Quell’abile manina

Servizio Pubblico, TV La7, 6 dicembre 2012. Minuto 46: Santoro pianta un paletto: avete presente “la trattativa”? Quella trattativa Stato-mafia con cui ci martellano di giorno in giorno con il fatto che ormai è “certa”, “accertata”, “non presunta ma certificata”, “sicura al 100%”, “cotta e mangiata”, “ratificata da sentenze” ecc.. ecc.. Insomma, quella trattativa Stato-Mafia ormai tanto provata e documentata che non ci sarebbe più bisogno di discuterne. Proprio su quella, (chissà poi perchè, se è così certificata), Santoro ha voluto, onde piantare l’ennesimo paletto sulla sua esistenza certa, ricominciare daccapo: “Noi dobbiamo capire se stiamo parlando di un fatto che è realmente avvenuto, oppure no. [mi sembra giusto, soprattutto se si parla di un fatto che ci viene venduto come certo e stracerto da tutte le parti – ndr] Perché se noi capiamo che questa cosa che noi chiamiamo “trattativa”, ovvero, se lo Stato ha avuto incontri con la mafia per discutere in che modo si potevano far finire le stragi, allora evidentemente il fatto storico è accaduto, ed è giusto che noi cerchiamo di capire CHE COSA è accaduto. Ora, per me, c’è una cosa, c’è una pietra miliare, in questo discorso, che strappa qualunque tipo di dibattito, ed è la deposizione che fece Mori al processo, [sic. Ma quale processo? Poi vedremo – ndr], quando Mori ha descritto così la trattativa.” [Santoro punta il dito verso lo schermo e segue video di Mori in un’aula che depone – ndr]-
Incominciamo chiarendo che la deposizione in questione risale al 24 gennaio 1998, ed è stata resa a Firenze, perché Santoro si guarda bene dal dircelo. Ce la descrive laconicamente come “la deposizione che fece Mori al processo”, punto. Non ci spiega né quando, né dove. La sovrimpressione sul video poi, è altrettanto eloquente: “Deposizione” (esticavoli).
Insomma, Santoro si guarda bene dal riferire che si tratta di una testimonianza del 24 gennaio 98, e cioè di 15 anni fa. A Firenze, al processo per la strage dei Georgofili. Noi non possiamo, ovviamente, dire con assoluta certezza se tale omissione sia o meno volontaria. Rileviamo però, in termini generali, di come, se davvero esistesse una “pietra miliare” capace di fare a pezzi qualsiasi discussione sull’esistenza della trattativa Stato-mafia, sarebbe effettivamente e decisamente più prudente cercare di evitare di far rimuginare i cervellini più svegli sulla stranezza del fatto che questa prova schiacciante sarebbe già disponibile da 15 anni senza che ce ne siamo mai accorti.
Dopodichè, mano alle forbici, all’ago, e al filo, ecco il famoso sarto.
Mori, nella deposizione di Firenze, esprimeva alcuni concetti semplici: l’idea del Cap. De Donno di avvicinare Ciancimino per portarlo a collaborare in quanto in quel momento storico lo stesso Ciancimino viveva alcune gravi difficoltà, soprattutto giudiziarie, i primi colloqui di don Vito con De Donno, gli argomenti trattati (principalmente la strage di Capaci e soprattutto “Mani pulite”), la disponibilità data dal Ciancimino a collaborare (“‘ma io potrei fare l’infiltrato, inserirmi nel mondo degli appalti, dell’imprenditoria‘, ), il primo incontro con Mori dove il generale per rompere il ghiaccio esordisce con una battuta riferita alle avvenute stragi: “‘Ma signor Ciancimino, ma cos’è questa storia qua? Ormai c’è muro, contromuro. Da una parte c’è Cosa Nostra, dall’altra parte c’è lo Stato? Ma non si può parlare con questa gente?’ La buttai lì convinto che lui dicesse: ‘cosa vuole da me colonnello?’”, l’incredulità dei carabinieri quando don Vito diceva di avere preso contatti con Cosa Nostra, la secca replica dei carabinieri che dichiarano le loro pretese assolutamente limitate alla cattura dei latitanti.
Il verbale integrale, è ricopiato sotto a questa mia nota. Si noterà, nel leggerlo, che esso non può assolutamente essere inteso come la prova definitiva (la “pietra miliare”) che “lo Stato ha avuto incontri con la mafia per discutere in che modo si potevano far finire le stragi”. Esso dimostra soltanto che il ROS nel 92 cercò di portare a collaborare don Vito Ciancimino con lo scopo di catturare i latitanti, che in questo contesto Ciancimino si dichiarò disponibile a contattare qualche “intermediario” per capire “che cos’è questa storia qua” (le stragi), che ovviamente il ROS non volle impedirglielo perché comunque interessato a qualsiasi informazione sull’argomento, che quando don Vito disse di aver contattato sul serio un intermediario quello aveva dimostrato scetticismo ma si era detto interessato a trattare, che Mori ritenne che quello fosse un “escamotage” del Ciancimino e comunque replicò seccamente che la sola trattativa ammissibile per loro poteva basarsi solo sulla resa dei latitanti, che Ciancimino dapprima li mise alla porta dicendo che a quel punto rischiavano tutti la pelle, salvo ripresentarsi dopo un po’ di tempo, messa da parte qualsiasi ipotesi di trattativa con Cosa Nostra, per aiutare il ROS a rintracciare Riina, mappe alla mano.
Questo il racconto di Mori. (ma anche lo stesso racconto, preciso preciso, reso in carcere dallo stesso don Vito nella primavera del ’93, per il verbale di Antonio Ingroia in persona).
Per trasformare invece questo racconto di Mori nella “pietra miliare”, la regina di tutte le prove che “lo Stato ha avuto incontri con la mafia per discutere in che modo si potevano far finire le stragi”, bisogna usare il “taglia e cuci”.
E così è stato fatto nella trasmissione di Santoro: ben 8 tagli e 7 ricuciture per martoriare uno stralcio della deposizione di Mori.
Naturalmente, la spiegazione sarà sempre la stessa: si fa per sintetizzare, per stare al succo.
Beh, chissà perché, io vedendo questa sintesi e questo succo, capisco cose molto diverse da quelle dette effettivamente da Mori.
Inoltre, caro Santoro, ti vorrei ricordare che un montaggio onesto di ben 8 spezzoni stralciati da una deposizione, vorrebbe che i tagli fossero evidenziati, magari con delle sfumate, e non occultati.
Il pubblico ha il diritto di percepire che si tratta di un collage di più parti, così da farsene almeno una ragione.
Qui invece, su ogni taglio e ricucitura, sono state apposte immagini estratte da altre parti della bobina o persino da altre bobine, con inquadrature degli avvocati, dell’aula o della corte, che non c’entravano nulla, sotto il profilo temporale, con l’audio del sottofondo. Così non si vedono i tagli le ricuciture.
Quindi non vedo come si possa escludere l’esistenza di una precisa volontà di ingannare, illudendo lo spettatore di avere a che fare con un “continuum”, un pensiero unico espresso in una sola soluzione e senza interruzioni né sbavature.
E quindi siamo alle solite: è provato che “lo Stato ha avuto incontri con la mafia per discutere in che modo si potevano far finire le stragi”, ma, ancora una volta, soltanto grazie ad un collage molto ben fatto.
Passate parola.
Enrix
VERBALE DI TESTIMONIANZA DEL GEN. MARIO MORI A FIRENZE IL 24/01/1998 (NOTA BENE: Gli spezzoni videomontati nel collage di Santoro, sono evidenziati in lettere rosse. Link: http://www.youtube.com/user/serviziopubblico al punto 0:46:05 )
DIBATTIMENTO-1: udienze/980124.txt
PRESIDENTE: Buongiorno. Vediamo i presenti.
(…)
Allora, possiamo fare entrare il primo dei due testi.
PUBBLICO MINISTERO: Sì. Io direi di invitare in aula il generale Mario Mori.
PRESIDENTE: Si accomodi. Per cortesia vuole ripetere solo il suo nome e cognome?
*TESTE Mori: Mario Mori.
PRESIDENTE: Lei ricorda che è già stato sentito dalla Corte.
TESTE Mori: Certo.
PRESIDENTE: Ha letto la dichiarazione di impegno.
TESTE Mori: Certo.
PRESIDENTE: Quindi è sempre vincolato da questo impegno assunto. Può rispondere alle domande del Pubblico Ministero.
PUBBLICO MINISTERO: Generale Mori, io ho bisogno di porle delle domande per ottenere da lei una illustrazione di una certa vicenda, per introdurre la quale però le debbo porre il quesito diciamo, in termini canonici.
Il quesito è: se sia vero che anche lei personalmente, nella seconda metà del 1992, ha – adopro una formula volutamente generica – avuto contatti con una persona, che più esattamente identifica l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino.
TESTE Mori: Glielo confermo.
PUBBLICO MINISTERO: Allora, la circostanza dalla quale muoviamo è un fatto reale. Ecco, detto questo, io ho bisogno di una illustrazione puntuale, nei limiti dei suoi ricordi in proposito, sulla, chiamiamola pure genesi, di questa presa di contatti, sulla finalità alla quale questa iniziativa era ispirata, sulla evoluzione e l’eventuale conclusione con relativa causale della vicenda stessa.
Ecco, proprio scolasticamente direi, il problema glielo pongo così e non credo – salvo che non ce ne sia particolare necessità – che io la debba interrompere con domande su un punto o sull’altro. Le chiedo semplicemente, nei limiti del possibile, di puntualizzare senz’altro le cadenze e la tempistica di questa vicenda.
TESTE Mori: Va bene.
E allora bisogna rifarsi al periodo tarda primavera, estate 1992. A fine maggio, mi sembra 24, 25, non ricordo bene, c’è la strage di Capaci. E c’è questo shock che colpisce tutti, ma colpisce anche noi investigatori, perché ci dimostra la nostra impotenza di fronte a un fenomeno che non riusciamo a penetrare e a contrastare efficacemente.
Ovviamente queste vicende poi continuano, si sviluppano e si arriva anche al 19 di luglio, quando viene ucciso Paolo Borsellino con la sua scorta.
Io vorrei ricordare, perché sono pochi anni, ma sembra che sia passata una vita, anche perché la situazione è totalmente cambiata. Vorrei ricordare tutti… in quest’aula penso lo ricordino, il volto del dottor Caponnetto, che a una richiesta di un giornalista dice: ‘è finita’. E c’era dello scoramento, proprio la desolazione in quel volto.
Molta gente se non a parole, certo dentro di sé si è anche arresa in quel periodo. Anche noi persone dello Stato. Nel senso che ritenevano inutile combattere contro un fenomeno indebellabile – ho sentito dire questa parola – insito in una determinata zona del territorio italiano, connaturata ad essa e quindi indebellabile.
E allora io, che in quei giorni ero stato, ero capo del reparto C.O. del ROS e poi fui nominato vicecomandante del ROS, responsabile operativo, quindi di tutte le operazioni del ROS. Ritenni che era un impegno morale, oltre che professionale, fare qualche cosa di più, di diverso, per venire a capo, nelle mie possibilità, di queste vicende, di questa struttura che stava distruggendo i migliori uomini dello Stato.
Per venire al dunque, per sintetizzare, furono due i grossi filoni di impegno operativo che io definii: il primo, quello di costituire un gruppo speciale di operatori che, sulla base di alcune informazioni confidenziali che c’erano state fornite dal maresciallo Antonino Lombardo, poi morto suicida, ci consentivano di avere degli spunti investigativi per iniziare la ricerca su basi concrete nel capo di Cosa Nostra, Salvatore Riina.
E questo fu un gruppo che, costituito, scese a Palermo nel settembre del ’92 e cominciò la ricerca, che poi ebbe esito positivo nei primi giorni dell’anno seguente: 15 gennaio ’93.
L’altro tipo di impegno che assunsi, fu quello un pochettino più generico, di ricercare a livello articolato, fonti, spunti, notizie, che ci potessero portare decisamente, proficuamente all’interno della struttura mafiosa.
In questo ambito, in questo contesto di iniziativa mi si presentò il capitano De Donno, che da me dipendeva, il capitano Giuseppe De Donno. E mi propose un’iniziativa. Facendo riferimento a un’indagine, che quando io comandavo il gruppo di Palermo lui era al Nucleo Operativo del gruppo di Palermo, facemmo su Vito Ciancimino e che riguardava la manutenzione strade e edifici scolastici della città di Palermo, per la quale, al termine dell’indagine, il Gip emise ordinanza di custodia cautelare verso un certo numero di persone, tra cui Vito Ciancimino, per associazione per delinquere semplice, abuso di ufficio, falso ed altro e per la quale, mi sembra, al termine della vicenda giudiziaria, Ciancimino stia scontando definitivamente 8 anni.
E De Donno, sfruttando questo, quindi la conoscenza del soggetto, e che durante le fasi del dibattimento di I Grado, che lui aveva seguito, aveva conosciuto e aveva familiarizzato in una certa maniera, col figlio di Ciancimino, mi propose di tentare un avvicinamento, tramite il figlio Massimo, con Vito Ciancimino, che in quel momento era libero ed era residente a Roma.
Lo autorizzai a procedere a questo tentativo ancorché fossi molto scettico sulle possibilità effettive di… Questo avviene, questo primo contatto – che poi sono più di uno – tra De Donno e Massimo Ciancimino, avviene tra Capaci e via D’Amelio. Quindi diciamo nel giugno del ’92.
Vito Ciancimino, sollecitato dal figlio, accetta. E ci sono una serie di colloqui che quindi partono… adesso, De Donno poi può essere più preciso, non so quand’è il primo, comunque partono nel giugno e si sviluppano tra il giugno e il luglio, a cavallo anche del secondo fatto grave, cioè via D’Amelio. Ciancimino accetta il colloquio insomma, anche se un po’ incuriosito da questo capitano che gli sta girando intorno.
Accetta il colloquio e fa una strana proposta quando entra poi in confidenza col capitano. Loro parlano di Tangentopoli, parlano delle inchieste che l’hanno visto coinvolto come protagonista, Ciancimino, e come investigatore lo stesso De Donno. E gli butta lì, Ciancimino dice: ‘io vi potrei essere utile perché inserito nel mondo di Tangentopoli, sarei una mina vagante che vi potrebbe completamente illustrare tutto il mondo e tutto quello che avviene’.
Questo fatto qua fa convincere De Donno del fatto che Ciancimino mostrava delle aperture, per cui mi chiede se ero disponibile a incontrarlo, anche per avere il conforto di un altro parere e di un’altra persona nel dialogo.
Accetto. Ripeto, con perplessità e qualche scetticismo. De Donno fa la proposta a Ciancimino; Ciancimino accetta.
Incontro per la prima volta Vito Ciancimino a casa sua, a via di Villa Massimo, che è dietro piazza di Spagna a Roma, il 5 agosto… nel pomeriggio del 5 agosto del ’92.
Vorrei fare un punto, sennò non si capiscono le cose. Non siamo nel ’98. Il 5 agosto del ’92 l’Italia era quasi in ginocchio perché erano morti due migliori magistrati nella lotta alla criminalità mafiosa, non riuscivamo a fare nulla dal punto di vista investigativo ed eravamo allo sbando, da questo punto di vista. Cinque anni sembrano pochi ma… sono solo cinque anni son passati, eppure è cambiato completamente tutto.
Quindi, quando inizio il discorso con Ciancimino, cominciamo sulle generali. E il primo incontro non è altro che delle considerazioni di carattere generali su persone, fatti di Palermo. Io ho comandato il gruppo Carabinieri per quattro anni a Palermo. Ciancimino è palermitano; è stato sindaco di quella città.
Ricordo che parlammo anche, perché lui mi chiese chi ero, dov’ero, come mi collocavo, che funzioni avevo, chi erano i miei superiori; che gli accennai che il mio superiore diretto era il generale Subranni. Al che lui si ricordò: ‘ma chi è, il maggiore che era al Nucleo Investigativo di Palermo?’
‘Sì, il maggiore che…’ e commentammo questo.
E io poi, tornando in ufficio e accennando al generale Subranni di questo incontro e contatto che avevo intrapreso con Vito Ciancimino, gli dico: ‘guarda, ha parlato anche bene di te quindi… cioè, ti considera un ottimo investigatore’.
Il primo… Quindi quello fu il primo incontro. Ripeto, interlocutorio, senza nulla di particolare. Non siamo entrati in nessuna specifica di servizio. Il secondo incontro avviene il 29 di agosto, quindi nello stesso mese, a fine mese. E ovviamente, cosa ci ripromettevamo noi? Almeno, cosa mi ripromettevo io dal contatto con Ciancimino. Avere, intanto, se possibile, se lui si dichiarava disponibile, io contavo molto sul fatto che la sua posizione dal punto di vista giudiziario non era brillantissima. Lui, prima o dopo, e lo sapeva, a parte che non aveva… aveva il ritiro del passaporto, altri provvedimenti e misure adottate nei suoi confronti; lui sapeva che prima o dopo doveva rientrare in carcere. Cosa che poi avvenne a fine anno, con un provvedimento della Corte di Assise di Palermo.
E quindi, diciamo tra virgolette, era in qualche modo ricattabile insomma. Noi speravamo che questo lo inducesse a qualche apertura e che ci desse qualche input.
In effetti poi, quando fa quella proposta un po’ strana, un po’ singolare a De Donno, dice: ‘ma io potrei fare l’infiltrato, inserirmi nel mondo degli appalti, dell’imprenditoria’, sfruttammo noi questo input che lui ci diede e in quel momento io cominciai a parlare con lui.
‘Ma signor Ciancimino, ma cos’è questa storia qua? Ormai c’è muro, contromuro. Da una parte c’è Cosa Nostra, dall’altra parte c’è lo Stato? Ma non si può parlare con questa gente?’ La buttai lì convinto che lui dicesse: ‘cosa vuole da me colonnello?’
Invece dice: ‘ma, sì, si potrebbe, io sono in condizione di farlo’.
E allora restammo… dissi: ‘allora provi’. E finì così il secondo incontro, per sintesi ovviamente.
Il terzo incontro avviene, se non sbaglio, il 1 ottobre dello stesso anno, ’92. Ciancimino… L’incontro avveniva… è stato in questo modo. Ciancimino lo diceva al figlio, il figlio chiamava telefonicamente De Donno e poi ci si trovava, sempre a casa sua.
In questo terzo incontro dice: ‘io ho preso contatto, tramite intermediario’, che non disse mai chi era l’intermediario, lo ammise solo in sede di escussione da parte dei magistrati di Palermo, quando seppe che il dottor Cinà, che era il medico di Riina, era stato arrestato. E si capì, lo disse, che era lui l’intermediario.
Allora, dice: ‘io ho preso contatto, tramite intermediario, con questi signori qua, ma loro sono scettici perché voi che volete, che rappresentate?’
Noi non rappresentavamo nulla, se non gli ufficiali di Polizia Giudiziaria che eravamo, che cercavano di arrivare alla cattura di qualche latitante, come minimo.
Ma certo non gli potevo dire che rappresentavo solo me stesso, oppure gli potevo dire: ‘beh, signor Ciancimino, lei si penta, collabori, che vedrà che l’aiutiamo’.
Allora gli dissi: ‘lei non si preoccupi, lei vada avanti’.
Lui capì a modo suo, fece finta di capire e comunque andò avanti. E restammo d’accordo che volevamo sviluppare questa trattativa. 1 ottobre.
18 ottobre, quarto incontro. Ciancimino, con mia somma sorpresa, perché fino a quel momento, anche con tutte le affermazioni: ‘io ho preso contatto’, non ci credevo.
Ciancimino mi disse: ‘guardi, quelli accettano la trattativa, le precondizioni sono che l’intermediario sono io’ – Ciancimino – ‘e che la trattativa si svolga all’estero. Voi che offrite in cambio?’
A questo punto capii che non c’era più nulla da fare, cioè non si poteva più allungare il brodo. Per il semplice fatto che io sapevo benissimo che Ciancimino aveva il passaporto ritirato e che con questa manovra della trattativa svolta all’estero… che poi era un’escamotage molto modesto perché si poteva fare a Frascati, o a Cantù o a Roma in via di Villa Medici: lui voleva uscire e mettersi in condizione di sicurezza, almeno questo ho pensato io. Peraltro non avevo nulla da offrire io, perché lui mi aveva detto: ‘che cosa offrite?’
E allora, a questo punto dissi: ‘beh, noi offriamo questo. I vari Riina, Provenzano e soci si costituiscono e lo Stato tratterà bene loro e le loro famiglie’.
A questo punto Ciancimino si imbestialì veramente. Mi ricordo era seduto, sbattè le mani sulle ginocchia, balzò in piedi e disse: ‘lei mi vuole morto, anzi, vuole morire anche lei, io questo discorso non lo posso fare a nessuno’.
E quindi rimaniamo che la trattativa ha un momento di ripensamento e poi vediamo come va. Troveremo un sistema per chiuderla, senza ulteriori conseguenze. Molto seccamente mi accompagnò alla porta, insieme al capitano De Donno che assisteva a tutti questi quattro colloqui che ho fatto e ci salutò.
Scendendo le scale mi ricordo che De Donno disse: ‘beh, è andata male colonnello, ma d’altra parte che potevamo fare?’
E io feci: ‘mah, non è andata male’. Perché intanto abbiamo raggiunto un punto, che questo qui veramente ha preso il contatto, perché sennò questo tipo di reazione e questa paura che ha dimostrato di avere, non ci sarebbe stata: primo.
Secondo: la sua posizione giudiziaria è tale che prima o dopo dovrà tornare a contattarci. Era il 18 di ottobre.
Fui facile profeta, ma era abbastanza logico che ciò avvenisse. Penso alla fine di ottobre, i primi di novembre, il figlio di Ciancimino, Massimo, contattò nuovamente De Donno e gli chiese se voleva incontrare il padre da solo, perché probabilmente era più facile il dialogo tra Ciancimino e De Donno. De Donno è più espansivo, estroverso di me, quindi si trovava meglio Ciancimino con De Donno.
De Donno ovviamente me lo disse. Mi chiese l’autorizzazione e io lo autorizzai. Non mi ricordo, ma De Donno se lo ricorderà il giorno in cui poi avvenne questo colloquio. Ma in estrema sintesi, poi mi riferì De Donno che Ciancimino disse: ‘va be’, ma che cosa volete voi?’
E noi eravamo già preparati a questa risposta… a questa domanda e De Donno gli rispose: ‘noi vogliamo Totò Riina, catturare Totò Riina’.
Lui accettò. E chiese preliminarmente a De Donno una serie di mappe, se non vado errato relative all’acqua, al gas, o alla luce, comunque due o tre servizi, relativi alla città di Palermo, in un settore ben preciso: viale della Regione Siciliana, verso Monreale, quella che – chi conosce Palermo – dovrebbe essere la zona in mezzo a Monreale, grossomodo.
Quindi mappe, non carte… E De Donno si attivò per procurarsele presso il Comune di Palermo.
Il giorno 18 di dicembre, un giorno prima dell’arresto di Vito Ciancimino, De Donno torna a casa di Ciancimino e gli porta quello che aveva potuto recuperare. Ciancimino non resta soddisfatto, dice: ‘no, ma io vorrei…’, gli dà delle indicazioni più dettagliate e più precise su come… su quello che voleva, in pratica.
De Donno ritorna in ufficio e mi dice: ‘ma…’ e mi racconta quelle che erano state i contenuti, che erano stati i contenuti dell’incontro e mi dice: ‘mah, intorno lì a Villa Medici, a via dei Medici, c’è questa strana gente, o poliziotti o Carabinieri erano intorno perché… noi ci capiamo al fiuto’, insomma, e difatti l’indomani mattina viene arrestato il Ciancimino.
Io pensavo che fosse finito il nostro rapporto, ma subito dopo le feste di Natale, non le so dire con esattezza perché non ho tracce, neanche nella mia agenda, se prima o dopo l’arresto di Riina, ma penso prima, qualche giorno, pochi giorni prima, mi chiamò l’avvocato di Vito Ciancimino, l’avvocato Giorgio Ghiro. E mi disse che il suo cliente mi voleva parlare.
Io dissi all’avvocato che non avevo nessuna difficoltà, però erano cambiati tutti i termini del nostro rapporto in quanto lui era detenuto.
Contattai il dottor Caselli, che nel frattempo era divenuto Procuratore della Repubblica a Palermo, gli raccontai tutta la vicenda, lui fu molto interessato e ovviamente autorizzò il colloquio investigativo da parte mia e da parte del capitano De Donno.
Colloquio investigativo che avvenne il giorno 22 di gennaio di quell’anno, nella mattinata, a Rebibbia nuovo complesso. E Ciancimino esternò la sua volontà di continuare il rapporto. Io spiegai a Ciancimino che i termini erano completamente cambiati, non potevamo più assolutamente parlare, in quella sede, di una collaborazione informale, ma lui doveva collaborare formalmente. E lui alla fine disse che era aperto alla collaborazione formale con lo Stato.
Per cui, appena uscito da Rebibbia, mi incontrai, o nella tarda mattinata, o nel primo pomeriggio, con Giancarlo Caselli, gli spiegai la posizione di Ciancimino e la Procura di Palermo si mise in condizioni di ascoltare il Ciancimino.
L’inizio delle escussioni del Ciancimino avviene verso la metà di febbraio. Ad alcune ho assistito anch’io. Nel contesto di queste dichiarazioni che rese ai magistrati della Procura di Palermo, Ciancimino fece cenno a tutta la vicenda del rapporto tra di noi e lui.
Il capitano De Donno, che compilò gli atti relativi e tutti gli accertamenti connessi alle dichiarazioni di Ciancimino, riferì anche sui nostri rapporti. La Procura di Palermo non ci ha mai chiesto alcunché su questo fatto.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco. Lei ricorda, generale, questa vicenda di averla illustrata, prima che in questa Corte di Assise, anche ai magistrati della Procura di Firenze?
TESTE Mori: Certo.
PUBBLICO MINISTERO: Ricorda la data in cui è avvenuto questo esame?
TESTE Mori: Il 1 di agosto mi sembra.
PUBBLICO MINISTERO: Di quale anno?
TESTE Mori: Di quale anno? Di… del ’97.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco, quindi prima di questa data a lei non era mai stato richiesto di illustrare questa situazione in un atto formale…
TESTE Mori: No. No, dopo l’escussione fatta da lei, sono stato inteso, sullo stesso motivo, dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta.
PUBBLICO MINISTERO: Ho da chiedere qualche dettaglio a questa sua esposizione: lei ha avuto la possibilità di indicare con esattezza le date in cui si sono svolti questi incontri che rappresentano un po’ la porta di passaggio da una situazione ad un’altra.
TESTE Mori: Esatto.
PUBBLICO MINISTERO: Sul fatto di poterle indicare con esattezza queste date, generale, si affida al suo ricordo, o a qualche cosa…
TESTE Mori: Alla mia agenda.
PUBBLICO MINISTERO: Ha con sé qualche cosa?
TESTE Mori: Sì, ho portato la fotocopia delle pagine, solo delle pagine relative, ovviamente.
E qui leggo: “5 agosto tra le 14 e le 15″ – dell’agenda – “incontro con V.C.”, cioè Vito Ciancimino.
“Sabato 29 agosto, ore 16.00 V.C.”, cioè Vito Ciancimino.
“1 ottobre” – sempre di quell’anno – “pomeriggio, colloquio con V.C.”.
“Domenica 18 ottobre ore 11.30 V.C.”.
“22 gennaio” – dell’anno successivo, quindi siamo nel ’93 – “ore 09.00, incontro con V.C.”, qui a Rebibbia, anche se non l’ho scritto – “ore 14.00, 13.30-14.00 incontro col dottor Caselli.”
PUBBLICO MINISTERO: Ecco, in occasione dell’altro suo esame davanti alla Corte, mi ricordo che, su sollecitazione mia, la Corte dispose per l’acquisizione del…
PRESIDENTE: Se i difensori non hanno nulla in contrario, si acquisiscono.
AVV. Cianferoni: Nessuna opposizione.
PRESIDENTE: Le parti civili?
(voce fuori microfono)
PRESIDENTE: Allora…
PUBBLICO MINISTERO: Allora, generale, se quelle fotocopie le può mettere a disposizione, perché la Corte ha disposto per l’acquisizione al verbale.
TESTE Mori: Certo.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco, il primo punto era questo: volevo, se è possibile, un chiarimento migliore sul punto che Ciancimino, all’epoca in cui si sono svolti questi incontri, si trovava quindi a Roma nella sua abitazione?
TESTE Mori: Sì, via di…
PUBBLICO MINISTERO: Ecco, ma a quanto lei ricorda, era libero a tutti gli effetti, o era sottoposto a una qualche misura limitativa della libertà personale, arresti domiciliari, o…
TESTE Mori: No, no, era libero, perché ci raccontava che frequentava dei locali, parlava… Quindi era libero.
PUBBLICO MINISTERO: Questi colloqui, mi pare di aver colto dall’ultima parte della sua illustrazione, lei li ha avuti sempre assieme al capitano De Donno.
TESTE Mori: Vero.
PUBBLICO MINISTERO: E quindi, le persone presenti a questi colloqui, chi sono state? Almeno ai colloqui sui quali ha rife… lei ci sta riferendo.
TESTE Mori: Sì. Non ricordo, ma lì sull’agenda c’è pure scritto. In uno di quei quattro colloqui partecipò anche Massimo, ma solo per il fatto che…
PRESIDENTE: Il figlio di Ciancimino.
TESTE Mori: Il figlio di Ciancimino. Ma solo per un breve momento. E mentre non si parlava di cose, diciamo, di interesse, perché Ciancimino ci volle offrire il caffè. E allora entrò il figlio, si intrattenne qualche minuto. Ma solo dal punto di vista, così, così della relazione. Ma non…
PUBBLICO MINISTERO: Relazione spaziale, voglio dire.
TESTE Mori: Sì.
PUBBLICO MINISTERO: Ma l’argomento si è svolto…
TESTE Mori: Nella sala, diciamo, nella sala da pranzo della casa di Vito Ciancimino.
Tutti e quattro gli incontri.
PUBBLICO MINISTERO: Io ho capito che la presa di contatto iniziale da parte del capitano De Donno si lega, in qualche modo, alla sua convinzione, ovviamente partecipata dal suo personale, di ricercare nelle sedi idonee, presso i personaggi considerati idonei, spunti, indicazioni, quali potessero essere…
TESTE Mori: Sì.
PUBBLICO MINISTERO: Ho capito bene?
TESTE Mori: Certo.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco. Io vorrei capire: sulla base di quale fatto nuovo, se c’è stato un fatto nuovo, a un certo momento il capitano De Donno si risolve a proporre a lei di aver un incontro con Ciancimino?
Che, mi permetto di fare una piccola coda a questa domanda per renderla più chiara, per evitare poi di doverne fare una dopo.
Perché di regola, gli spunti, quelli che si chiamano indicazioni a carattere di fiduciario, confidenziale, o quant’altro, di regola, un ufficiale li raccoglie da sé.
Non colgo altrimenti la ragione per la quale il capitano De Donno, anziché portarsi un ufficiale pari grado, o addirittura un maresciallo, fa intervenire sulla scena – questa è l’espressione che mi sembra sia più efficace, forse non è del tutto appropriata – fa intervenire sulla scena il vice comandante del ROS.
TESTE Mori: Ho capito.
Allora, guardi, l’input indiretto alla vicenda, a questo contatto che poi De Donno si propone di realizzare, glielo do io. Quando, parlando di queste cose, dico: è inutile che andiamo a cercare il solito scalzacane che ci racconta di Ciccio Formaggio, del paese di, che so, che posso dire, di Corleone che è sospettato di.
Qui ormai lo scontro è a livello altissimo. Noi dobbiamo cercare interlocutori dall’altra parte di livello altissimo.
Quindi, per favore, cerchiamo di spremere le meningi su questo aspetto.
E allora De Donno fa questo ragionamento e individua le sue possibilità, poi dopo si può chiedere anche a lui. Non è che ci siamo mai spiegati su questo, ma adesso vado per logica.
Lui Ciancimino lo aveva frequentato. Nel senso che aveva investigato e lo aveva portato fino all’arresto.
Aveva poi questa possibilità di dialogo col figlio di Ciancimino. E quindi decise di sfruttarlo.
Perché, dice giustamente lei, ci viene a cercare e non…
Intanto, quando inizia il rapporto, io non ero vicecomandante, ma ero comandante del reparto criminalità organizzata del ROS.
Quindi ero il responsabile diretto di questa attività nel settore antimafia.
Poi, De Donno io lo conosco da quando era tenente, che venne al Nucleo Operativo, che era un bimbetto e io comandavo il gruppo di Palermo.
E’ stato sempre con me da allora, ed è tuttora con me. E c’è un rapporto che va oltre il fatto che io sono colonnello e generale e lui è tenente o capitano. C’è rapporto di stima e di rispetto reciproco.
E si rendeva conto, De Donno, che questo non era il solito, la solita fonte informativa da quattro soldi, che dovevamo sfruttare e poi capire se era valido quello che diceva o meno. Ciancimino era un personaggio.
E c’è anche un altro fatto fondamentale. Bisogna conoscere la psicologia di Ciancimino.
Ciancimino è un personaggio di grande energia, di grande determinazione. E ha la convinzione, penso a buon titolo per le sue vicende professionali ed ex professionali, di essere un capo.
E lui vuol trattare solo col capo.
E le farò un esempio senza fare nomi, perché… Quando fu portato di fronte ai magistrati di Palermo, nelle prime due circostanze lo sentì direttamente il procuratore Caselli, ecco.
E Ciancimino si rapportava su quel livello, perché riteneva che quello fosse il piano.
PUBBLICO MINISTERO: Credo di aver capito.
TESTE Mori: La terza volta, venne un magistrato giovane e non c’era il dottor Caselli che, poveretto, ci aveva altro da fare, e gli disse: ‘ma lei chi è?’
Dice: ‘ma io sono il tizio e caio, sono il sostituto procuratore della Repubblica’.
‘Ma lei sarà uno di … Con lei non parlo’. E se ne andò. Tant’è che fu ripreso e ripor…
Ecco, questo è il personaggio…
De Donno si rese conto che aveva bisogno di avere anche un sostegno psicologico. Ecco il motivo. Anche perché ritenevo che il livello era tale che mi potevo sprecare, tra virgolette, e andarci.
PUBBLICO MINISTERO: Un altro punto: lei ha precisato, generale, un attimo fa quale era il suo incarico esattamente all’epoca, diciamo pure nelle settimane in cui si snoda questa vicenda.
TESTE Mori: Sì. Io proprio…, mi sembra i primi giorni di agosto del ’92, divento vicecomandante del ROS.
PUBBLICO MINISTERO: Quindi, con qualche giorno di anticipo, rispetto al primo incontro. Perché, se non mi sbaglio…
TESTE Mori: Ma penso proprio a cavallo lì.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco.
TESTE Mori: A cavallo proprio del… Ma le facevo già, in qualche modo, le funzioni. Perché il colonnello Cagnazzo che era il vicecomandante, era in trasferimento per la Regione di Palermo.
PUBBLICO MINISTERO: Lei ritenne di mettere al corrente qualcuno dei suoi superiori di questa sua iniziativa?
E, se lo ha fatto, quando? Prima di avviarla, o successivamente, o nel corso della vicenda?
TESTE Mori: Io, come ufficiale di Polizia Giudiziaria, lei mi insegna, posso trattare con delle fonti. Quindi teoricamente potevo anche tenermela per me, o lasciare che De Donno facesse la sua attività.
Però il personaggio era particolare. E, soprattutto, tenevo a un consiglio del generale Subranni, che era il mio superiore. Perché Subranni ha fatto la parte più intensa della sua carriera professionale a Palermo. Ed è unanimemente riconosciuto come un investigatore di grandissimo livello. Un grande conoscitore di quella realtà.
E allora, dopo il primo incontro, perché fino al primo incontro era molto dubbioso sull’effettivo sviluppo che poteva avere questa vicenda, dopo il primo incontro, appena tornato, andai da Subranni.
Introdussi il discorso dicendo che Vito Ciancimino aveva parlato bene di lui e poi lui così seppe di quello che era il mio intendimento.
Lui mi consigliò: ‘stai molto attento, perché questo è un personaggio che ti può giocare tranquillamente insomma. Ti può mettere sotto scopa’, mi ricordo mi disse.
Presi atto di questo e poi continuai.
PUBBLICO MINISTERO: Quindi, non…
TESTE Mori: E poi lo informai che era finito il 18 ottobre. Dico: abbiamo dovuto finire, perché quello mi ha chiesto che cosa potevamo offrire.
E che gli potevo offrire? Che si costituisca.
PUBBLICO MINISTERO: Quindi capisco che lei non ritenne che vi fossero le ragioni, i presupposti, per decampare da una regola utilizzata correntemente: quella secondo cui un ufficiale di Polizia Giudiziaria che contatta una fonte, lo può fare anche a titolo così personale da non essere tenuto ad informare i suoi superiori.
TESTE Mori: Ecco, perché si … solo poi in sede giudiziaria, eventualmente.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco. Ho capito – lei lo ha illustrato con molta chiarezza – che quella che possiamo chiamare la rottura di questo contatto, si concretizza quando, a una certa domanda di Ciancimino, lei formula una certa risposta.
TESTE Mori: Certo.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco, ma lei aveva messo in preventivo fin dall’inizio di questo contatto con Ciancimino di essere richiesto da Ciancimino di quali potessero essere, secondo le prospettive, nell’occasione, del colonnello Mori, sicuramente il capitano De Donno era figura a quel punto, diciamo pure, complementare, non essenziale.
TESTE Mori: Certo.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco, non aveva messo in preventivo che questa domanda, da parte di Ciancimino, poteva esserle posta fin dall’inizio?
TESTE Mori: Sì. Anche se come ipotesi remota debbo precisare. Perché io ritenevo che, al massimo, lui dicesse: ‘sì, cercherò di prendere contatto’.
Io infatti me l’aspettavo che avrebbe detto sì. Poi, dice: non ce l’ho fatta’, perché indubbiamente era una esposizione grossa per lui dire: ‘sì, ho preso contatto con Cosa Nostra.’
E allora io pensavo, va be’, se lo dice, io non ho altro che dirgli: ‘va be’, si costituisca, poi la tratteremo bene, insomma…’
Io pensavo invece che lui, dopo un po’, al quarto incontro, difatti, mi dicesse: ‘guardi, non è possibile, non accettano il dialogo…’
Per altro c’erano i presupposti; al terzo, dice ‘ma questi non si fidano, poi chi siete…’, insomma.
E invece facesse delle aperture, dice: ‘va be’, ma possiamo vedere qualche altra cosa’.
Insomma, io pensavo che rimanesse sul piano più basso, tutto… e che lui offrisse qualche notizia, magari di un certo livello. Più nel campo imprenditoria e appalti politica, che nel campo, diciamo, operativo diretto. Questo mi aspettavo.
Le confesso che mi sorprese, in un certo senso, questa accettazione così, direi totale, insomma.
PUBBLICO MINISTERO: Accettazione totale, mi aiuti a capire, di questa specie di proposta di assumere un ruolo sostanzialmente di interlocutore a distanza?
TESTE Mori: Sì, sì.
PUBBLICO MINISTERO: Di interfaccia fra due…
TESTE Mori: Sì. Sì, perché era molto rischioso per lui.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco, ma generale, io sicuramente riesco perfettamente a seguirla; ma bisogna capire questo. Credo sia opportuno che questo punto sia chiarito bene.
In quanto la ragione pratica di questa presa di contatti che ha una premessa nei contatti tra Ciancimino e De Donno, ad iniziativa del capitano De Donno, mira tutto sommato ad avere Ciancimino come fiduciario di un organismo investigativo come il ROS.
TESTE Mori: Sì.
PUBBLICO MINISTERO: Quindi, in un taglio, tutto sommato assimilabile a quello del confidente che, avendo magari una vicenda giudiziaria in corso, poteva anche in prospettiva divenire collaboratore, ecco, io ho bisogno di capire com’è che, a un certo punto, ed a iniziativa di chi, sostanzialmente, Ciancimino finisce per vedersi proporre il ruolo di interfaccia.
Perché, almeno librescamente, altro sembrerebbe essere la figura del confidente, altro sembrerebbe essere la figura dell’interfaccia fra due soggetti che non colloquiano direttamente.
TESTE Mori: Ma guardi, il problema… Ciancimino non è il solito personaggio da quattro soldi.
Cioè, bisognava gestirlo sviluppando con lui un dialogo che tenesse conto anche delle sue esigenze.
Perché non gli potevamo dire brutalmente: senti, Ciancimino, la tua posizione giuridica e giudiziaria è quella che è, statti attento, se vuoi evitare la galera ti possiamo aiutare. Però tu dacci…
Perché mi avrebbe accompagnato alla porta immediatamente. Perché i tempi erano diversi. Oggigiorno, forse, questo discorso brutalmente si potrebbe anche fare; nel ’92 non si poteva assolutamente fare.
E allora era una schermaglia continua tra me e lui, tra lui e De Donno, in tre, cercando di cogliere… E’ stato un bel duello, possiamo definirlo così, per cercare di capire i punti in cui noi ci potevamo spingere, dove lui accettava. Dove lui ci voleva anche portare. Perché tutto sommato, ci ha l’intelligenza per gestire qualche…
Quindi, inizialmente il problema era solo, dice: va be’, ci darà qualche notizia se ci va bene; sennò ci accompagna alla porta e finisce lì.
Poi, il fatto che lui si presenta come addirittura disponibile ad inserirsi in un gioco sotto copertura, quasi nell’ambito dell’attività contro l’imprenditoria mafiosa.
Il fatto che dovevamo, in qualche modo, allungare il brodo… Io che gli potevo dire? Brutalmente… solo quello gli potevo dire. Gli ho detto: ‘ma lei li conosce questa gente?’
Sapevo benissimo che li conosceva, Ciancimino è di Corleone.
E quindi è stato quasi portato al discorso, questo ti… E’ stato un andare insieme verso quel… Perché a noi ci conveniva, guadagnavamo tempo.
Io e De Donno… con De Donno questo non l’ho mai pensato. Ma io ero anche orientato eventualmente, se lui, come ritenevo, avesse portato a lungo la trattativa, di fare dei servizi di pedinamento su Ciancimino, per vedere effettivamente come contattava, chi contattava e se contattava.
Questo, poi, non è avvenuto perché ha bruciato i tempi, Ciancimino.
Non so se sono riuscito…
PUBBLICO MINISTERO: Ha bruciato i tempi, io credo di capire…
TESTE Mori: Rispetto a me, rispetto alle mie previsioni.
PUBBLICO MINISTERO: Ha bruciato i tempi nel momento in cui ha detto: ‘colonnello, lei che mette sul tavolo?’
TESTE Mori: Esatto. Io non me lo aspettavo proprio.
In quel momento, non me lo aspettavo.
PUBBLICO MINISTERO: In occasione dell’incontro in cui Ciancimino comunica le cosiddette precondizioni, mi pare lei abbia adoprato questo termine: allora questa trattativa la faccio all’estero, con Ciancimino in veste di…
TESTE Mori: Intermediario.
PUBBLICO MINISTERO: Intermediario, o qualcosa di simile.
Per caso fu richiamato anche il fatto specifico che Ciancimino aveva qualche problema in corso con la Giustizia?
TESTE Mori: No. Noi ne parlammo la… mi sembra la prima, o la seconda volta, che lui aveva dei problemi.
Ma era notorio, insomma, che avesse dei problemi. La…
PUBBLICO MINISTERO: No facevo per capire se questa…
TESTE Mori: No, lui direttamente…
PUBBLICO MINISTERO: Se i problemi di Ciancimino facevano parte del pacchetto delle condizioni.
TESTE Mori: No, lo pensai io subito. Quando lui mi disse che bisogna farlo all’estero, io dissi: ma come… Dentro di me dissi: ma tu non hai il passaporto. E allora cosa vuoi da me? Il passaporto.
Questo lo pensai subito.
PUBBLICO MINISTERO: E’ tutto qui, generale. Non credo…
Una domanda sola, però: nel corso di questi incontri, a me pare di ricordare, ma è un eufemismo, è un dato incerto. Nel corso di questi incontri si verificò un grave fatto di sangue a Palermo.
Perché si verificò l’eliminazione dei Ignazio Salvo. Che è settembre del ’92. Quindi proprio in epoca mediana fra gli incontri dell’agosto e gli incontri dell’ottobre.
Lei ha ricordo, generale, che in questa, queste panoramiche che, a quello che capisco, allargavano e stringevano continuamente l’obiettivo su Cosa Nostra e l’universo mondo di Cosa Nostra, vi sia stata una qualche considerazione da parte di Ciancimino in ordine a quel fatto, e se quel fatto era rappresentativo di, e se a seguito di quel fatto si poteva pensare che… Ecco.
TESTE Mori: Ma guardi…
PUBBLICO MINISTERO: Vorrei questo chiarimento specificamente.
TESTE Mori: Sì. Come ha detto lei, in effetti, nel corso di questi colloqui, ovviamente, c’erano parecchie digressioni.
Poi, Ciancimino è un vulcano quando parla. Fa citazioni, riferimenti. Quasi tutti di tipo politico.
Poi lui, in quel periodo lì, aveva ultimato, stava correggendo le bozze di un libro che faceva un po’ la storia dei suoi anni a Palermo. E ci aveva la bozza. E mi ricordo poi che la dette a me e voleva assolutamente che la leggessi. Anzi, mi… Forse il terzo incontro, mi fece pure il cicchetto perché non lo avevo ancora letto.
Poi cicchettò anche il dottor Caselli, perché gliela diede anche a lui questa bozza. E, ovviamente, Caselli ci aveva altro a cui pensare, non la lesse.
E quindi c’erano vari capitoli che si riferivano a Orlando, a Gioia… Tutti i personaggi, protagonisti delle vicende palermitane.
Però, un ricordo preciso, specifico, su Salvo e sulla vicenda dell’omicidio non ce l’ho, non mi dice nulla.
PUBBLICO MINISTERO: Un ultimo punto: lei ha illustrato proprio il contenuto dell’ultimo incontro, quello dell’abitazione.
Non sto parlando del colloquio investigativo, l’ultimo incontro nell’abitazione.
TESTE Mori: Sì.
PUBBLICO MINISTERO: E mi è parso di capire che il discorso si è, anche bruscamente, interrotto sulla linea di partenza.
Lei ha avuto la possibilità di capire se Ciancimino si accingesse, o fosse nella possibilità di farsi da portavoce, sul momento, di richieste che venivano da Cosa Nostra?
Quindi dai soggetti con i quali, in qualche modo, aveva stabilito quel certo contatto di cui si parlava prima?
Intendo dire, se Ciancimino era in grado di illustrare le controproposte e comunque la contropartita a quelle che aspettava fossero indicate da lei come basi, o punti di partenza di una trattativa?
TESTE Mori: Guardi, io, in quel momento lì, quando lui scattò in piedi, mi disse, dice: ‘lei mi vuole morto. Anzi, vuole morire anche lei?’, ebbi la sensazione precisa che era in grado di fare una trattativa, di imporsi come intermediario.
Prima no. Prima ritenevo che millantasse, o comunque cercasse di giocarmi, di portarmi dove voleva lui.
Ma in quel momento vidi che veramente aveva paura. Cioè, che si preoccupava di…
PUBBLICO MINISTERO: Però, a quanto intendo, è una conseguenza che lei formulò… una conclusione che lei formulò in quel momento.
TESTE Mori: Era una impressione mia, del momento.
PUBBLICO MINISTERO: Ecco.
TESTE Mori: Perché lui non esplicitò in maniera…
PUBBLICO MINISTERO: Volevo sapere questo: se c’era stata una esplicitazione anche…
TESTE Mori: Ebbi poi una conferma in sede di escussione da parte dei magistrati di Palermo, quando venne fuori il nome di Cinà, che lui sobbalzò e allora si capì che l’intermediario con la controparte era proprio questo Cinà.
E gli veniva a mancare l’unico riferimento, allora.
PUBBLICO MINISTERO: Senta, generale, lei sarà sicuramente al corrente del fatto che, anche in pubblica udienza come è quella della Corte di Assise di Firenze, ci ha parlato di una certa qual definita trattativa, trattativa con “papello”, o trattativa del “papello”, a seconda delle due scuole di pensiero, che avrebbe in qualche modo fatto riferimento, o per meglio dire, che in qualche modo è riferibile alle iniziative di Cosa Nostra e che specificamente di Riina da collocarsi come fatto storico, anche questo nell’anno ’92, nella seconda metà del 1992.
Ora, prescindendo dalla vicenda che lei ha illustrato, e guardando neutralmente a questa riferita storia di una trattativa e di un “papello”, lei, al di là del racconto di stamani, è in grado… e a prescindere, per essere più esatti, dal racconto di stamani, è in grado di fornire una qualche indicazione in questa sede?
O non le consta altro, ripeto, in riferimento a quel periodo storico lì.
TESTE Mori: No, nient’altro.
Mi rendo conto che quella trattativa fra noi e Ciancimino possa avere sollecitato dall’altra parte qualche valutazione, qualche considerazione, anche qualche analisi.
Ma io, a parte quello che ho detto, non so nient’altro.
PUBBLICO MINISTERO: E l’ultima domanda, proprio, è questa: quando lei è stato esaminato davanti alla Corte qualche mese fa, ha illustrato tutta una distinta storia, che, diciamo pure, riguarda certi contatti, come lei ricorda, intrattenuti dal maresciallo Tempesta che glieli venne a riferire in occasione di un certo incontro.
TESTE Mori: Sì.
PUBBLICO MINISTERO: Mi pare che le date, le epoche, tendono quasi a sovrapporsi.
TESTE Mori: Sì.
PUBBLICO MINISTERO: Perché l’incontro col maresciallo Tempesta, lei ce lo collocò…
TESTE Mori: Sarei in grado…
PUBBLICO MINISTERO: … con esattezza, il 25 di agosto del 1992.
Allora, il punto è questo: nella gestione del rapporto con, del contatto con Ciancimino, fu tenuta presente come elemento in qualche modo dipendente, o collegato, fu tenuto presente da lei nella gestione di questi contatti, di questa singolare situazione che le aveva rappresentato il maresciallo Tempesta, oppure no?
TESTE Mori: Non attenni alcuna considerazione. Mi sembra di avere già detto nella precedente testimonianza che ritenevo il contatto con Bellini, da parte mia o di elementi del ROS, pericoloso, perché Bellini, se avesse preso contatto fattivamente con Cosa Nostra, sarebbe stato immediatamente scoperto. Perché come mandato dalle Forze di Polizia o da altri.
Per cui era assolutamente improponibile un tipo di rapporto tra noi con lui.
Quindi non lo collegai affatto, lo considerai subito un fatto che non mi doveva interessare, che per me era pericoloso.
Pericoloso nel senso che poteva portare il nostro reparto fuori strada.
PUBBLICO MINISTERO: Ma considerava che fosse pericoloso anche per Bellini?
TESTE Mori: Al limite, sì. Se prendeva contatto con quei persona…
Se cioè avesse ottenuto, come lui mi sembra di ricordare voleva, gli arresti domiciliari e ospedalieri di Ciccio Madonia, di Luciano Leggio, di Gambino e di qualche altro. E chi era l’autorità in Italia che poteva ottenere questo? Bellini? No di certo.
Quindi, Bellini moriva, a mio avviso.
Questa era la mia valutazione.
PUBBLICO MINISTERO: Questa è la valutazione che lei formulava all’epoca.
TESTE Mori: Certo.
PUBBLICO MINISTERO: E’ questa la spiegazione, o meglio…
TESTE Mori: No, io proprio non le collegai neanche proprio dal punto di vista del ragionamento. Posso dire, forse sarà stata la mia…
PUBBLICO MINISTERO: E’ questo che io avevo bisogno di capire, infatti, generale.
TESTE Mori: Sarà stata una mia lacuna, ma proprio li tenni completamente separati, i due fatti.
PUBBLICO MINISTERO: Ho capito. La ringrazio.
PRESIDENTE: Le parti civili hanno domande?
Segue l’interrogatorio degli avvocati di parte civile.
Jordi 21:03 on 19 July 2013 Permalink |
Complimenti, impressionante!
Vorrei rivolgerti una domanda(dò del tu per via del nick, se non è un problema):nonostante la sentenza assolva Mori e Obinu , Di Matteo ha già dichiarato che farà ricorso.
Mi chiedo se questo non sia un passaggio obbligatorio per far tenere in vita l’altro processo che si intreccia con questo(trattativa stato-mafia).
Non impugnare la sentenza significherebbe riconoscere l’operato dei giudici,e di conseguenza l’innocenza degli imputati.
enrix 08:31 on 20 July 2013 Permalink |
Certamente era un passaggio obbligatorio, se non proprio per la ragione che tu hai detto (che comunque contribuisce sicuramente), almeno per attenuare lo choc al popolo dei trattativisti, per evitare insomma di rimanere lì impalato come uno cornuto e cazziato, davanti alle telecamere di un processo super-mediatico (per loro stessa volontà)..
Sotto il profilo tattico, per un PM, annunciare il ricorso prima del deposito delle motivazioni è un errore molto grave. Di solito infatti i PM in disaccordo con una sentenza, prima di annucniare il ricorso, dicono sempre di voler vedere prima le motivazioni. E’ un modo per evitare promesse da marinaio, nel caso poi le motivazioni risultassero difficilmente oppugnabili, ma SOPRATTUTTO, si evita di sollecitare il giudice a metterci tre volte l’impegno anzichè due nel motivare la sua sentenza, cosa che può avvenire se un PM annuncia un ricorso “a prescindere”, come è avvenuto in questo caso. Quindi, nota bene: Di Matteo, che queste cose le sa benissimo, ha commesso consapevolmente un errore di strategia procedurale, pur di fornire al suo popolo di rivoluzionari civili (si fa per dire) la figurina dell’indignato che sbotta.
Jordi 09:35 on 20 July 2013 Permalink |
Grazie per l’esauriente risposta!(l’ho copiata anche sul Pacco Quotidiano)
Ti auguro un buon fine settimana
Vincenzo conte 17:13 on 21 July 2013 Permalink |
Dovrebbero, nei processi, dormire a turno, e non tutti insieme, come spesso accade. Altrimenti non si spiegherebbero i motivi per cui si convochino testi che nulla hanno a che vedere con il procedimento invece di altri, determinanti, che non vengono neppure sentiti. Questo dopo che il teste inutile avrà’ fatto pure un migliaio di chilometri per essere presente. Quando se ne accorgeranno dovranno rinviare il processo di sei mesi. Poi cercano le cause della lunghezza dei processi. La risposta e’ una sola: gli del processo andrebbero letto prima e non in aula, durante il dibattimento.
francesco 20:00 on 28 July 2013 Permalink |
Resta solo un piccolo interrogativo: perchè non è stato arrestato Provenzano? Davvero si vuole credere alla storiella delle pecore?
enrix 09:52 on 29 July 2013 Permalink |
Perchè, tu invece credi alla storiella di Riccio quando dice che lì c’era Provenzano e si poteva catturare? Tu confondi fra di loro le storielle . Fortuna, per l’appunto, che il giudice non eri tu, ma uno che le cose le capiva.