere agli altri schiaccianti elementi a loro disposizione per nuove indagini, come “le rivelazioni sui contatti fra stato e cosa nostra giunte a Paolo Borsellino poco prima della sua morte”.

    E quali sarebbero queste rivelazioni?

    Le sole ed uniche rivelazioni nuove, sulle informazioni giunte a Borsellino sulla trattativa, sono quelle di Martelli ad Annozero, e cioè:

    «Mi fu comunicato dal direttore degli Affari penali del ministero, Liliana Ferraro, che era venuta a trovarla l’allora capitano Giuseppe De Donno, che l’aveva informata che Vito Ciancimino aveva volontà di collaborare». Cui seguì una precisazione di Sandro Ruotolo, che riferisce  che, secondo Martelli, Borsellino fu avvertito direttamente dalla Ferraro della volontà di Ciancimino di trattare.


    Quindi queste nuove rivelazioni, sarebbero che Borsellino era stato informato che Don Vito Ciancimino voleva collaborare con gli inquirenti (nespole, che rivelazioni inquietanti). Che è esattamente ciò che Mori va ripetendo da anni, nonché ciò che era agli atti della Procura di Palermo, con la deposizione dello stesso Ciancimino che abbiamo pubblicato, da oltre 16 anni.

    Caspita, proprio  nuove, nuovissime, rivelazioni.

     

    Questo è l’Italian Truman Show, giunto al termine della sua prima puntata.

    enrix                   
     

     
    • anonimo 23:36 on 24 November 2009 Permalink | Rispondi

      Enrix, tu affermi:

      Innanzitutto Ciancimino comunica la data degli incontri avuti con i carabinieri: dal 25 di agosto 92 (De Donno) al 1 settembre 92 (Mori) e oltre. Tutte date che smentiscono l’attuale teoria accusatoria dei PM contro Mori, ed escludono il coinvolgimento dei ROS e della loro trattativa, nella strage di Via D’Amelio (luglio 92)

      In realtà sono tutte date che smentiscono gli stessi  De Donno e Mori.

      Udienza del 24 gennaio 1998, al processo per le stragi nel continente celebrato di fronte alla Corte di Assise di Firenze:

      Teste Mori:…Incontro per la prima volta Vito Ciancimino a casa sua, a via di Villa Massimo, che è dietro Piazza di Spagna a Roma, il 5 agosto…nel pomeriggio del 5 agosto del 92

      A supporto di questo e di altri incontri Mori consegna ai giudici pagine delal sua agenda

      Teste Mori: Sì, ho portato la fotocopia delle pagine, solo delle pagine relative, ovviamente. E qui leggo: "5 agosto tra le 14 e le 15" – dell’agenda – "incontro con V.C.", cioè Vito Ciancimino.
      "Sabato 29 agosto, ore 16.00 V.C.", cioè Vito Ciancimino.
      "1 ottobre" – sempre di quell’anno – "pomeriggio, colloquio con V.C.".
      "Domenica 18 ottobre ore 11.30 V.C.".
      "22 gennaio" – dell’anno successivo, quindi siamo nel 93 – "ore 9.00, incontro con V.C.", qui a Rebibbia, anche se non l’ho scritto – "ore 14.00, 13.30 – 14.00 incontro col dottor Caselli"

      Quesito: chi dice la verità?

      Veniamo ora a De Donno, sempre il 24 gennaio 1998.

      Teste De Donno: …E abbiamo provato il contatto che, tra la strage di via Capaci e la strage di via D’Amelio, avviene. Perché Ciancimino accetta di incontrarmi nella sua abitazione di Roma. In quel periodo che Ciancimino era libero…

      Enrix, tu affermi: …il resoconto reso da Mori su quelle vicende, in parte riportato nel virgolettato sull’articolo di Repubblica, coincide perfettamente con quello reso da Ciancimino sul suo manoscritto.

      In realtà, più correttamente, è vero l’inverso: ciò che affermano Mori e De Donno coincide nella sostanza con gli interrogatori resi da Vito Ciancimino nel 1993 indipendentemente dalla veridicità o meno della sua trascrizione. La sequenza temporale degli eventi può non essere neutra rispetto all’analisi di queste testimonianze. Vediamo perché.

      Teste Mori:...L’inizio delle escussioni del Ciancimino verso la metà di febbraio. Ad alcune ho assistito anch’io. Nel contesto di queste dichiarazioni che rese ai magistrati della Procura di Palermo, Ciancimino fece cenno a tutta la vicenda del rapporto tra di noi e lui.
      Il capitano De Donno, che compilò gli atti relativi e tutti gli accertamenti connessi connessi alle dichiarazioni di Ciancimino, riferì anche sui nostri rapporti. La Procura di Palermo non ci ha mai chiesto alcunché su questo fatto.

      Nei fatti, potremmo dire che Mori e De Donno nel 1998 confermano ciò che già è stato detto nel 1993.

      Per ora è tutto.

      Andrea G.

    • enrix007 02:01 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Ottimo intervento Andrea, ed ottime argomentazioni.

      le commenterò domani, che ora sono stanco.

      Però le incongruenze sulla data del primo appuntamento, credo meritino approfondimento, ed anche un articolo. Vanno senz’altro chiarite.

      Dimmi, se mi puoi asser d’aiuto: a quale fonte hai attinto per i verbali del 24 gennaio 98?

    • anonimo 10:11 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Buongiorno Enrix,

      L’Associazione delle vittime della strage di via dei Georgofili recentemente ha messo in rete i verbali dei dibattimenti.

      Vai a:

      http://www.strageviadeigeorgofili.org

      A sinistra dello schermo vai a "documenti", poi "verbali del primo dibattimento", poi "udienze", clicca su "980124", lì ci sono le deposizioni di Mori e De Donno.

      A presto

      Andrea

    • anonimo 17:17 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Scusa Andrea perchè scrivi chi dice la verità? Premesso che comunque gli incontri sono successivi la morte di Borsellino (come giustamente scrivi anche te) immagino che sia stato Ciancimino a ricordare male. Ho esistono atti ufficiali in cui Mori sostiene altre date?

      Solo per capire, Andrea.

      Gianluca

    • anonimo 17:24 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Tra l’altro leggo dagli atti ufficiali che gentilmente Andrea hai linkato relativi alla sentenza sulle stragi trovo scritto che Mori non ha agito assolutamente fuori le righe ha solo cercato con la collaborazione con Ultimo di arrivare ai capimafia:

      SENTENZA  (n. 2/2000 – depositata il 20.4.2000)

      In effetti Mori, che aveva informato Subranni il quale – pur lasciandogli ampi
      margini di autonomia e concordando con l’iniziativa – lo avvertì che il
      personaggio era abile e da trattare con estrema cautela e circospezione (la sostanza dei consigli fu questa anche se Subranni non ha confermato i termini letterali delle raccomandazioni come riferite da Mori: “…ti può mettere sotto scopa …”), e De Donno si accreditarono presso Ciancimino come rappresentanti dello Stato. Al di là di ogni loro aspettativa, Ciancimino si mostrò disponibile, e il 1 ottobre confermò che era in grado di fare da intermediario con i “corleonesi”. Quando, il successivo 18 ottobre, chiese esplicitamente cosa avevano da offrire, il “bluff” dei due ufficiali venne scoperto. Essi, in realtà, non potevano dare nessuna garanzia, e Mori fece l’unica proposta cui, quale ufficiale di p.g., era legittimato: Riina e Provenzano avrebbero dovuto costituirsi, i loro
      familiari sarebbero stati protetti. Dunque, una richiesta di resa incondizionata. Ciancimino ebbe una reazione impressionante, scattò in piedi adirato e congedò l’interlocutore dicendo: “Lei mi vuole morto, anzi vuole morire anche lei, io questo discorso non lo posso fare a nessuno.”
      Il 19 dicembre Ciancimino fu arrestato, in seguito risulta aver collaborato, ma, citato dalla difesa perché deponesse ai sensi dell’art. 210 c.p.p. all’udienza del 13.10.1999, si è avvalso della facoltà di non rispondere.

    • anonimo 18:16 on 25 November 2009 Permalink | Rispondi

      Ciao Gianluca,

      sinteticamente poi probabilmente ci ritorneremo.

      - De Donno incontra, a suo dire, Vito Ciancimino tra le due stragi, poi, dopo la strage di via D’Amelio interviene Mario Mori

      - chiedo "chi dice la verità" perché le date di Mori differiscono da quelle della trascrizione di Ciancimino.

      Non ho espresso la mia opinione su chi dica la verità, può essere benissimo che Ciancimino abbia ricordato male. Più difficile che sia Mori a dire il falso perché ha con sé le pagine delle sua agende.

      Il problema è un altro (tra i tanti): siamo sicuri che la trascrizione di Ciancimino sia autentica? aggiungo che più della trascrizione a me interessano i verbali degli interrogatori al Ciancimino. Io non li ho ma per una serie di ragioni io credo che collimino nella sostanza con quelli successivi a Mori e De Donno.

      In questo stadio dell’analisi non esprimo ancora giudizi sui comportamenti dei soggetti.

      Andrea

    • anonimo 00:13 on 26 November 2009 Permalink | Rispondi

      Capisco che giustamente vuoi approfondire, stessa cosa mia, ma attualmente quanto sostiene Enrix è immodificabile, sto parlando delle considerazioni fatte con il materiale che abbiamoa disposizione.

      Di certo traspare una considerazione certa, è in atto un depistaggio MEDIATICO DI DIMENSIONE GIGANTI.

      Gianluca

    • enrix007 03:31 on 26 November 2009 Permalink | Rispondi

      E non è neppure un’operazione troppo facile, caro Gianluca, bisogna darne atto.

      Se si spinge troppo sul filone trattativa, si possono sottrarre elementi indiziari a carico di Berlusconi come mandante.

      Se si spinge troppo sul movente-mandante "Berlusconi", si depaupera il filone trattativa col rischio di scagionare Mori, che è già sotto processo.

      Non a caso il filone trattativa è spinto nel processo Mori, e l’altro nel processo Dell’Utri.

      Di fatto sono due processi che si contendono mandanti e moventi delle stragi, con una sapiente regia mediatica che cerca di renderli compatibili e conniventi tutti e due.

      Compatibili con la possibilità di esistere, ma per ora ben poco con la realtà, perchè ci sono testimnianze in contrasto fra di loro e documenti falsi che girano nelle aule di giustizia.

      Eh, si. Per fare luce occorrerebbe un po’ di pulizia.

    • anonimo 09:17 on 26 November 2009 Permalink | Rispondi

      A me sembra che si stia cercando di separare le varie stragi, quelle del 92 da quelle del 93.
      Berlusconi secondo le indiscrezioni viene abbinato ormai solamente alle bombe del 93.
      Anche le stragi del 92 vengono separate; quella di Capaci è opera della mafia, credo che nessuno lo metta in dubbio, quella di via D’Amelio sarebbe opera dello stato.
      Insomma quello che sembrava semplice, bombe di mafia, lo stanno facendo diventare una cosa complicatissima.

      La strage di Capaci mi permette di fare una divagazione.
      Ieri ho sentito alla radio da Cruciani le disavventure di Schifani. Credo che ad esporle fosse Flores D’Arcais, mi è sembrato che Cruciani lo chiamasse Flores o Floris, ma non mi sembrava la voce di Giovanni Floris.
      Cosa sosteneva Flores? Sosteneva che in un paese civile Schifani non sarebbe neanche in parlamento perchè quando era avvocato difese il costruttore di un edificio abusivo a Palermo, questa mi è sembrata l’accusa.
      E come la mettiamo con quel senatore dell’IDV che prima di essere eletto è stato il difensore di Giovanni Brusca, quello che ha messo la bomba a Capaci?
      Sottosegretario alla giustizia del governo Prodi.
      Se i dubbi valgono per Schifani, a maggior ragione, secondo me, valgono per Li Gotti.
      Se non dubitiamo di Li Gotti, non possiamo dubitare nemmeno di Schifani.

      L’avvocato che umanizza la ferocia.

      http://archiviostorico.corriere.it/1996/settembre/01/Gotti_avvocato_che_umanizza_ferocia_co_8_9609013761.shtml

      Ciao, Gabriele

    • anonimo 11:48 on 26 November 2009 Permalink | Rispondi

      Non voglio entrare nel merito di date, luoghi e stragi.
      Da politico in erba, vorrei fare delle considerazioni che, stante le lapallisiane manipolazioni in corso nelle procure di Palermo e Caltanisetta, mi portano a leggere i FATTI sotto altra luce, ponendomi altresì una domanda: perchè?
      Perchè dei PM che già avevano indagato, interrogato, raccolto testimonianze, confessioni, già all’epoca delle due stragi (CHE NON SONO DI STAMPO MAFIOSO, PERCHE’ LA MAFIA UCCIDE NEL SILENZIO DELLA LUPARA), con processi già celebrati, sentenze già emesse, oggi a distanza di 16-17 anni dai fatti, riaprono il tutto?
      Perchè dei PM danno credito a dei pentiti, già sentiti, vagliati, smentiti da processi, che fanno rivelazioni  solamente di derelato, oggi hanno credito?
      Perchè dei PM, perseguendo nella loro volontà di piegare anche la dimensione temporale, voglio mettere sotto lo stesso cappello, due processi, Dell’Utri e Mori, così da far contraddire le due corti chiamate a giudicare, creando una dicotomia lampante nella giustizia italiana?
      Se tutti diamo la stessa risposta, allora credo che si arriverà a quello che non si riuscì di fare nel 1992 e che SB con la sua discesa in campo nel ’94 non permise e cioè all’allegra armata di instaurare un regime di allegro comunismo, in mano ai poteri forti del Britannia.
      Quindi se tutto il lavoro meritorio di Enrix diviene per l’ennesima volta carta straccia, ci troveremo ancora a dover difendere, ob torto collo, uno come SB che è la negazione della politica e l’anfitrione della menzogna, ma che cmq rimane il mane minore per la democrazia italiana.

      Star Joe, coffa di maestra Catania

    • anonimo 03:02 on 30 November 2009 Permalink | Rispondi

      Ciao Enrix, hai scritto che dal doc.3, la mafia voleva da Ciancimino una prova di credibilità, che aggiustasse alcune cose, probabilmente un processo… e forse proprio per questo C. voleva incontrare Violante. Non hai approfondito… Non si può ipotizzare che questo fosse un anticipo di contropartita richiesta dalla mafia? C. voleva incontrare Violante (mi pare non ci riuscì) ma chi ci dice che non abbia trovato qualcun’altro disposto ad ascoltarlo? Insomma questa frase ha attirato la mia attenzione, se la mafia ha richiesto questo tipo di garanzia vuole dire che si aspettavano fosse possibile ottenerla… tu invece l’hai buttata li senza approfondire…

      Ma poi in molti punti del memoriale C. lascia intendere che secondo lui i suoi interlocutori mafiosi avevano le spalle coperte politicamente, cioè la trattativa vera non era la sua con i Ros ma un’altra che stava comunque avvenendo… tu non lo hai per niente approfondito… questo è il punto importante. Non il fatto che i Ros non c’entrano, ma il fatto che la trattativa pare esserci stata.

      Ultima cosa, secondo te da chi è mosso Ciancimino junior? Perché i papelli falsi?

      Luigi C.

    • anonimo 09:13 on 30 November 2009 Permalink | Rispondi

      Buongiorno sig. Enrix
      stamattina ho ascoltato come il solito la rassegna stampa di radio24 ed e’ stato letto un articolo della giornalista Marcelle Padovani (spero di non sbagliarmi), autrice di un libro su Falcone, che in non so quale quotidiano in edicola oggi ha detto che Berlusconi vive nel Truman Show (testuali parole).
      Ho subito pensato che magari e’  capitato su queste pagine!
      Buona giornata.
      Luigi (C. anch’io ma non sono quello di sopra. Sono quello del Pensatore, per capirci)

    • anonimo 09:35 on 1 December 2009 Permalink | Rispondi

    • anonimo 13:29 on 2 December 2009 Permalink | Rispondi

      Ciao Enrix, volevo segnalarti un interessante articolo su democrazia e legalità
      http://www.democrazialegalita.it/redazione/redazione_vere_parole_borsellino=24novembre2009.htm
      Vai alla fine della pagina che ti ho linkato e clicca su link… chissà che tu non riconosca la fonte

    • anonimo 13:29 on 2 December 2009 Permalink | Rispondi

      il mio nome è Alex

  • Avatar di enrix

    enrix 02:31 on 12 November 2009 Permalink | Rispondi
    Tags: claudio martelli, , , , , , ,   

    COSE SU FALCONE DIMENTICATE – 3 

    COSE SU FALCONE CADUTE NEL’OBLIO – 3

    Watch Convegno su "Oro da Mosca". Stephankov parla di Giovanni Falcone.  

     

    E siamo alla seconda parte, quella conclusiva, dello stralcio del convegno dell’8 novembre 1999 per la presentazione del volume di Valerio Riva "Oro da Mosca" con la partecipazione del sen. Giulio Andreotti, dell’on. Antonio Martino e di Valentin Stepankov, deputato alla Duma ed ex procuratore generale della Russia.

     

    In questa parte interviene telefonicamente Claudio Martelli, già Ministro di Grazia e Giustizia nel periodo in cui furono barbaramente uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

     

    Prima di scoprire che cosa diceva dunque Martelli in quel convegno del ’99, vorrei che chi legge prendesse atto di un comunicato stampa proprio di quel Ministero di Grazia e Giustizia del 28 maggio 92 (cinque giorni dopo la morte di Falcone).

     

    Sui giornali dell’epoca si erano letti alcuni articoli che ipotizzavano che la morte del Giudice fosse collegata con il suo progetto di recarsi a Mosca, da Stepankov, per acquisire informazioni e documenti di importante rilevanza penale per la giustizia, nel contesto di un’inchiesta condotta in coordinamento fra le Procure italiana e russa in relazione ad imponenti flussi di denaro di provenienza , destinazione e natura tutte da verificare, che erano in corso da alcuni anni fra i due paesi.

     

    La rivista russa “’ Izvestija” il 26 maggio aveva pubblicato un lungo articolo con ipotesi piuttosto dettagliate sui collegamenti fra l’omicidio di Falcone e quell’inchiesta ( "non è escluso che il suo assassinio abbia un qualche legame con gli avvenimenti in Russia", concludeva l’articolo) e la stampa italiana aveva dato un certo risalto alla cosa, soprattutto al progettato viaggio di Falcone.

     

    Progetto di viaggio che i giornali italiani, nei giorni successivi la morte del magistrato davano per certo:

     

      MOSCA – Quattro magistrati e due funzionari di polizia sono da ieri a Mosca per indagare sui fondi dell’ ex Pcus utilizzati in Italia dal Partito comunista, dai giornali del partito stesso, da società, imprese e associazioni varie e, secondo un’ ipotesi di lavoro tutta da verificare, anche da organizzazioni terroristiche. La delegazione (di cui avrebbe dovuto far parte anche Giovanni Falcone) è composta dal procuratore della Repubblica di Roma, Ugo Giudiceandrea, dai sostituti della procura della capitale, Luigi De Ficchy, Francesco Nitto Palma e Franco Ionta, dal colonnello dei carabinieri Antonio Ragusa e dal colonnello della polizia tributaria, Giuseppe Pollari.(…)” (FONDI PCUS, GIUDICI ITALIANI A MOSCA – Repubblica — 03 giugno 1992   pagina 8 )

     

    In ogni caso qualcosa nell’aria ci doveva essere, poiché secondo il giornale "Moskovski Komosmolets", dopo l’omicidio di Falcone il procuratore Ugo Giudiceandrea (che era accompagnato a Mosca dagli  altri magistrati italiani), chiese per il suo tour russo una scorta rinforzata.

     

    Vediamo invece quale posizione ufficiale prese il Ministero di Grazia e Giustizia su questa vicenda:

     

    “… una nota del ministero di Grazia e Giustizia ha spiegato ieri che "le notizie apparse sulla stampa circa presunte indagini avviate da Giovanni Falcone sulle esportazioni illegali di valuta effettuate nel passato dal partito comunista dell’ Unione Sovietica sono destituite di ogni fondamento". La frase si riferisce ad alcune notizie diffuse a Mosca dal quotidiano del pomeriggio "Iszvestia" e riprese da alcuni giornali italiani. "Falcone –  si legge nella nota - nella sua qualita’ di direttore generale degli affari penali del ministero della Giustizia, si era limitato doverosamente a trasmettere una rogatoria internazionale su richiesta dell’ autorita’ giudiziaria che procede in Italia". La Direzione generale degli affari penali del ministero della Giustizia, in una successiva nota, ha precisato che "il giorno 21 maggio, alle ore 18, nell’ ufficio del direttore generale dr. Giovanni Falcone, si sono recati il procuratore della Repubblica di Roma, dr. Giudiceandrea, il dr. De Ficchy, sostituto procuratore titolare dell’ inchiesta, il consigliere giuridico dell’ ambasciata russa a Roma; erano presenti il direttore dell’ ufficio “estradizioni e rogatorie” ed il capo della segreteria della direzione generale degli affari penali. Nel corso dell’ incontro . prosegue la nota . furono definite le modalita’ dell’ espletamento a Mosca della commissione rogatoria richiesta dalla procura della Repubblica di Roma e fu stabilito che l’ autorita’ giudiziaria avrebbe concordato direttamente con l’ ambasciata russa la data della trasferta ed avrebbe comunicato al ministero degli Esteri ed al ministero della Giustizia i nominativi dei magistrati della Procura che si sarebbero recati a Mosca". La nota conclude ribadendo che "la partecipazione del dr. Falcone alla trasferta stessa non venne neppure presa in considerazione". (da: FINANZIAMENTI PCUS AL PCI. A MOSCA I GIUDICI ROMANI. – CHIARITO ANCHE PERCHE’ SI ERA ERRONEAMENTE PARLATO DI FALCONE-  il ministero di Grazia e Giustizia ha smentito in una nota che Giovanni Falcone si sia mai occupato del caso Pagina 19 – 28 maggio 1992 – Corriere della Sera)

     

    Questo dunque il Ministero di Grazie e Giustizia di Claudio Martelli nel 92, subito dopo la morte di Falcone.

     

    Vediamo invece lo stesso Martelli che cosa diceva nel 99, al convegno videoregistrato.

     

    Il convegno riprende, dal punto in cui l’avevamo lasciato nella prima parte, con Valerio Riva che illustra a Martelli i contenuti del racconto di Stepankov sul suo viaggio in Italia e sui suoi colloqui riservati con Giovanni Falcone. Quindi entra nel dettaglio:

     

    VALERIO RIVA: “La cosa molto interessante è che Stepankov aveva invitato Falcone ad andare in Russia per svolgere il compito che il presidente Cossiga gli aveva assegnato, e cioè quello non soltanto di sapere (e questo sarebbe stato l’ambito in cui si svolgeva l’inchiesta russa, si limitava a questo: soltanto sapere se quei soldi erano partiti dall’Unione Sovietica e arrivati ai destinatari italiani, e non si erano invece persi per strada, andando finire in conti segreti)… quindi loro volevano sapere: i comunisti italiani, hanno ricevuto questi soldi? Si, li hanno ricevuti. E questo era tutto quello che volevano sapere i procuratori russi. Però, secondo quello che ci ha raccontato Stepankov, Cossiga aveva dato incarico a Falcone di sapere…di investigare in Russia dove fossero andati a finire, a che scopo fossero stati utilizzati i soldi che erano arrivati in Italia al Partito (Comunista) Italiano.

     

    Questa seconda parte dell’inchiesta Falcone l’avrebbe dovuta svolgere in parte andando in Russia (e si erano messi d’accordo con Stepankov) per vedere ALTRI documenti, e non soltanto quelli che i procuratori avevano radunato fino a quel momento e avevano offerto ai giudici e ai procuratori italiani.

     

    Avevano fissato una data, Falcone aveva mandato un telegramma di conferma, e subito dopo il telegramma di conferma, Stepankov seppe, come tutti gli altri, della morte improvvisa di Falcone.

    Tra il momento della morte di Falcone e la data in cui Falcone avrebbe  dovuto arrivare in Russia, c’erano soltanto tre settimane.

     

    Vogliamo sapere: lei che è stato Ministro della Giustizia a quell’epoca e che ha lavorato insieme con Falcone, diciamo così, “gomito a gomito”, sa anche lei qualcosa di questa storia? E vuole chiedere a Stepankov qualcosa d’altro?

     

    CLAUDIO MARTELLI: …vorrei, per quello che posso esservi utile, ricostruire….vado soltanto a memoria, non ho appunti, né carte, né altro.

    Quel che ricordo è questo: che Falcone un giorno venne in ufficio da me, e ricordo che fra gli altri argomenti  mi parlò di questa questione.  Era molto eccitato, e lo era sia perché aveva avuto un’eccellente impressione di Stepankov (mi disse: un uomo di prim’ordine),  e poi per la materia, evidentemente un po’ incandescente, o almeno scottante, e in terzo luogo perché pensava, sfruttando anche quest’episodio,  di poter inaugurare una stagione di collaborazione giudiziaria, con L’ex unione Sovietica, con la quale non c’era un rapporto di cooperazione.  Soltanto nel 92, se non ricordo male,  l’ex unione sovietica sottoscrive gli accordi di Ginevra, il rispetto dei diritti dell’uomo, ma una collaborazione vera e propria per leggi sul piano delle rogatorie, ancora non c’era.

    Doveva essere, appunto, introdotta, e quella per Falcone era un’occasione importante. Poi ricordo che ad un certo punto le carte vennero trasmesse alla Procura di Roma,  portò quelle carte …Giudiceandrea e, mi pare, in una fase successiva anche alla Procura generale, il cui capo era allora Filippo Mancuso, e dopo la morte di Falcone come è noto la vicenda si è conclusa con un’archiviazione…credo perchè si sia…si è indagato soltanto sotto la fattispecie di ipotesi di finanziamento illecito, e non sotto altre fattispeci che pure potevano anche essere di ipotesi configurate.

     

    Per quel che riguarda il viaggio a Mosca di Falcone, di questo ne ho certezza, lui me ne parlò, ed io lo incoraggiai ad andare a Mosca per prestare appunto tutta l’assistenza, la collaborazione, ai nostri magistrati, innanzitutto, ed anche per trovare la possibilità, appunto, di inaugurare una forma di cooperazione giudiziaria stabile, fondata su trattati tra Stati sovrani.

     

    Per quello che lei mi dice, di uno speciale incarico da parte di Cossiga, questo io, francamente, lo apprendo adesso.

    Tutto è possibile, naturalmente. 

     

    Che vi fossero altre carte oltre a quelle che poi Stepankov ha trasmesso alle autorità giudiziarie italiane, di questo si, anche, ho ricordo: me lo disse Falcone, e questo naturalmente è uno dei motivi in più, per cui era così interessato e sollecito nel volere andare, nel recarsi di persona a Mosca.

    Il consiglio che io gli diedi era di accompagnare, per l’appunto,  i magistrati italiani, della Procura, che mi pare fossero Giudiceandrea, e il sostituto Ionta…

     

    RIVA:  e De Ficchy, anche…

     

    MARTELLI: come?

     

    RIVA: e anche De Ficchy, sì.

     

    MARTELLI: E anche De Ficchy, sì.  E quella era l’occasione, appunto,  in cui avrebbe potuto aggiungere all’indagine specifica su questo caso, anche la conoscenza di altre carte, altri dossier, altri elementi che poteva acquisire sul luogo.

     

    Questo per la parte dei miei ricordi.

     

    A Stepankov, sì, vorrei chiedere se le carte innanzitutto che sono state trasmesse a Roma erano tutte quelle in suo possesso in quel momento, immagino di sì.  Se ve n’erano altre, che potevano interessare…

    l’Italia, le autorità giudiziarie o…. gli storici,  o eventualmente il parlamento della repubblica.

    Questo sarebbe importante saperlo, da lui.

     

    RIVA: Lo chiediamo subito a Stepankov.

     

    STEPANKOV: Sicccome l’inchiesta ha avuto luogo nel 91-92, in quel momento noi abbiamo avuto dei dossier particolari del PCUS, sull’invio, qua in Italia, dei soldi. Una parte di questi documenti  e…la natura di questi documenti…è quello che vediamo nel libro di Valerio Riva.  Si. Abbiamo mandato….(l’interprete ha problemi tecnici e si interrompe, Riva decide di riassumere le parole di Stepankov per sopperire ai problemi tecnici di audio )

     

    RIVA: Allora, la prima risposta è che …c’era una parte di documenti, che è stata poi trasmessa qui, e che sostanzialmente è riversata nel libro che io e Bigazzi abbiamo fatto, e che sta in questi 240 documenti che sono pubblicati. Ma…

     

    STEPANKOV: …quindi, secondo appunto il nostro avviso, tutti i documenti che servivano alla parte italiana per comprendere quale era l’ampiezza, quali erano le somme e in quali anni venivano spedite, noi avevamo inviato proprio questo tipo di documenti all’ Italia… ai colleghi italiani.

     

    RIVA (riassume) : I documenti che loro avevano inviato riguardavano esclusivamente la quantità delle somme che erano state inviate in Italia, al partito comunista, e in quali anni. E basta.

     

    STEPANKOV: Inoltre abbiamo inviato,… ma solo parzialmente, non completamente, …abbiamo inviato alcuni documenti che potessero illustrare che si è trattato non semplicemente di un diretto aiuto finanziario ai partiti, ma venivano aiutate anche le case editrici, i giornali, e singole società…cioè…una o due…credo si trattasse di una o due società.

     

    RIVA (riassume) :    …ma solo in modo parziale, che indicavano che esistevano dei finanziamenti che non andavano direttamente ai partiti, ma che arrivavano per vie traverse, come per esempio: finanziamenti a case editrici, finanziamenti ai giornali, e, in particolare, un certo numero ma limitato di eventi in cui si finanziavano delle società che svolgevano operazioni di carattere commerciale e finanziario. Ma solo parzialmente. E il resto?

     

    STEPANKOV: Appunto, questa documentazione complementare poteva chiarire meglio i rapporti tra i comunisti italiani e il PCUS.

    Nell’ambito invece della nostra inchiesta c’erano altri documenti, c’erano altri dati, che testimoniavano il fatto che il Comitato Centrale del PCUS riceveva dei documenti e le richieste, per esempio, di sostenere una certa società, oppure vendere  il petrolio, i prodotti petroliferi a queste società a prezzi vantaggiosi, per poter aiutare, in questo modo … appunto questo tipo di documenti noi non  l’abbiamo spedito, abbiamo detto che se la parte italiana è interessata, può venire in Russia.

     

    RIVA (riassume) :    Allora, degli altri documenti, che riguardavano, per esempio…un caso è anche citato nei documenti che noi abbiamo pubblicato …   il petrolio, poteva essere, il petrolio russo, poteva essere venduto a dei prezzi, diciamo così, “di favore” in modo da far guadagnare altre somme, ….assicurare dei margini di guadagno, ma anche altre forme di finanziamento, diciamo, indiretto… queste carte non sono state mandate e la visita di Giovanni Falcone a Mosca, insieme con i suoi collaboratori del Ministero di Giustizia e della Procura Generale… avrebbero potuto indagare su tutti questi altri documenti che non erano stati inviati perché non facevano parte dell’inchiesta a cui era dedicato Stepankov.

     

    Vorrei chiedere un’ultima cosa a Stepankov:  è mai più venuto, in Russia, qualcuno a chiedere quest’altra parte dei documenti?

     

    STEPANKOV: Soltanto una visita, dei procuratori di Roma De Ficchy, Ionta, Giudiceandrea…erano 5 o 6 persone … appunto, il giudice Falcone doveva venire… dopo la morte tragica di Falcone non ci è pervenuta nessuna richiesta per venire a vedere questi documenti… e nell’ottobre del 93, …quando mi sono dimesso dalla procura, non sono più informato di questi fatti, non so come si sono poi sviluppati i rapporti con i colleghi italiani e  se c’erano stati altri rapporti, altri contatti.

     

    RIVA:   Sono venuti, in una prima visita, Giudiceandrea, Ionta e De Ficchy…con loro doveva venire Falcone, come sappiamo non è andato. Da quel momento in poi nessuno più ha richiesto di vedere gli altri documenti che erano a disposizione

     

    E Stepankov dice: io so che questo non è avvenuto fino all’ottobre del 93, quando io mi sono dimesso.

    Da quel momento in poi io non sono più informato su cosa sia successo tra le autorità…tra la magistratura italiana e la magistratura sovietica.

     

    E’ sufficiente? Vuol fare altre domande Martelli?

     

    MARTELLI:  Si, adesso lui non lo sa … questa è una materia che si dovrebbe sapere in Italia…quanto meno sapere se c’è stato un tentativo oppure no… e valutare oggi, sul piano storico, politico e anche penale, se esistono i presupposti per una visita a Mosca, eventualmente rintracciare questi documenti, valutarli, e prendere le decisioni del caso.

     

    A questo punto Riva domanda ad Andreotti se vuole commentare, Andreotti ringrazia ma si ritrae, e quindi Riva dichiara chiusa la conferenza.

     
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    enrix 00:04 on 3 November 2009 Permalink | Rispondi
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    LA SCOMPARSA DEI FATTI 

    Antimafia Fiction

    Rivelazioni schock, accordi tra boss e politici, “sbirri” collusi, omicidi eccellenti. Nel perfetto film di Palermo sulla trattativa tra Cosa nostra e lo Stato c’è proprio tutto. Tranne i fatti

    Leggi l’intervista a Giuseppe del Vecchio

    Leggi: L’inchiesta bomba archiviata

    di Chiara Rizzo

    Palermo, aula della IV sezione penale del tribunale, 20 ottobre 2009. Sguardi compunti e grandi inchini davanti ai pm antimafia e ai lacunosi ricordi di Luciano Violante. Risolini scettici e qualche plateale sbuffo di noia nei riguardi delle dichiarazioni spontanee del generale Mario Mori. Nell’aula al secondo piano del tribunale di Palermo c’è un clima di tifo effervescente per i teoremi dei pm Antonino Ingroia e Nino Di Matteo. Tanto che ad un certo punto il generale richiama stizzito all’ordine l’appuntato di AnnoZero, Sandro Ruotolo. Cosa succede a Palermo? La copertina dell’ultimo numero dell’Espresso, viene in soccorso: “Esclusivo: Tra mafia e Stato. I verbali inediti dei pentiti Brusca e Spatuzza. Così andò la trattativa tra Cosa nostra e i politici. Da Mancino a Berlusconi”. Tempi vorrebbe rovesciare la prospettiva, sulla base delle carte e di un quesito apparentemente stravagante: dove nascondereste voi una foglia? Forse in un bosco, no? E dove nascondereste il mistero di un’inchiesta scottante archiviata frettolosamente? Forse in mezzo a tante altre inchieste?
    Sostiene Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, che «siamo all’anticamera della verità». Una verità che ne ospiterebbe al suo interno molte altre, come un gioco di scatole cinesi. Una verità che sarebbe contenuta nelle pieghe del famoso “papello” con le richieste di Totò Riina allo Stato, vergate nell’anno 1992. La prova di una trattativa tra mafia e istituzioni, secondo la procura siciliana. Custode del papello e intermediario tra boss e Stato, attraverso i massimi vertici dei carabinieri, sarebbe stato Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo vicino ai corleonesi e condannato per mafia. Dietro la supposta trattativa via papello, ci sarebbe la soluzione di molti misteri italiani. Da quello di via d’Amelio, l’attentato in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino (e ucciso, secondo la tesi dei pm palermitani, proprio perché non avrebbe condiviso la trattativa). Giù giù fino alla spiegazione delle stragi del ’93 a Roma, Firenze, Milano, organizzate, sempre secondo la tesi dell’antimafia, per vendetta contro lo Stato traditore dei patti. E ancora giù, fino all’ultima scatola infernale: quella di una presunta seconda trattativa, avviata alla fine del ’93 con il nuovo referente politico, Forza Italia, tramite Marcello Dell’Utri. Quest’ultima è senz’altro la parte più golosa del teorema palermitano, adombrata dal pentito Giovanni Brusca (quello che azionò il telecomando nella strage di Capaci) nelle sue rivelazioni riportate dall’Espresso. Brusca non aveva ancora finito di parlare dalla copertina del settimanale, che già sulle pagine di Repubblica si affacciava il “nuovo” pentito Gaspare Spatuzza, pronto a confermare la trattativa con Forza Italia.
    Chissà quanti altri recupereranno la memoria prossimamente. D’altra parte, l’urgenza di “nuove rivelazioni” pare aver rinfrescato i ricordi anche a Claudio Martelli (nel ’92 ministro della Giustizia) e a Liliana Ferraro (allora direttrice degli Affari penali del ministero). A entrambi è ritornato in mente che in effetti, prima di morire, Borsellino sapeva di una trattativa tra mafia e Stato. E guardacaso il soprassalto di memoria dei due è avvenuto proprio nel corso di un’intervista di Sandro Ruotolo per la puntata di AnnoZero in onda l’8 ottobre 2009.

    Tutti ricordano diciassette anni dopo
    Ma come si è arrivati, diciassette anni dopo i fatti, «all’anticamera della verità», per dirla con Ingroia? Riavvolgiamo il film e torniamo al punto di partenza. Il processo palermitano contro Mori (il generale dei carabinieri che nel 1993 guidò l’operazione che condusse all’arresto di Totò Riina), si dipana lungo due filoni di indagine. Il primo riguarda la mancata cattura, nel ’95, di Bernardo Provenzano, successore di Riina ai vertici di Cosa nostra: Mori è accusato di aver favorito la fuga del boss. Il secondo riguarda invece il presunto papello di Riina: la tesi dell’accusa è che Mori avrebbe fatto da tramite, durante i suoi abboccamenti del ’92 con Ciancimino, tra mafia e alti livelli dello Stato. C’è un problema, però, per i fan del teorema a cascata trattativa-mafia-carabinieri-Stato-Dell’Utri- Berlusconi”: i fatti.
    Primo fatto. La principale fonte delle informazioni sulla presunta trattativa mafia-Stato è oggi Massimo Ciancimino, il figlio di “don” Vito. Il quale inizia a rilasciare dichiarazioni alla direzione distrettuale antimafia palermitana , cioè a Ingroia e Di Matteo, nell’aprile del 2008. Ovvero sedici anni dopo i fatti in questione. E soprattutto un anno dopo la sua condanna, l’11 marzo 2007, per riciclaggio e tentata estorsione. A luglio 2008 si apre il processo contro Mori, dove l’accusa è sostenuta dai pm Ingroia e Di Matteo. E Ciancimino jr. a furia di rivelazioni, da figlio di mafioso, arrestato, condannato e alleggerito nelle proprietà e nei beni per la cifra astronomica di 60 milioni di euro, viene trasformato, grazie alla ribalta mediatica, in superteste (con tanto di scorta) di un processo, quello contro il generale Mori, che sui media è ormai diventato un “processo allo Stato”.

    L’interrogatorio dimenticato
    Secondo fatto. Fino al giugno 2009, Massimo Ciancimino rimane evasivo sul famoso papello custodito da papà Vito. Messo però alle strette dai pm, nel luglio 2009 (proprio nei giorni a ridosso della sentenza di Genova che ha ridotto la condanna al colonnello Michele Riccio, l’uomo che accusa il generale Mori di aver favorito la fuga di Provenzano), promette ai magistrati di consegnare il foglio con le richieste di Riina, e rivela loro che i primi incontri tra suo padre e gli alti ufficiali dei Ros (Mori e Giuseppe De Donno) risalivano al giugno del ’92, prima della strage di via D’Amelio. Ad oggi, però, a Palermo risultano depositate solo due fotocopie di appunti manoscritti: una del presunto papello di Riina, l’altra è la fotocopia della versione riveduta e corretta da Vito Ciancimino. Dove sono gli originali di questi documenti?
    Terzo fatto. Esistono manoscritti originali e verbali di interrogatorio, dei quali il pm Ingroia e l’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli sono a conoscenza dal gennaio del 1993, in cui Vito Ciancimino stesso parla degli incontri con gli ufficiali del Ros, l’allora colonnello Mori e l’allora capitano De Donno. Tali documenti sono stati depositati il 20 ottobre scorso al processo Mori. Che spiegazione ha dato di questi abboccamenti con Cinancimino l’ex numero 1 del Ros? Mori innanzitutto li ha collocati a partire dal 5 agosto 1992, dopo la morte di Borsellino (il che escluderebbe che la presunta trattativa mafia-Stato sia stata la causa della morte del magistrato). In secondo luogo il generale ha chiarito a quali ragioni investigative rispondessero tali incontri: attraverso il sindaco mafioso i carabinieri intendevano ottenere indicazioni per arrivare alla cattura dei boss. L’incontro significativo sarebbe stato il quarto, quello avvenuto il 18 ottobre 1992, dopo che Ciancimino aveva avviato i contatti con i corleonesi. Ha ricordato il generale Mori: «Mi disse: “Guardi, quelli accettano la trattativa. Voi che offrite in cambio?”. Io non avevo nulla da offrire, per cui dissi: “I vari Riina, Provenzano si costituiscano e lo Stato tratterà bene loro e le loro famiglie”. A questo punto Vito Ciancimino si imbestialì». Ecco perché la “trattativa” è saltata: perché non c’è stata nessuna trattativa.

    E don Vito disse: il patto? Una palla sonora
    In seguito, nel dicembre del ’92, Vito Ciancimino viene arrestato. Il 15 gennaio 1993 il capitano Ultimo, dei Ros guidati da Mori, arresta anche Riina. Lo stesso giorno si insedia a Palermo il nuovo procuratore Giancarlo Caselli. Che da Mori viene immediatamente informato di una richiesta di Ciancimino: il sindaco vuole incontrare il nuovo procuratore palermitano nel carcere di Rebibbia, dov’è detenuto, perché intende rilasciare alcune dichiarazioni. Il 27 gennaio avviene il primo interrogatorio di Ciancimino. Sono presenti il procuratore Caselli, il pm Ingroia, il colonnello Mori e il capitano De Donno. Seguono numerosi interrogatori a cui sono sempre presenti Ingroia e Caselli. Quello che ci interessa è l’interrogatorio del 17 marzo 1993 (clicca sopra per scaricarlo – ndr) , ore 9.30. In quell’occasione Ciancimino parla estesamente con Caselli e Ingroia degli incontri avuti nel 1992 con i carabinieri. Nota bene: a quell’epoca l’ex sindaco di Palermo avrebbe tutto l’interesse a retrodatare il più possibile questi incontri, per candidarsi così ad accedere ai benefici per i “collaboratori di giustizia”. Cosa dice invece quel 17 marzo 1993 Vito Ciancimino? Spiega a Caselli e a Ingroia che «avevo avuto dal capitano De Donno varie sollecitazioni per iniziative comuni. Le avevo respinte. Ma dopo i tre delitti (quello di Lima, che mi aveva sconvolto; quello di Falcone che mi aveva inorridito; quello di Borsellino che mi aveva lasciato sgomento) cambiai idea. Manifestai la mia intenzione di collaborare, ma chiesi un contatto con un livello superiore. Conseguentemente il capitano De Donno tornò a casa mia (mi pare il 1° settembre 1992) accompagnato dal colonnello Mori. Esposi il mio piano: cercare un contatto per collaborare con i carabinieri. Questo piano fu accettato, e una ventina di giorni dopo incontrai una persona, organo interlocutorio di altre persone». Il “contatto” è Antonino Cinà, il medico della mafia. Ricorda Ciancimino: «Chiamai i carabinieri, i quali mi dissero di formulare questa proposta: “Consegnino alla giustizia alcuni latitanti grossi e noi garantiamo un buon trattamento alle famiglie”. Ritenni questa proposta angusta per poter aprire una valida trattativa».
    Cosa fanno davanti a queste dichiarazioni Caselli e Ingroia, l’uomo che conduce l’accusa contro Mori e sostiene la tesi di una trattativa tra mafia e Stato? Nulla. Non battono ciglio. Leggono, firmano e sottoscrivono il verbale dell’interrogatorio. Vito Ciancimino racconta anche altro in quell’interrogatorio del 17 marzo 1993. Racconta di un secondo tentativo di collaborare con i carabinieri. Ecco le sue parole a verbale: «Il 17 dicembre partii per Palermo, dove mi incontrai con l’intermediario-ambasciatore. Io gli avevo raccontato (d’intesa con i carabinieri) una “palla” sonora, grossa come una casa, vale a dire che un’altissima personalità della politica (che non esisteva), che era un’invenzione mia e dei carabinieri, voleva ricreare un rapporto tra le imprese. Comunicai l’impegno dell’interlocutore-ambasciatore a rispondermi al capitano De Donno. Questa comunicazione avvenne il sabato. Mezz’ora dopo questo colloquio venivo arrestato». Dunque: Ciancimino dichiara anche di aver proseguito i contatti con i mafiosi e riferito ai carabinieri. Malgrado questo, viene arrestato. Naturale che sia imbufalito. Eppure, nonostante abbia più di una ragione per volersi vendicare dei carabinieri che lo usavano ma non lo hanno sottratto all’arresto, non si presenta come il tramite tra Riina e Mori e come il custode di un documento (il famoso papello) che prova l’esistenza di una trattativa con lo Stato. Anzi. Don Vito bolla il coinvolgimento di «un’altissima personalità della politica» come «una palla sonora, grossa come una casa». Quel 17 marzo Ingroia legge e sottoscrive tutte queste affermazioni di Ciancimino. I dubbi gli sono venuti diciassette anni dopo.

    02 Novembre 2009

    Estratto dalla rivista "Tempi"  -  LINK

     
  • Avatar di enrix

    enrix 00:45 on 29 October 2009 Permalink | Rispondi
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    COSE SU FALCONE DIMENTICATE 

    E mentre ci propinano papelli-patacca, improbabili teorie su magistrati uccisi con un quintale di T4 perché contrari ai contatti fra i carabinieri e Vito Ciancimino, e miracolosi riflussi  di memoria di mafiosi che stanno per diventare eroi, noi ci permettiamo di ritirare fuori alcune

     

    COSE SU FALCONE CADUTE NELL’OBLIO

     

     

    Roma, 8 novembre 1999
    Documento audiovisivo della presentazione del volume di Valerio Riva "Oro da Mosca" (Edizioni Mondadori) con la partecipazione del sen. Giulio Andreotti, dell’on. Antonio Martino e di Valentin Stepankov (nella foto), deputato alla Duma ed ex procuratore generale della Russia (QUI
    il documento integrale).

     

     

    Trascrizione:

    VALERIO RIVA:  Potrei allora fare un’altra domanda, al Procuratore …. (…) …vorrei sapere una cosa.

    Lei ha raccontato che cosa è successo quando è andato in Svizzera o quando è andato in altri paesi a chiedere qual era la fine di questi soldi, se erano stati ricevuti e che cosa era successo.

    Abbiamo avuto (rivolto ai giornalisti – ndr)  un pranzo ieri sera, in pochi, con Stephankov, e Stephankov ci ha detto anche quali erano i paesi… per esempio il paese dove si diceva che il segretario del partito comunista locale era una persona al di sopra di ogni sospetto era il Portogallo,  e il segretario era  Cunhal chi si poteva immaginare che non si era veramente messo in tasca i soldi…

     

    Però, (rivolto di nuovo a Stephankov – ndr) quando voi siete venuti in Italia, voi avete avuto a che  fare,…. anzi credo proprio lei, che è venuto in un viaggio lampo, mi pare, in italia, proprio nel 93 se non mi sbaglio, avete parlato con dei magistrati italiani, credo che lei li ricordi per bene.

    E prima di tutto avete avuto una serie di abboccamenti con Giovanni Falcone.

     

    Ecco se lei ci raccontasse quali sono stati i vostri rapporti con Falcone, prima, e poi con gli altri magistrati italiani e che cosa vi hanno risposto alla domanda: “dove sono andati a finire questi soldi?”,   forse sarebbe molto interessante per i nostri amici giornalisti.

     

    STEPHANKOV: Come avevo già detto, prima noi avevamo inviato nelle Procure di alcuni stati una rogatoria con i materiali, appunto, sui soldi inviati ai comunisti dei loro paesi.

     

    Lo stesso tipo di rogatoria abbiamo inviato anche in italia, e la Procura italiana guidata da Giudiceandrea, ha fatto le verifiche del caso, e poi abbiamo ricevuto un documento, una lettera da parte loro.

    In questa lettera si diceva che sono stati preparati alcuni documenti, alcuni materiali che ci avrebbero aiutato ad andare avanti nella nostra inchiesta.

     

    Dopo aver ricevuto i materiali inviati da noi,  loro hanno espresso il desiderio di  analizzare, di studiare questi documenti, gli originali di questi documenti, sul posto, e cioè a Mosca.

     

    Una delegazione della Procura italiana era venuta in Russia, gli abbiamo dato la possibilità di analizzare i documenti che sono stati già acquisiti dai…dagli inquirenti russi. Hanno visto non solo le ricevute, ma anche i verbali degli interrogatori dei funzionari che raccontavano dei metodi di quest’invio dei soldi, come venivano spediti, consegnati questi soldi all’estero.

     

    Dopodichè noi siamo stati invitati, la parte russa è stata invitata dai colleghi italiani, e noi siamo venuti in italia.

    E i nostri colleghi italiani ci hanno consegnato dei materiali, praticamente i documenti con la risposta alla nostra  rogatoria. Però sottolineo: in quella parte dell’inchiesta ci interessava un aspetto solo: se i soldi erano giunti all’estero, e se erano ricevuti qui in Italia, e non nascosti su un conto segreto per, diciamo, seguire gli interessi russi.

    Questi documenti sono stati consegnati, diciamo, ufficialmente. C’è stata una sorta di seduta per la consegna dei materiali, ci hanno spiegato che sono stati eseguiti degli interrogatori, e sono state confermate le consegne, la ricevuta di questi soldi.

     

    Certo, non posso adesso raccontarvi i dettagli di questi documenti, perché sono passati ormai sette anni, mi ero un po’ scordato.  Ma che cosa è successo poi con i soldi, che fine hanno fatto i soldi in Italia, non faceva parte della nostra inchiesta.

    Questa tavola rotonda forse è troppo breve e potremmo fare tante domande ai giudici, ai procuratori, ma non a quelli russi….per quanto riguarda…ecco……invece volevo dire qualcosa per quanto riguarda l’incontro con Falcone.

     

    Ho avuto due incontri col giudice Falcone. E’ difficile dire se si sia trattato di incontri ufficiali o meno.

     

    Ci siamo conosciuti nel suo ufficio… l’impressione che ho avuto da questo incontro, è di avere davanti a me un uomo preso completamente dal proprio lavoro, dai problemi che gli stanno davanti…completamente preso da tutto quanto, da questo lavoro. Abbiamo parlato più di un ora, e durante questo colloquio, io gli ho raccontato…senza consegnargli nessun documento, (gli ho detto che li avevo già consegnati ai giudici di Roma), l’ho semplicemente informato sui metodi che venivano utilizzati per la consegna dei soldi in Italia, e lui mi ha risposto che il presidente Cossiga gli ha chiesto di chiarire le circostanze che riguardavano le questioni che avete adesso posto voi, cioè dove andavano, che fine facevano questi soldi, per che cosa venivano spesi.

     

    Io anche avevo invitato il giudice Falcone a visitare il nostro paese per vedere altri documenti,  per approfondire queste questioni, e noi eravamo molto felici di ospitarlo.

     

    Quando sono tornato in Russia gli ho mandato un invito ufficiale… abbiamo anche ricevuto una sua conferma della visita, ma dopo un telegramma per la conferma, appunto, della visita, abbiamo saputo della tragica morte del Giudice Falcone.

     

    Secondo appunto l’intesa che avevamo…secondo l’intesa per la visita, praticamente la morte di Falcone è avvenuta tre settimane prima della visita ormai programmata. (continua – prossimamente il seguito della trascrizione su “COSE SU FALCONE CADUTE NELL’OBLIO – 2)

     

    Repubblica — 19 giugno 1992   pagina 20   sezione: CRONACA

    PER L’ ASSASSINIO DI FALCONE ANCHE UNA PISTA ESTERA

    ROMA – La decisione di uccidere Giovanni Falcone e l’ organizzazione dell’ attentato "non sono stati soltanto opera della mafia siciliana". Lo ha affermato il ministro dell’ Interno Vincenzo Scotti in una colazione offertagli dall’ associazione della stampa estera in Italia. Secondo quanto riferito da uno dei partecipanti – il direttore della Efe di Roma, Nemesio Rodriguez, in una lunga nota dell’ agenzia spagnola – Scotti si è detto convinto che "l’ assassinio di Falcone è un delitto chiaramente commesso dalla mafia, che va molto al di là dei confini nazionali. (…) la mafia non può essere considerata, come ha fatto la stampa straniera nei giorni della strage, soltanto un problema italiano E’ invece un problema internazionale perché internazionali sono i rapporti di Cosa Nostra, internazionali i suoi interessi e complicità, su scala internazionale le sue operazioni di riciclaggio. E’ questo il ragionamento che ho proposto ai corrispondenti stranieri. Proprio per questo le indagini non possono chiudersi soltanto a Palermo. Abbiamo il dovere di prendere in considerazione qualsiasi pista e orizzonte investigativo". "La decisione e l’ organizzazione dell’ attentato – aveva scritto la Efe riferendo le parole di Scotti – non furono effettuate unicamente a Palermo, ma è stata una operazione messa in atto dalla mafia siciliana e dalle organizzazioni criminali di altri Paesi: non esistono al mondo molti in grado di organizzare questo tipo di attentato. Il tipo di delitto, le modalità di realizzazione, la scelta dei tempi – aveva aggiunto Scotti, sempre secondo il giornalista della Efe – non consentono di limitare tutto ciò ad un caso esclusivamente palermitano. Gli interessi della mafia sono troppo grandi".

     

     

    Repubblica — 27 ottobre 2009

     

    Il procuratore parla davanti alla Commissione antimafia e rilancia
    "Resta il sospetto che l’attentato non sia stato opera solo di Cosa nostra"

    Grasso: anche un’entità esterna dietro la strage di Capaci

     ROMA – La strage di Capaci fu opera di Cosa nostra, ma resta il sospetto che ad essa abbia partecipato "un’entita esterna". Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia rilancia i dubbi sul fatto che l’uccisione di Giovanni Falcone sia completamente riconducibile alla mafia. Grasso lo ha fatto parlando davanti alla Comissione nazionale antimafia: "Non c’è dubbio che la strage che colpì Falcone e la sua scorta siano state commesse da Cosa Nostra – ha detto Grasso – . Rimane però l’intuizione, il sospetto, chiamiamolo come vogliamo, che ci sia qualche entità esterna che abbia potuto agevolare o nell’ideazione, nell’istigazione, o comunque possa aver dato un appoggio all’attività della mafia".

     

    I dubbi del procuratore Davanti alla commissione, dopo aver citato numerosi passaggi delle sentenze sulla vicenda, il procuratore si pone un quesito che gira ai commissari: perché si passò dall’ipotesi di colpire Falcone mentre passeggiava per le strade di Roma all’attentato con 500 chilogrammi di esplosivo, collocato a Capaci? La scelta dell’attentato, ha detto Grasso, ha una modalità "chiaramente stragista ed eversiva". "Chi ha indicato a Riina queste modalità con cui si uccide Falcone? Finchè non si risponderà a questa domanda sarà difficile cominciare ad entrare nell’ordine di effettivo accertamento della verità che è dietro a questi fatti", ha aggiunto il procuratore.

     

    L’elenco dei bersagli In precedenza, Grasso aveva ricordato che inizialmente Falcone era in un elenco di obiettivi da colpire a Roma, elenco che comprendeva anche il ministro Martelli, il giornalista Andrea Barbato e Maurizio Costanzo. Oltre a fare i sopralluoghi per colpire Costanzo, i mafiosi a Roma frequentavano noti ristoranti per verificare se il giudice vi andasse a cena.

     

    Il cambio di strategia Secondo la ricostruzione di Grasso, a un certo momento, nel marzo 1992, il mafioso che era stato incaricato di eseguire i sopralluoghi venne informato da Totò Riina che non c’era più bisogno di colpire Falcone a Roma, perché si era "trovato qualcosa di meglio".

     
  • Avatar di enrix

    enrix 02:35 on 28 October 2009 Permalink | Rispondi
    Tags: calogero mannino, carlo vizzini, claudio martelli, , , , , massimo fini, , , , , , ,   

    Sull'intervista del TG3 a Piero Grasso 

    FORSE UN’ALTRA PICCOLA MISTIFICAZIONE.

    MA VEDIAMO DI RIMETTERE LE COSE A POSTO.

     

    Sollecitato da un’utente in facebook, sono andato a ricercarmi sul web l’intervista trasmessa dal TG3 serale del 18 ottobre scorso al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, intervista che ha suscitato non poche polemiche.

    L’ho trovata sia su Youtube QUI che nel sito del TG3, QUI.

    Pertanto consiglio di visionarla, dura solo 2 minuti e mezzo:

     

    Nel rivederla, mi sono reso conto che la versione trasmessa al pubblico doveva essere stata soggetta a tagli e/o  montaggi, poiché mancava la ben nota parte di cui hanno parlato i giornali, relativa al progetto da parte della mafia di uccidere alcuni politici, fra cui Martelli ed Andreotti.

    Evidentemente i giornalisti avevano potuto fruire in qualche modo di una versione più completa.

     Sono andato allora a rileggermi i giornali, ed ho scoperto stralci di virgolettato effettivamente non visibili nel filmato trasmesso da TG3, per cui ci ho dato sotto a ricomporre come potevo l’intervista prendendo sia da ciò che era visibile nei filmati, sia dai virgolettati omessi ma comparsi sui giornali, cercando di dare al tutto un senso compiuto.

    Ho riscritto in colore blu la rendicontazione riassuntiva del Corriere della sera del 19 ottobre (pag. 23), in rosso i virgolettati nello stesso articolo (che si presume siano parole originali di Grasso) ed in nero le parti trasmesse nel TG3, che sono sicuramente autentiche perché udibili con le nostre orecchie.

    Ecco il risultato:

    Grasso afferma che nelle carte processuali esisteva già un «papellino», un appunto con le richieste dei boss, precedente al «papello» trovato fra i documenti di Vito Ciancimino. E questo «papellino» rivelava un tentativo di Cosa nostra di entrare in contatto col potere politico. Potrebbe «essere stato consegnato ai carabinieri del Ros, al colonnello Mori, il quale nega l’ episodio, da uno strano collaboratore dei servizi». L’ appunto di questo equivoco personaggio chiedeva nientemeno che «l’ abolizione dell’ ergastolo per i boss Luciano Liggio, Giovambattista Pullarà, Pippo Calò, Giuseppe Giacomo Gambino e Bernardo Brusca». Tutte richieste assurde di cui nessuno tenne conto. Ciò che venne offerto ai boss in cambio della loro resa fu «un ottimo trattamento per i familiari, un ottimo trattamento carcerario e una sorta di giusta valutazione delle responsabilità». Vito Ciancimino valutò queste offerte troppo esigue, invece di riferirle ai boss cercò di prendere tempo. Riina invece voleva accelerare la trattativa e per dimostrare che faceva sul serio aveva progettato un attentato allo stesso Pietro Grasso che a quel tempo era procuratore di Palermo. L’ attentato non venne realizzato per «un disguido tecnico» e poi perché Riina fu arrestato. "Anche via D’Amelio - sospetta Grasso - potrebbe essere stata fatta per ‘riscaldare’ la trattativa. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Claudio Martelli, Giulio Andreotti, Carlo Vizzini e forse mi sfugge qualche altro nome. Cambiano obiettivo probabilmente perché capiscono che non possono colpire chi dovrebbe esaudire le loro richieste. In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici".  …(?)  Il momento era terribile. Bisognava cercare di bloccare questa deriva stragista che era iniziata con la strage di Falcone e quindi questi contatti dovevano servire innanzitutto a questo, e poi ad avere degli interlocutori credibili.

    TG3: Quindi lei dice: è normale che lo stato tratti con esponenti di “cosa nostra” in certe situazioni particolari.

    GRASSO: Beh, il problema è di non riconoscere a cosa nostra un ruolo tale da essere al livello di trattare con lo stato. Ma non c’è dubbio che questo primo contatto ha creato delle aspettative in “cosa nostra” che poi hanno provocato ulteriori conseguenze.

    TG3 SU MONTAGGIO (domanda formulata su immagini della strage, quindi potrebbe anche non essere la domanda a cui risponde Grasso nel seguito del filmato):  Lei ha detto: La strage di Via D’Amelio potrebbe essere servita  per ‘riscaldare’ la trattativa.

    GRASSO: "Quando Riina dice a Brusca, ce lo riferisce Brusca, che ‘si sono fatti sotto’ vuol dire che è scattato il meccanismo di ricatto nei confronti dello Stato: la strage di Falcone ha funzionato in questo modo. Allora l’accelerazione probabile della strage di Borsellino può essere servita a riattivare, ad accelerare APPUNTO questa trattativa con i rappresentanti delle istituzioni"

     

    A questo punto, per capire più compiutamente il pensiero di Grasso, riporto anche una sua affermazione estratta da un’altra intervista, rilasciata a Fabio fazio (Che tempo fa) il 26 aprile (si può vedere QUI  min 0:33)

     

    DOMANDA DI FAZIO:Abbiamo appena letto sui giornali le dichiarazioni del pentito Spatuzza che rimettono in discussione la ricostruzione sino a qui fatta della strage di Via D’Amelio, cosa che tra l’altro era già stata ipotizzata, credo dal Procuratore Boccassini tanto tempo fa. Ecco, lei che idea si è fatto a proposito? Ma soprattutto che prospettive apre, che cosa cambiano queste dichiarazioni di Spatuzza rispetto alla vicenda?

    GRASSO: Bhè….intanto cambia una ricostruzione della scena del delitto e una ricostruzione anche di coloro che sono gli effettivi mandanti dentro alla mafia. Anche perché apre delle prospettive secondo le quali la strage di via D’Amelio, l’eccidio in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta, potrebbe essere visto come l’inizio di una stagione stragista che poi proseguirà con le stragi nel continente, con l’attentato a Costanzo, con Firenze Roma, Milano e con quel fallito attentato all’olimpico a Roma che rimane appunto nel mistero.

     

    Bene. Ed ora, se si assemblano i punti salienti dell’intervista da me sottolineati, con quanto espresso dal procuratore nell’intervista di Fazio, emergerebbe che Grasso abbia ipotizzato una tale ricostruzione dei tempi e dei fatti:

    1)     La mafia decide di dare corso ad una “deriva stragista”, che per Grasso inizia con la strage di Falcone. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Claudio Martelli, Giulio Andreotti, Carlo Vizzini e forse altri. Ma poi la mafia cambia obiettivo probabilmente perché capisce di non poter colpire gli interlocutori che avrebbero dovuto affrontare le intimidazioni, nel senso, secondo le aspettative della mafia, di venire a trattativa a seguito  di tali intimidazioni. E quindi decidono di colpire altre figure dello stato: magistrati, che tra l’altro sono già da tempo nella lista nera dell’organizzazione. Grasso aggiunge: In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici”. E’ evidente che egli non intende la trattativa “in fieri”, poiché quando la mafia decise di colpire i magistrati anziché i politici, la “deriva stragista” iniziata con la strage di Falcone non era ancora iniziata, poiché è lapalissiano che tale decisione fu presa prima, in assenza di qualsiasi trattativa, che non poteva esistere non essendo ancora cominciate le stragi e quindi le intimidazioni.

    E’ quindi fuor di dubbio che egli ha inteso dire che le aspettative di una trattativa da parte della mafia,  hanno salvato la vita a molti politici (poiché eliminando il potere legislativo che avrebbe dovuto venire incontro alla mafia, veniva a mancare il soggetto principe della trattativa con cui la mafia sperava di raggiungere i propri scopi), e non la trattativa di per se stessa, perché letta in questo modo la frase non aveva alcun senso. Quando i mafiosi hanno deciso di non toccare i politici, e uccidere invece Falcone, non era ancora iniziata alcuna trattativa. Questa esisteva solo negli scopi dell’organizzazione criminale, fatto a cui si riferisce Grasso.

    2)     Dopo la strage di Falcone oppure dopo quella di Borsellino (non ci sono conferme di Grasso disponibili a questo proposito) uno strano personaggio dei servizi avrebbe consegnato, forse al colonnello Mori, un papellino dove si pretendeva l’abolizione dell’ergastolo per alcuni importanti mafiosi carcerati, si presume in cambio della cessazione degli attentati. Questo avrebbe rappresentato un tentativo di Cosa nostra di entrare in contatto col potere politico, e non, al contrario, un tentativo dello stato di entrare in contatto con cosa nostra., stando a come le parole di Grasso vengono riferite dal Corsera.

    3)     A questo punto Grasso ipotizza che la strage di Via D’amelio abbia avuto lo scopo di “riscaldare” la trattativa. Attenzione: potrebbe aver parlato di “riscaldare la trattativa” intendendo implicitamente dire di seguito, “dopo aver fatto pervenire papelli e papellini vari, nell’aspettativa di un’apertura dello stato” ma potrebbe voler dire anche “prima di far pervenire alle istituzioni papelli e papellini vari, per creare prima un clima caldo a tale scopo” . Quale delle due, dall’intervista non è dato capire esattamente perché Grasso non fornisce una dettagliata inquadratura della successione dei fatti. Ad un certo punto egli ipotizza anche che sia servita a "riattivare", però poi si corregge con "accellerare" la trattativa, intendendo secondo me "accellerare l’avvio" della trattativa. Inogni caso, se così non fosse, Grasso ha commesso un errore sui tempi. Noi però pensiamo alla seconda ipotesi, vuoi perché Grasso con Fazio ha definito l’eccidio di via d’Amelio come l’inizio di una stagione stragista, (quella quindi dove la mafia ricattò lo stato avanzando le sue richieste) ma vuoi soprattutto perché  se leggiamo con attenzione la deposizione di Brusca del 13 gennaio 98 vediamo che egli ha affermato:  "Dopo gli attentati a Falcone e Borsellino, Riina mi disse: "Si sono fatti sotto, pensa si sono mossi anche i servizi segreti per arrestarmi. Io gli ho presentato un papello di richieste lungo così e ora sto aspettando". Era l’ estate del ‘ 92 e per questo mettemmo un fermo agli attentati in attesa della risposta dello Stato".

          Quindi, a quanto dice Brusca si "erano fatti sotto" DOPO la strage di Via D’Amelio, e inoltre secondo la logica di Riina  sarebbe stata assurda la decisione di compiere in quel momento la strage di Via D’Amelio, (anzi, misero "un fermo"!) che evidentemente era avvenuta prima del “contatto”, rappresentando l’inizio di una “stagione stragista” che lo stato, nelle aspettative della mafia, avrebbe dovuto  vedere e trattare come tale.

    4)     In ogni caso Tutte le richieste furono ritenute assurde e  nessuno ne tenne conto. Quindi, di fatto, non ci fu nessuna trattativa, nel senso che lo stato non diede alcun margine di trattativa. Ciò che venne offerto ai boss in cambio della loro resa fu «un ottimo trattamento per i famigliari, un ottimo trattamento carcerario e una sorta di giusta valutazione delle responsabilità” che non significa trattare. Significa solo e semplicemente intimare la resa.

    5)     Queste condizioni vennero dettate a Vito Ciancimino dal colonnello Mori (Mori stesso l’ha affermato più volte, così come Vito Ciancimino davanti a Ingroia e Caselli: non c’era nulla di male), che ovviamente  valutò queste offerte troppo esigue, e invece di riferirle ai boss cercò di prendere tempo. Riina invece voleva accelerare la trattativa e per dimostrare che faceva sul serio aveva progettato un attentato allo stesso Pietro Grasso che a quel tempo era procuratore di Palermo. (Attenzione; non l’attentato in Via D’Amelio, che evidentemente c’era già stato, ma un nuovo attentato allo stesso Grasso). L’ attentato non venne realizzato per «un disguido tecnico» e poi perché Riina fu arrestato.

     

    E questo è tutto.

    Vi pare che la mia ricostruzione abbia un senso logico?

    Io direi di più. E’ la sola, ad avere senso logico.

    Altre composizioni del pensiero di Grasso, non sono possibili, perché contrastano sempre con qualche suo stralcio di dichiarazione.

    Prendiamo ad esempio l’interpretazione data da Massimo Fini, che ha scritto su “Il Gazzettino” del 23/10/09:  il  Procuratore Grasso  non ha escluso che nei primi anni ’90 ci siano stati contatti fra Stato e «Cosa Nostra» per salvare alcuni ministri nel mirino della mafia

    Lo vedete dunque, che svarione incredibile ha preso Fini nell’interpretare le parole di Grasso? Ma quando mai Grasso avrebbe detto che furono presi contatti tra lo stato e cosa nostra per salvare ministri? Niente di più falso, Grasso non ha mai detto nulla di simile. La mafia, secondo Grasso, decise, per conto suo e solo suo,  di non toccare i politici PRIMA di dar corso alle stragi, che iniziarono con Falcone.

    E i “contatti” iniziarono dopo.

    Questo capita, a tagliare e rimontare le interviste.

    Che poi gli opinionisti prendono lucciole per lanterne, e fanno figure del piffero.

     

    Ma soprattutto, ahimè, finisce che i cittadini vengono disinformati, e indotti a credere in cose false.

    Così poi si stupiscono se sentono Grasso che, in risposta alle polemiche, tuona: “non si può rimanere sconvolti da rivelazioni che non sono tali"

    Ma da rivelazioni capite male a causa di tagli video e rendiconti addomesticati o falsificati, come quello di Fini, si.

    Si può rimanere sconvolti.

    Per fortuna c’è qui il segugio che non molla la sua preda.

     

    Enrix.

     
    • aspis 22:47 on 28 October 2009 Permalink | Rispondi

      Gent.mo Sig. Enrix,

      continuo a seguirla con grande piacere e attenzione nei suoi articoli sempre precisi, arguti, ed è una mia impressione, anche intellettualmente onesti.

      Grazie.

      renzo
       
       
       

    • enrix007 09:34 on 29 October 2009 Permalink | Rispondi

      Grazie a lei, Renzo.

      Senza onestà intellettuale nelle indagini documentali non si va da nessuna parte.

      Ci si arena, come stanno facendo i magistrati con i papelli scritti da un falsario.

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