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    enrix 16:50 on 26 October 2013 Permalink | Rispondi  

    Sentenza Mori: Reazioni a caldo, reazioni a freddo, bile, rosicate e contumelie intergalattiche

    by Segugio

     

    Aveva commentato “a caldo” le motivazioni della sentenza di assoluzione del generale Mori e del Colonnello Obinu dall’accusa di favoreggiamento di Provenzano, rifilando un’insufficienza secca da pagellino: quattro meno. E così Vittorio Teresi, procuratore aggiunto a Palermo e Pubblico Ministero nel processo della “trattativa”, ha dato corso ad un’accesa polemica, anche all’interno della magistratura. Secondo alcune indiscrezioni, il presidente della quarta sezione penale del tribunale, Mario Fontana, si sarebbe rivolto al Csm al fine di ottenere la tutela dell’organo di autogoverno dei giudici dopo le dichiarazioni di Teresi sulla sentenza da lui emessa.

    Pertanto lo scorso 17 ottobre, dopo la comparsa delle reazioni e dei primi commenti di biasimo nella mailing list dell’Anm di Palermo, il PM si è sentito in dovere di scrivere una lettera al dott. Fontana, in cui esprimeva ai componenti del collegio “stima e apprezzamento”, escludendo al contempo “un atteggiamento delegittimante nei loro confronti”.  Le stesse scuse, sono state poi avanzate da Teresi anche attraverso la mailing list dell’Associazione nazionale magistrati, con un comunicato dove, fra l’altro, ha scritto “Dalle mie (certamente infelici ed improvvide) dichiarazioni rese alla stampa in merito alla sentenza Mori sono scaturite molte reazioni, molti commenti, molte critiche ed anche un duro comunicato della giunta dell’Anm. Le ho lette con attenzione e considerazione. Trovo legittime tutte le reazioni, anche le più dure, e credo che esse costituiscano una naturale e civile presa di posizione di tutti coloro che non hanno condiviso le mie parole. Avrei dovuto prevederle, avrei dovuto capire che quelle dichiarazioni avrebbero scatenato razioni simili. Vorrei che fosse chiaro che la mia critica alla sentenza – prosegue il Teresi – non aveva nella mie intenzioni nulla a che vedere con la mancanza di rispetto.

    In questa sua seguente dichiarazione, il Teresi è ancora più esplicito: “Ribadisco le mie scuse ai colleghi interessati. Sono pronto a farmi fustigare pubblicamente, se ciò dovesse essere utile a svelenire il clima, per le mie dichiarazioni, per le mie parole, ma esigo che un processo o un pubblico dibattito si svolga soltanto per la mia persona e per le mie parole, senza impropri riferimenti ad altro o ad altri

    Al commento sul quale oggi il magistrato si è visto obbligato a formulare queste ampie scuse, infatti era stato dato risalto in un articolo della testata “Antimafia2000”, a firma del direttore Giorgio Bongiovanni, dal titolo “Sentenza Mori-Obinu, gravi errori dei giudici e aspetti oscuri”, dove,  anche facendo leva sulle parole di Teresi , venivano rivolte contro i giudici del processo palermitano a carico del generale Mori, parole che vanno ben al di là della normale critica, frutto di un’evidente perdita di autocontrollo e di un probabile travaso di bile, come in un espresso invito a “provare vergogna per aver messo in atto una vera e propria vigliaccata nei confronti della verità”, o come nell’accusa di “ignoranza della materia e di incompetenza “ che, a detta del Bongiovanni, sarebbero emerse nella lettura di quella sentenza, “scritta”, sempre a dir suo, “in maniera pessima e faziosa”.  L’articolo poi insinua di non meglio precisati condizionamenti del collegio da parte di “chissà quali pressioni di poteri oscuri”, cui però il Bongiovanni dichiara, pur insinuando, di non voler credere, preferendo spiegare le scelte della corte con la “semplice approssimazione ed ignoranza da parte del presidente Mario Fontana e dei giudici Wilma Mazzara e Annalisa Tesoriere”.   Che sia roba da querela per solare ingiuria, si dichiara consapevole lo stesso Bongiovanni, che però, temerario, lancia la sfida: “Ben venga”…”Perché così riporteremo a processo le stesse prove documentali e chiederemo le stesse testimonianze che ha portato la Procura nel procedimento Mori. E di questo parleremo nell’eventuale processo di diffamazione nei nostri riguardi.”  Processo che a questo punto tutti aspettiamo con impazienza, per potere vedere queste misteriose “prove documentali” che noi chiediamo di vedere da 5 anni, che il collegio giudicante non ha visto, e che, francamente, non si comprende perché un direttore di una testata abbastanza diffusa, debba attendere di essere querelato per diffamazione per rendere note, invece di elencarle semplicemente sul suo giornale.

    Ad ogni modo, nettissima è stata la presa di distanza di Teresi, dalle parole di Bongiovanni: “Solo sabato mattina ho letto il violento e delirante articolo di Antimafia 2000, – prosegue – sono sconcertato ed allibito non merita di essere definito un articolo di stampa, si tratta soltanto di un DELIRANTE ATTO CRIMINALE mosso da intenti diffamatori e provocatori, nel quale non solo non mi riconosco, ma dal quale mi differenzio con orrore“.

    Giorgio Bongiovanni, oltre che dirigere la testata “Antimafia 2000”, si occupa da anni di ufologia e misteri legati al mondo del paranormale e della religione, esperienza che egli mise già a disposizione della giustizia sin dall’epoca della prima inchiesta sul disastro di Ustica, allorchè consegnò al giudice incaricato Rosario Priore un intrigante “dossier” dove si dimostrava che quel grave incidente ad un aereo civile fu provocato dalle scie elettromagnetiche di un’astronave aliena. Oggi questi argomenti sono trattati sul suo sito internet.    Sullo stesso sito vengono pubblicati dal Bongiovanni anche alcuni “messaggi per l’umanità” che egli riceve, in veste di intermediario, da parte di un “alieno”, tal “Setun Shenar”, il quale si rivolge a lui chiamandolo confidenzialmente “Giorgio”. Nell’ultimo di questi messaggi, del 2 ottobre scorso, l’alieno Shenar, tra le altre cose, ha lanciato all’umanità quest’ammonizione: “State attenti, la giustizia divina veglia e misura giorno per giorno le vostre opere e le vostre inutili vite ammorbate dalla peste dei neuroni del cervello.”  Parola di Setun Shenar.

     
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    enrix 15:26 on 26 October 2013 Permalink | Rispondi  

    Segugio su “Il tempo” 

    Il Segugio su “Il Tempo”

     

    A partire dal 18 ottobre scorso, è iniziata la mia collaborazione con il quotidiano “Il Tempo” di Roma, diretto da Gian Marco Chiocci, con la pubblicazione di una sintesi, in 4 puntate, dei punti salienti delle motivazioni della sentenza di assoluzione del generale Mori e del Colonnello Obinu, emessa al termine del processo a loro carico per il presunto favoreggiamento di Provenzano nel 1995 (presunto dall’accusa, inesistente per i giudici della IV sezione penale del Tribunale di Palermo presieduta dal dr. Mario Fontana).

     

    18-10-2013
    
    

    1 – Guida ragionata alle «bufale» sul rapporto tra boss e istituzioni

    Enrico Tagliaferro

    Per far capire davvero a tutti cos’è stata l’inchiesta-bufala sulla asserita, presunta, indimostrata «trattativa» fra Stato e antistato mafioso occorre fare una contro-inchiesta dettagliata. E questa è la prima di una serie di puntate che vi sveleranno il grande bluff intorno al quale sono state imbastite leggende ed elucubrazioni anche plausibili, forse probabili, peccato che erano prive di qualsivoglia riscontro probatorio.
    Per dimostrare quanto da sempre sosteniamo occorre partire dall’ultimo atto di un processo monstre: ovverosia le motivazioni della cosiddetta «sentenza Mori», dal nome dell’ex capo del Ros al centro di mille misteri, tutti sin qui crollati. Mori, per chi non lo ricordasse, è il carabiniere che insieme al famoso capitano Ultimo, catturò il capo dei capi di Cosa nostra: Totò Riina.

     

    Il 17 luglio la IV sezione del tribunale di Palermo ha assolto gli ex carabinieri del Ros, Mario Mori e Mauro Obinu, dal reato di favoreggiamento del boss Provenzano «perché il fatto non costituisce reato». L’accusa rivolta agli ufficiali era quella di aver tenuto, con dolo, un comportamento omissivo, o comunque inadeguato, nel corso di un’operazione che nel 1995 avrebbe potuto portare all’arresto del boss latitante. Il tutto per consentire al boss di rimanere per l’appunto, latitante, in virtù di un pregresso accordo da inserirsi, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, nel contesto di una vera e propria «trattativa» fra mafia e istituzioni.

    Quest’estate la formula assolutoria del «fatto che non costituisce reato» suscitò subito un vivo dibattito sull’efficienza del Ros dei carabinieri in quella vicenda, poiché secondo i commentatori favorevoli alle tesi dell’accusa, la sentenza stabiliva comunque, assoluzione a parte, l’esistenza di comportamenti spiegabili, se non col dolo, quanto meno con l’incapacità o con l’indolenza dei responsabili. Oggi però, a leggere con attenzione le oltre 1.300 pagine di motivazioni appena depositate, si apprende che per i giudici le cose non starebbero proprio così. I fatti contestati ai capi del Ros sono stati posti inizialmente all’attenzione dei pm di Palermo da un certo Michele Riccio, anch’egli ex ufficiale Ros, che nel 1995 raccontò come grazie a un membro di Cosa Nostra che stava collaborando coi carabinieri, tale Luigi Ilardo, si sarebbe potuto catturare Provenzano, cosa che non avvenne in quanto gli imputati, a dire di Riccio, mantennero una strategia troppo «attendista», rinunciando a dare la caccia al boss in modo impulsivo, per attendere invece sviluppi che derivassero dal rapporto di questi con lo stesso Provenzano, lanciando così «un’esca lunga». Un metodo tipico del Ros sin dai tempi del generale Dalla Chiesa che spesso aveva avuto buoni esiti (si pensi a numerosi arresti di terroristi o di boss mafiosi) senza però compromettere l’incolumità degli informatori, a cominciare da Ilardo.

    Purtroppo l’operazione fallì, anche perché Ilardo venne ucciso di lì a poco, omicidio sul quale lo stesso Riccio ha palesato il sospetto di un coinvolgimento istituzionale. Per dimostrare quindi la – secondo lui volontaria – inadeguatezza del comportamento dei suoi superiori, Riccio ha detto varie cose in più udienze. Rilevato immediatamente che questo supertestimone «nel perseguimento delle sue finalità, era un soggetto piuttosto spregiudicato e capace anche di mentire», il collegio giudicante definisce la sua come una «tendenziosa ricostruzione dei fatti», e rileva, col supporto di vari elementi procedurali, di come lo stesso colonnello-testimone Riccio per certi versi possa essersi «preso qualche libertà creativa, funzionale a rendere più interessante il proprio racconto e ad assecondare la ipotesi accusatoria».

    In merito poi alla «strategia attendista» contestata al Ros nella caccia al boss, la Corte spiega come lo stesso Riccio, all’epoca, «la condividesse pienamente», mentre con riferimento a eventuali altri comportamenti degli imputati, i giudici rilevano che «Riccio accennò a scelte non condivisibili dei superiori, a una opzione operativa deludente, a un’occasione perduta, ma non fornì nessuna precisa indicazione in ordine ai variegati elementi che, a suo dire, avevano indotto in lui il convincimento circa la volontà di non catturare Provenzano». Secondo il collegio palermitano, dunque, «si affaccia il sospetto che Riccio, influenzato dalle proprie personali ricostruzioni, parlando con terzi sia stato incline a enfatizzare alcuni fatti e a darne una versione non sempre corrispondente al vero, piuttosto tendenziosa e funzionale ad assecondare i propri convincimenti». Sull’omicidio del confidente Ilardo, secondo i giudici, il fatto che il Riccio avesse «la responsabilità esclusiva della gestione di Ilardo rende comprensibile che egli abbia voluto rimuovere ogni possibilità che il confidente fosse rimasto ucciso da mano mafiosa, sforzandosi di profilare oscure trame istituzionali», ma, conclude il collegio, «la suggestione radicata dalla collocazione temporale dell’omicidio di Ilardo non può che cedere di fronte alla univoca indicazione che si trae dalle dichiarazioni dei collaboranti». E qui i giudici mettono un punto. E scrivono che comunque la si voglia mettere «si può ragionevolmente concludere» che Ilardo è morto per regolamenti di conti mafiosi perché già nel mirino di Cosa nostra giustamente sospettosa sul suo conto. Concludendo: Il supertestimone Riccio che ha dato di fatto il là all’inchiesta sulla trattativa , ha mentito oppure preso abbagli, e la mafia – senza far patti con nessuno – gli ha ucciso il confidente sul quale puntava il Ros per arrivare davvero a catturare Provenzano. Se l’inchiesta è partita male all’inizio non poteva che finire com’è finita: peggio.

    (1 – continua)

    Enrico Tagliaferro

     

    19/10/2013

    2 – «Trattativa» Stato-mafia Il Massimo delle patacche

    Enrico Tagliaferro

    Chi ha avuto la pazienza di leggere la prima puntata della nostra controinchiesta sulla cosiddetta «trattativa» Stato-mafia – attraverso il cosiddetto processo Mori – si metta comodo. Perché quel che scoprirà solo leggendo di seguito lo farà rabbrividire. Nelle 1.322 pagine delle motivazioni della sentenza di assoluzione dei carabinieri del Ros, Mori e Obinu nel procedimento (durato 5 anni) sul presunto, ed oggi smentito, favoreggiamento della latitanza del boss Bernardo Provenzano, la parola «Ciancimino» ricorre 1.332 volte. Più di una volta per pagina. E pur essendo tre i Ciancimino citati nel documento, il padre Vito ed i figli Massimo e Giovanni, si tratta comunque di un numero imponente ed in massima parte riferibile a Massimo, detto junior, numero che già di per se stesso può lasciare intuire la centralità, nel processo, di questa controversa figura.

    Una volta ipotizzato infatti che la cattura di Provenzano nel 1995, da parte del Ros supportato dal collaborante mafioso Ilardo, possa essere fallita a causa di uno scellerato accordo assunto fra lo stesso boss e il Ros, si trattava, per l’accusa, di reperire le prove, dell’esistenza di questo accordo e soprattutto dell’attività di «protezione» della latitanza del capomafia da parte dei carabinieri. E queste le ha fornite Massimo Ciancimino (testimone già fatto a pezzi dai pm di Caltanissetta, già arrestato per le false accuse Di Gennaro, già sotto processo per il tesoro del padre scomparso, già fermato per possesso di esplosivo). Lo ha fatto innanzitutto in qualità di sedicente testimone oculare di quell’accordo e di quella protezione, e quindi supportando questa testimonianza con una serie di documenti prodotti a spizzichi e bocconi.

    Dice la Corte: «Si è ben guardato dal mettere immediatamente a disposizione dei magistrati tutto il materiale in suo possesso» ma «ha, dapprima, tergiversato e, quindi, ha iniziato a centellinare le consegne (proseguite anche dopo la sua prima escussione dibattimentale), secondo il suo personale apprezzamento». Ciancimino è finito lui stesso sotto inchiesta in base all’articolo 207 del codice penale (testimoni sospettati di falsità o reticenza). A metterlo nei guai ha contribuito la convinzione che il pacchetto di documenti considerato imprescindibile supporto probatorio non sia autentico. Fra queste patacche spiccano i 7 «pizzini» dattiloscritti, attribuiti dallo junior a Provenzano, contenenti parti dove si fa esplicito cenno alla «trattativa». Falsi, per la Corte, vale a dire non certamente scritti da Provenzano, se comparati con altri pizzini originali provenienti dal boss.

    A supporto di questa convinzione, il collegio recepisce i rilievi peritali «del tutto persuasivi» del consulente tecnico della difesa, Antonio Marras, concludendo: «Anche al più distratto lettore sarà assolutamente evidente che i due gruppi di scritti non possono appartenere al medesimo autore, cosicché, non potendosi disconoscere che i primi siano di Provenzano, si dovrà necessariamente concludere che non siano opera di quest’ultimo quelli prodotti da Massimo Ciancimino».

    La falsità è poi accertata anche per altri documenti, come ad esempio, la famosa «lettera di Cosa Nostra a Berlusconi per avere l’uso di una televisione» (un maldestro fotomontaggio), mentre per altri il giudice elenca numerosi indizi di sospetta falsità, trattandosi comunque di fotocopie ben lontane dal poter essere definibili come autentiche. È il caso delle «lettere a Fazio (ex governatore, ndr )», molto importanti perché contenenti un cenno esplicito (anzi, un po’ troppo, esplicito) all’atteggiamento di Borsellino verso la «trattativa». Uno di essi porta in calce una firma manoscritta di don Vito Ciancimino, secondo i periti della difesa certamente trasposta ad arte, tanto che i giudici concludono che trattandosi di una fotocopia, e non potendosi escludere il fotomontaggio, comunque non si può prendere per buona: «I due scritti in questione sono mere minute. Non può, allora, non destare notevole sospetto il fatto che siano state consegnate semplici fotocopie anziché gli originali, non comprendendosi la ragione per cui di mere minute siano state conservate solo fotocopie».

    Stessi sospetti sul «contropapello» (il papello con le richieste allo Stato scritto da don Vito): una fotocopia che la corte ha accertato essere stata prodotta non prima del 2000 ma con carta più vecchia di circa 10-15 anni. Ed anche il cosiddetto «Papello» sarebbe stato prodotto con carta analoga, per concludere di avere riscontrato nel teste «una comprovata, notevole capacità di mentire ed anche di costruire, per quanto grossolanamente, documenti che supportassero il suo racconto, nonché una generica furbizia, che, tuttavia, non poteva essere sufficiente a preservarne l’attendibilità. Va da sé che non può certo escludersi che Massimo Ciancimino abbia letteralmente inventato alcuni passaggi del suo racconto, magari traendo spunto da qualche notazione che aveva rinvenuto negli scritti del padre».

    (2 – continua)

    Enrico Tagliaferro

     

    20/10/2013

     3 – «Trattativa» smontata dalle date

    La verità nascosta/3 Dopo i testimoni considerati inattendibili crollano le «certezze» sul movente dell’attentato a Borsellino

    La farsa della «trattativa» arriva alla terza puntata di questa controinchiesta de Il Tempo . I giudici di Palermo che hanno assolto gli ufficiali del Ros Mori e Obinu dall’accusa d’aver favorito la latitanza del boss Provenzano, come già detto, hanno disintegrato i due formidabili testi d’accusa: l’ex ufficiale dei carabinieri Riccio e il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Caincimino, Massimo.

    I tribunale è andato oltre nell’affrontare i punti salienti della tesi della «trattativa» fra Stato e antistato mafioso, col risultato di sollevare seri dubbi sul costrutto e sulla credibilità della tesi stessa. Al centro della teoria infatti ci sono aspetti che trascendono i fatti di Mezzojuso (dove si sospettava potesse essere avvenuta una protezione dolosa della latitanza di Provenzano) e che arrivano a coinvolgere, suscitando così grande interesse nell’opinione pubblica, quale figura-vittima epicentrica di quella vicenda, quella del magistrato Paolo Borsellino, ucciso con gli uomini della sua scorta in Via d’Amelio. Secondo la più recente versione di questa teoria dei pm di Palermo (ma condivisa anche da quelli di Caltanissetta e altri), la conduzione della trattativa da parte di membri delle istituzioni, presumibilmente e principalmente identificati nei carabinieri imputati nei processi palermitani, avrebbe provocato, nell’estate del 1992, una ferma reazione, e persino opposizione, da parte del giudice Borsellino, tanto che Cosa nostra sarebbe passata all’azione in quanto scomodo ostacolo al suo dialogo con lo Stato.

    Intorno a questa teoria, che secondo i suoi sostenitori sarebbe già supportata da solidi indizi probatori, mentre per gli scettici sarebbe invece ancora solo un’ipotesi priva di riscontro, ruotano molti dettagli salienti sui quali i giudici di Palermo hanno espresso giudizi lapidari che è bene porre in evidenza. Affinché la «trattativa» possa essere addotta quale movente della strage di Via D’Amelio, occorre infatti innanzitutto che sia stata condotta prima del 19 luglio 92, e qui c’è il primo ostacolo. Testimonianze verbali e scritte di don Vito Ciancimino, appunti su agende, e altre prove circostanziali emergenti da altri documenti e da altri testi, come il capomafia Brusca dal ’96 al ’98 (negli anni successivi ha ritrattato e modificato) o come la dottoressa Ferraro all’epoca al Ministero di Giustizia, non collocano nel mese di giugno i primi incontri fra il generale Mori e don Vito, ma in un periodo successivo alla strage di Via d’Amelio. Massimo Ciancimino e Brusca «ultima versione» invece li datano con certezza al mese di giugno, mese in cui a dir loro sarebbe stato consegnato il «papello» con le richieste della mafia e le procure credono a tale datario, così da poter fare coincidere con i tempi della strage, nel rapporto causa-effetto, i colloqui fra Mori e don Vito. I giudici del processo Mori, invece, non sono d’accordo, e «ribadiscono» di come sia impossibile ritenere provato «che l’inizio dei rapporti fra Vito Ciancimino con l’imputato Mori risalga a epoca anteriore al 5 agosto 1992», così come dubitano e ritengono indimostrato che l’oggetto dei colloqui fra il Ros e don Vito sia stato quello di un accordo con Provenzano, e soprattutto dubitano e ritengono indimostrato che il superboss, a seguito di un simile accordo, possa aver collaborato coi carabinieri alla cattura di Totò Riina, escludendo così che «le condotte di favoreggiamento addebitate agli imputati possano considerarsi scaturigine della gratitudine personale dell’ufficiale verso il boss corleonese», e soprattutto escludendo che possa esservi stato un «accordo/tregua» con il Padrino sull’interruzione delle stragi, poiché la corte rileva che se fosse stato vero che una delle poste della trattativa era il blocco delle stragi da parte di Provenzano, il prosieguo degli attentati nel ’93/inizio ’94 dimostra, se non l’inesistenza dell’accordo, quanto meno l’incapacità del boss di mantenere l’impegno, e allora non si capisce perché assicurargli, successivamente, la latitanza. Logiche considerazioni, insomma. Allo stesso modo i giudici bocciano gli «alleggerimenti» dei decreti 41bis nel 93, da parte del ministro Conso, come elemento della trattativa. Pochi e poco significativi, per cui i giudici escludono che i «mancati rinnovi» dei 41bis (carcere duro) nel ’93 «possano sottendere un positivo segnale di distensione destinato all’esterno del carcere a Cosa nostra». La sentenza quindi conclude che «la eventualità che la strage di via D’Amelio sia stata determinata dall’esigenza di eliminare un ostacolo a una “trattativa” in corso fra lo Stato e la mafia è rimasta una mera ipotesi, non sufficientemente suffragata dagli elementi acquisiti». E rammentano che d’altro canto «lo stesso pm Ingroia ha riferito a Caltanissetta di come la strage di via D’Amelio fosse “prevedibilissima“». E non per la trattativa. Ingroia dixit.

    Ma la bacchettata finale, i giudici la conferiscono auspicando, non implicitamente, che «in altre sedi processuali» si possano finalmente valutare, se possibile, tutti i moventi plausibili rimasti in piedi e per ora non contestabili, dell’omicidio di Borsellino, come «impedirgli di acquisire l’incarico di procuratore nazionale antimafia, per il quale era stato pubblicamente indicato dal Ministro Scotti o, ancora, per la sua ferma volontà di individuare gli assassini di Giovanni Falcone o per il suo interessamento, in quest’ambito, alla indagine mafia-appalti, che risulta dalle indicazioni di molteplici fonti».

    (3 – continua)

    Enrico Tagliaferro

     

    21/10/2013

    4 – «Trattativa» farsa con più boss

    Enrico Tagliaferro

    Dopo aver smentito i testi (Riccio e Ciancimino) e ridimensionato altre ipotesi sui moventi (Borsellino e la strage di Via D’Amelio), i giudici del tribunale si concentrano su altri due episodi dove  i carabinieri del Ros (questa era l’idea di Ingroia e soci) avrebbero potuto agire in funzione di accordi intercorsi con Cosa Nostra nel contesto dell’indimostrata “trattativa”:  la presunta “consegna concordata” (attraverso Provenzano) di Totò Riina, con l’arresto del 15 gennaio 1993, e l’ipotizzata omessa cattura del boss catanese Nitto Santapaola nell’aprile ‘93.  Da qui a breve capirete perchè i giudici siano giunti a ritenere non vere quelle circostanze, e quindi  inconsistenti le accuse.

    Iniziamo con la cattura di Riina. Il collegio ha ricordato che su quella circostanza c’è stato già un pronunciamento giudiziario, definitivo, dove il Capitano Ultimo (Sergio De Caprio) ed il generale Mario Mori sono già stati assolti in via definitiva da qualsiasi ipotesi di favoreggiamento o accordo con la mafia. Anche se è pur vero, dicono i giudici, che una sentenza può essere revisionata alla luce di eventuali nuovi fatti che fossero emersi, nel caso in oggetto la sola ed unica novità era rappresentata dalla testimonianza di Ciancimino jr, il quale però –continuano i giudici – quando dice che suo padre si fece passare delle mappe e delle carte dai carabinieri, per passarle poi a Provenzano, il quale le rimandò indietro attraverso lo stesso Cincimino junior dopo avere annotato le sue indicazioni per la cattura di Riina (il tutto in virtù degli accordi della “trattativa”), non è assolutamente credibile, avendo già adottato nel suo racconto alcune invenzioni certe, per non dire bugie. Così sostiene la corte, elencando e citando una serie di “incoerenze” ed “incongruenze” nel racconto del giovane Ciancimino che nel tempo ha rilasciato dichiarazioni “in così stridente contrasto” tra di loro, “da dare l’impressione” che le ultime in ordine di tempo, rilasciate in udienza,siano il frutto di un aggiustamento artificioso, frutto di una rielaborazione della vicenda operata nelle more dal Ciancimino. Un esempio: in un’occasione Massimo Ciancimino narra di avere consegnato al capitano de Donno del Ros, su sua richiesta, le mappe con le annotazioni di Provenzano per catturare Riina, dopo l’arresto di don Vito,  avvenuto il 19 dicembre 92,  e che suo padre lo chiamò dal carcere per chiedergli conferma, e lui gli confermò di avere consegnato gli originali e conservato copie. Dopo l’arresto. Successivamente invece il teste si lascerà sfuggire un’altra versione suggestiva, affermando che il padre il giorno dell’arresto aveva pensato di essere stato tradito dai carabinieri i quali lo avevano lasciato arrestare avendo già raggiunto “il loro scopo”, in quanto già “avevo consegnato la documentazione” che interessava loro. E qui i giudici ravvisano l’incoerenza e l’invenzione, rimarcando che il teste è giunto alla secondo versione avendo dimenticato che aveva poco prima sostenuto” una cosa del tutto diversa. E questo comportamento, recita la sentenza “non può  individuarsi in una sorta di timore, solo gradualmente superato, di rivelare il riferito coinvolgimento di Provenzano”, poiché il genere di incongruenze non si concilia con siffatta evenienza. Contro la tesi dell’accusa vi sono poi tutta una serie di circostanze illogiche, come quella che vorrebbe necessarie, nelle mani del Provenzano, delle mappe catastali o delle reti idriche per trovare casa-Riina, fatto per i giudici privo di una motivazione logica.  In conclusione: non ci sono nuovi elementi su Mori e le parole di Ciancimino sono inattendibili. L’altro episodio posto risale al 1993, allorchè c’erano state alcune “segnalazioni” sulla presenza a Barcellona Pozzo di Gotto, del boss latitante Santapaola, ed erano perciò in corso indagini per la sua cattura. Il 6 aprile 1993 il capitano Ultimo, rientrando da Messina con altri uomini del Ros, si lanciò all’inseguimento di un’auto cui aveva intimato “l’alt, poiché uno dei carabinieri di pattuglia aveva creduto  di riconoscere nel conducente il latitante Pino Aglieri. In realtà sulla vettura non c’era il boss, ma una persona estranea dell’età di 26 anni, che avrebbe forzato il blocco per paura, obbligando Ultimo ad aprire il fuoco per intimargli il fermo. Secondo un’ipotesi accusatoria, quella sparatoria fu una messinscena per avvisare Santapaola affinchè lasciasse la zona, come favore/posta della trattativa.   Ipotesi rigettata dai giudici perché è “poco credibile che, fra i tanti possibili modi surrettizi di mettere sull’avviso il boss latitante circa la sospetta presenza in zona di forze di Polizia, sia stato fatto ricorso ad una pretestuosa sparatoria e si sia addirittura rischiato di uccidere un giovane che, in ipotesi, si sapeva del tutto innocente”. Inoltre, rileva la Corte,  nel giro di pochi giorni il Santapaola sarebbe stato arrestato dalla Polizia di Stato e mandato definitivamente al 41bis, fatto che dimostra che lo Stato, non aveva alcuna intenzione di trattare con il boss.

    (4 – fine)

     
  • Avatar di enrix

    enrix 19:01 on 19 July 2013 Permalink | Rispondi  

    ORA VI SPIEGO QUANDO FU CHE COMPRESI CHE C’ERA UN GIUDICE A PALERMO, E CHE QUINDI C’ERANO SPERANZE DI GIUSTIZIA 

    ORA VI SPIEGO QUANDO FU CHE COMPRESI CHE C’ERA “UN GIUDICE A PALERMO”, E CHE FORSE C’ERANO SPERANZE DI GIUSTIZIA

     

     

    Avvenne il 12 ottobre 2010.  C’era in aula, al processo Mori-Obinu, un Perito della Polizia Scientifica che spiegava di come il cosiddetto “contropapello” di Ciancimino (un documento ritenuto prova “cardinale” della trattativa, anche nel nuovo processo, e che invece vale quanto la carta straccia) fosse davvero un bel documento: carta vecchia, (inizio anni 90), il toner pure, la fotocopiatrice, nessun collage, insomma, roba buona, “ciccia”, come la chiama Travaglio.

    Io nell’ascoltare l’udienza, lo confesso, stavo sulle spine:  machissenefrega, mi dicevo, se la carta è vecchia? E’ una fotocopia, e quindi può essere un prodotto dell’altro ieri, ma prodotto con carta vecchia. Come possono questi inquirenti avere tanta fretta di prender per buona una fotocopia, solo dalla carta? E poi, non lo vedono? In alto a sinistra c’è scritto “allegato per mio libro”, con scrittura di Massimo Ciancimino, scritta anch’essa fotocopiata.  E dunque, poiché Ciancimino in procura ha già spiegato, proprio in faccia ai prodi PM che ora stanno interrogando quel perito, di aver posto quella scritta certamente  dopo il 2001 (“come un “allegato” per il libro memoriale MESSO IN CANTIERE NEGLI ANNI DUEMILA” – Ciancimino dixit.) , perché diavolo il PM ora indulge col Perito in considerazioni ad alta voce di questo tipo: “QUINDI UNICA FOTOCOPIATURA SU CARTA IN QUELLA PRODUZIONE,  86-91 E PROBABILMENTE SECONDO… FOTOCOPIATO PRIMA, COMUNQUE, DELLA META’ DEGLI ANNI ’90” 

    E il   Perito: In questo senso si. Si
    E Di Matteo: Bene

    Bene una fava. Ma non son capaci di ragionare?… mi dicevo.

    Ma quando il testimone già stava per essere congedato, ecco il presidente Fontana prendere la parola:

    Presidente: Andiamo al documento 3, il cosiddetto “contropapello”. Se io non ho capito male, caso mai mi correggete, questo documento, voi dite, è una fotocopia realizzata in un unico …frangente…
    Perito: Si.
    Presidente:…  comprensivo anche della scritta “Allegato per mio libro”.
    Perito:  Si.
    Presidente: Quindi questo documento che voi avete avuto a disposizione, è un’unica fotoc… è in un unico contesto.
    Perito: Sì, un’unica fotocopia.
    Presidente: Mentre la carta, la indicate tra l’86 e il 91. Quindi sostanzialmente questa carta, massimo 91, è stata utilizzata poi, per fare questa fotocopia.
    Perito: Si.
    Presidente: Quindi dobbiamo ritenere che nel momento in cui è stato scritto “Allegato per mio libro”, è quello il momento in cui, o comunque un momento successivo, in cui è stata fatta questa fotocopia. Giusto?
    Perito:  Si.

    Il Presidente non fece altri commenti, ma tanto bastò, a noi, per capire che avevamo a che fare con un giudice che le cose le capiva e le sapeva molto bene, e soprattutto dava l’impressione di non volersi lasciare fottere.

    Il 17 luglio scorso, ne ha dato dimostrazione, assolvendo due innocenti, nonostante l’ignomignoso carnevale mediatico e mistificatorio costruito intorno a questo processo.    Chapeau, dr. Fontana.

     
    • Jordi 21:03 on 19 July 2013 Permalink | Rispondi

      Complimenti, impressionante!
      Vorrei rivolgerti una domanda(dò del tu per via del nick, se non è un problema):nonostante la sentenza assolva Mori e Obinu , Di Matteo ha già dichiarato che farà ricorso.
      Mi chiedo se questo non sia un passaggio obbligatorio per far tenere in vita l’altro processo che si intreccia con questo(trattativa stato-mafia).
      Non impugnare la sentenza significherebbe riconoscere l’operato dei giudici,e di conseguenza l’innocenza degli imputati.

      • Avatar di enrix

        enrix 08:31 on 20 July 2013 Permalink | Rispondi

        Certamente era un passaggio obbligatorio, se non proprio per la ragione che tu hai detto (che comunque contribuisce sicuramente), almeno per attenuare lo choc al popolo dei trattativisti, per evitare insomma di rimanere lì impalato come uno cornuto e cazziato, davanti alle telecamere di un processo super-mediatico (per loro stessa volontà)..
        Sotto il profilo tattico, per un PM, annunciare il ricorso prima del deposito delle motivazioni è un errore molto grave. Di solito infatti i PM in disaccordo con una sentenza, prima di annucniare il ricorso, dicono sempre di voler vedere prima le motivazioni. E’ un modo per evitare promesse da marinaio, nel caso poi le motivazioni risultassero difficilmente oppugnabili, ma SOPRATTUTTO, si evita di sollecitare il giudice a metterci tre volte l’impegno anzichè due nel motivare la sua sentenza, cosa che può avvenire se un PM annuncia un ricorso “a prescindere”, come è avvenuto in questo caso. Quindi, nota bene: Di Matteo, che queste cose le sa benissimo, ha commesso consapevolmente un errore di strategia procedurale, pur di fornire al suo popolo di rivoluzionari civili (si fa per dire) la figurina dell’indignato che sbotta.

        • Jordi 09:35 on 20 July 2013 Permalink | Rispondi

          Grazie per l’esauriente risposta!(l’ho copiata anche sul Pacco Quotidiano)
          Ti auguro un buon fine settimana

    • Vincenzo conte 17:13 on 21 July 2013 Permalink | Rispondi

      Dovrebbero, nei processi, dormire a turno, e non tutti insieme, come spesso accade. Altrimenti non si spiegherebbero i motivi per cui si convochino testi che nulla hanno a che vedere con il procedimento invece di altri, determinanti, che non vengono neppure sentiti. Questo dopo che il teste inutile avrà’ fatto pure un migliaio di chilometri per essere presente. Quando se ne accorgeranno dovranno rinviare il processo di sei mesi. Poi cercano le cause della lunghezza dei processi. La risposta e’ una sola: gli del processo andrebbero letto prima e non in aula, durante il dibattimento.

    • francesco 20:00 on 28 July 2013 Permalink | Rispondi

      Resta solo un piccolo interrogativo: perchè non è stato arrestato Provenzano? Davvero si vuole credere alla storiella delle pecore?

      • Avatar di enrix

        enrix 09:52 on 29 July 2013 Permalink | Rispondi

        Perchè, tu invece credi alla storiella di Riccio quando dice che lì c’era Provenzano e si poteva catturare? Tu confondi fra di loro le storielle . Fortuna, per l’appunto, che il giudice non eri tu, ma uno che le cose le capiva.

  • Avatar di enrix

    enrix 17:30 on 10 March 2013 Permalink | Rispondi  

    Egregio Salvatore Borsellino, non tutti sono completamente d’accordo con Lei

    Riporto, quasi (per sole ragioni di spazio) integralmente, e commento, l’ultimo articolo di Salvatore Borsellino, dal titolo ““Lo Stato processa se stesso, diventa realtà ciò che Sciascia giudicava impossibile”, pubblicato online ieri,  09 Marzo 2013, alle 18:23.   Ritengo di avere il diritto di farlo, perché è giusto che si sappia che ci sono cittadini che non concordano con il suo punto di vista, pur rispettandone comunque le opinioni, e soprattutto è giusto che si sappia quali siano le profonde ragioni di tale disaccordo.

    La nostra speranza è che anche lo stesso fratello di Paolo Borsellino, possa riflettere, anche solo per qualche secondo, su queste nostre ragioni.

    Quindi, in blu, le parti dell’articolo dell’Ing. Borsellino,  in nero i commenti.

     Sono da poco rientrato da Palermo. Devo ancora riprendermi dalla profonda emozione che ho provato ieri nel sentire leggere dal GUP Piergiorgio Morosini il dispositivo di rinvio a giudizio per i dieci imputati del processo per “attentato ad un corpo politico dello Stato”, quello che da ieri potremo chiamare, a pieno titolo, processo per la “trattativa Stato-mafia”.

    Non si tratta più di “fantomatica trattativa”, di “presunta trattativa” di “pretesa trattativa”.
    Da ora in poi c’è una sentenza di rinvio a giudizio che rende anacronistico, improprio, deviante, l’uso di questi aggettivi.

    Ma anche no. Coloro che, come me, non credono in questa teoria, invocano da anni prove solide a suo sostegno. Credevamo di essere arrivati finalmente ad un bivio con possibilità di chiarimento definitivo: in caso di rinvio a giudizio, speravamo di potere finalmente avere una indicazione precisa delle prove, magari non solo indiziarie o non solo testimoniali ove le testimonianze provengano da criminali infanticidi, pataccari, o da altri politici interessati a parare il proprio deretano, e prove che non siano colme di incongruenze, a sostegno di questa teoria. Ma questa speranza, anche se non conosciamo il testo completo dell’ordinanza, pare, almeno per il momento, naufragata. Se il giudice avesse individuato ed indicato prove valide, forse i media ce lo avrebbero riferito. Se avesse spiegato analiticamente anche una soltanto delle ragioni oggettive, al di là dell’evidente, pur legittima,  personale simpatia già dimostrata negli anni passati per questa teoria, (anche nel contesto di convegni cui ha presenziato al fianco di politici e giornalisti “trattativisti” come Sonia Alfano e Marco Travaglio, che il giudice chiamava amichevolmente, al microfono, “Sonia” e “Marco”) che lo hanno portato a decidere per i rinvii a giudizio, noi saremmo stati più che pronti a cambiare avviso.   Invece i media ci hanno riferito soltanto questa frase: «Il materiale acquisito non è pervenuto al giudice in forma organica per singole posizioni processuali in maniera intelleggibile. La memoria che è stata prodotta il 5 novembre dalla Procura non affronta il tema delle fonti di prova». Ed è pur vero che il dott.Morosini, intervistato dal Fatto Quotidiano, ha poi spiegato quel passaggio con l’avere egli “segnalato l’esigenza di indicare su ogni passaggio fattuale le fonti di prova perché dalla richiesta di rinvio a giudizio questo dato non emergeva. Sarebbe dovuto emergere semmai dalla memoria scritta, che però è stata fatta per dare il senso del processo, [traduzione: neppure la memoria scritta conteneva indicazioni delle fonti di prova – ndr]  allora ho cercato di mettere in fila le cose. E in questo mi ha aiutato in tutta la discussione, a partire – e lo dico espressamente – dall’intervento della pubblica accusa.

    Noi però alla discussione non c’eravamo, perché avveniva a porte chiuse e senza possibilità di registrare o trascrivere, e pertanto continuiamo a rimanere perplessi, pur disposti a recepire qualsiasi elemento ci sia in quegli atti tanto convincente da provocare il rinvio a giudizio del generale dei carabinieri che catturò Totò Riina, insieme allo stesso Riina, in un unico processo.

    Quindi, anche sotto il profilo giudiziario la trattativa, in mancanza di delucidazioni argomentative, per noi continua tranquillamente ad essere “presunta”. Dire che è certa in carenza di elementi fattuali incontrovertibili, continua ad essere una forzatura.

    Da ora in poi si potrà e si dovrà parlare soltanto di “trattativa Stato-mafia”, quella trattativa che è stata la causa scatenante dell’accelerazione dell’assassinio di Paolo Borsellino.

    Altro fatto che riteniamo non provato. Anzi, vi sono innumerevoli e concretissime prove che il dott. Borsellino non fosse affatto preoccupato dei contatti fra i carabinieri e Vito Ciancimino, e che nei suoi ultimi giorni di vita si stesse occupando e preoccupando di tutt’altro, e che quel tutt’altro potrebbe rappresentare un movente mille volte più solido e concreto della trattativa, per il suo omicidio. Alcuni di questi moventi, ad esempio, pur non provati (tanto come quello della trattativa), sono abbastanza chiaramente definiti in un atto del 2003 che porta la firma, fra gli altri,  del dott. Francesco Messineo e comunemente conosciuto col nome  “Richiesta di archiviazione “mandanti occulti bis”, scaricabile QUI.

    Vi sono raccolti alcuni elementi che oggi, pur di accreditare la trattativa come movente dell’omicidio, si fa come non fossero mai esistiti, cancellati del tutto dalla memoria. Non ci pare un metodo piuttosto virtuoso.

    Da ora in poi tutti avremo modo di seguire la fase dibattimentale di un processo che, secondo il dispositivo di rinvio a giudizio non si svolgerà davanti a un semplice tribunale ma davanti alla Corte D’Assise, ci saranno quindi dei giudici popolari che, in rappresentanza del popolo italiano affiancheranno i due giudici togati.
    Ad essere giudicati, sedendo per la prima volta fianco a fianco sui banchi degli imputati, saranno 4 appartenenti alla mafia e 5 uomini delle Istituzioni oltre al figlio di un mafioso che compare nel processo nella doppia veste di testimone e di imputato. Lo Stato processa se stesso, diventa realtà quello che Leonardo Sciascia giudicava impossibile e il rapporto quantitativo è addirittura prevalente per gli uomini di Stato rispetto ai criminali mafiosi, anche se l’ex Ministro Mancino è, per il momento, accusato soltanto di falsa testimonianza.

    E certo, son soddisfazioni. Specialmente per gli imputati mafiosi e soprattutto per il loro capo indiscusso, perché niente niente, messo alla gogna al suo fianco, non c’è lo Stato, quello che secondo Sciascia “per sconfiggere la mafia dovrebbe suicidarsi”, ma ci sono soltanto (a parte un paio di politici in disarmo),  i carabinieri che l’hanno pizzicato e schiaffato in galera a vita. Anche noi per la verità abbiamo pensato a Sciascia seguendo gli sviluppi di questa “inchiesta”, ma per un’altra sua frase altrettanto celebre: «L’Italia è la bara del diritto».

    Da anni aspettavo questo momento…

    Anche Totò Riina, suppongo; lo aspettava dal 15 gennaio 93. Più di vent’anni.

    … da quando, leggendo sulla agenda grigia di Paolo, nel foglio relativo al 1° luglio, annotato il nome di Mancino e notando come Mancino avesse sempre negato di averlo incontrato, avevo cominciato a chiedermi se il motivo di quella incredibile amnesia non fosse il fatto che in quell’incontro fosse avvenuto qualcosa di estremamente grave, l’ingiunzione a Paolo di fermare le sue indagini sull’assassinio di Giovanni Falcone perché lo Stato aveva deciso di trattare con l’antistato.

    A proposito di amnesie e dell’agenda grigia. Vorrei che Salvatore Borsellino riflettesse con me su questa circostanza, e provasse a darne una spiegazione:

    In una deposizione della signora Agnese Borsellino del 18 agosto 2009 , di fronte ai procuratori di Caltanissetta,la testimone riferiva  “Mi riferisco ad una vicenda che ebbe luogo mercoledi 15 luglio 1992; ricordo la data perché, come si evince dalla copia fotostatica dell’agenda grigia che le SS. LL. mi mostrano, il giorno 16 luglio 1992 mio marito si recò a Roma per motivi di lavoro ed ho memoria del fatto che la vicenda in questione si colloca proprio il giorno prima di tale partenza.

    Mi trovavo a casa con mio marito, verso sera, alle ore 19.00, e, conversando con lo stesso nel balcone della nostra abitazione, notai Paolo sconvolto e, nell’occasione, mi disse testualmente “ho visto la mafia in diretta, PERCHÉ mi hanno detto che il Generale SUBRANNI era “pungiutu“.

    Questo, dai verbali di deposizione.

    Una nota registrazione audio della stessa testimonianza trasmessa in TV da Santoro, fornisce ulteriori dettagli, dalla viva voce della vedova: “L’ho visto turbato e ho chiesto: Cosa c’hai? Hai pranzato oggi? Perché non era venuto a pranzo, e ha detto: “Ho visto la mafia in diretta, e fra tante cose mi hanno riferito che il generale Subranni si è punciutu.

    Dunque, era sera, le 19 circa, la signora Agnese domanda se il marito aveva pranzato, sostenendo che non era rientrato per il pranzo, gli domanda delle ragioni del suo turbamento, e il dott. Borsellino risponde nel modo che sappiamo.

    A questo punto però, c’è un problema.

    Sull’agenda grigia, la stessa dove è segnato “Mancino” ad una certa data de ad una certa ora, al 15 luglio 1992 (giorno di festa patronale in Palermo, Santa Rosalia), annota questo:

    Alle ore 7: “C” (che sta per “casa”)

    Dalle 8 alle 13: “Pr” (che sta per “Procura”)

    Dalle 14 alle 16: “C” (cioè Casa)

    Dalle 17 alle 19. Pr (Procura)

    Alle 20, di nuovo C, Casa.

    Poiché dunque secondo la Signora Agnese, nel suo lucido ricordo, il marito non era rincasato per il pranzo, e poiché invece sull’agenda grigia dalle 14 alle 16 il giudice aveva annotato una pausa casalinga rispetto all’intera giornata passata in procura, sorge spontanea una domanda: non è che per caso, su quell’agenda grigia, il giudice anziché annotare i propri movimenti, annotava semplicemente una previsione oraria di massima degli stessi, salvo poi non correggere l’agenda anche nel caso tale previsione dovesse subire variazioni? No, perché una risposta affermativa a questa domanda spiegherebbe l’arcano, ma sgonfierebbe un poco i sospetti sui ricordi di Mancino. Ma comunque sempre meglio di una risposta negativa, perché quella ricondurrebbe ad un possibile difetto di memoria della signora Agnese, circostanza per noi remota. Però, saperlo.

    (…)

    Mancano due nomi, il nome di Calogero Mannino, perché ha scelto il rito abbreviato e sarà giudicato in uno stralcio di questo processo e quello di Bernardo Provenzano perché una perizia lo ha dichiarato in condizioni mentali che non gli consentono di partecipare, per il momento, ad un processo.
    Speriamo non si tratti di un caso simile a quello di Bruno Contrada che venne dichiarato quasi in punto di morte, in uno stato incompatibile con quello della detenzione nel carcere militare dove avrebbe dovuto scontare la sua pena e che riacquistò invece improvvisamente la salute quando una provvidenziale perizia gli permise di finire di scontare la sua condanna nella sua casa, a Palermo, a pochi passi dalla casa della mia sorella maggiore.
    Che invece, lei si, è morta da pochi mesi a causa di un tumore, mentre Contrada ha riacquistato a tal punto le forze e la salute da permettergli di frequentare i salotti televisivi e di andare in giro per l’Italia a presentare il suo ultimo libro.

    Se un uomo malato, come Bruno Contrada, vive nella prospettiva di morire in galera pur innocente, perde forze e motivazioni per resistere al male, e quindi non può che peggiorare. Se ritrova invece la libertà, può anche ritrovare la forza di combattere per la propria causa ed il proprio onore  nonostante la malattia. Non è ipocrisia, è biologia, natura umana.

    C’era accanto a me, durante la lettura dell’udienza, unico imputato presente, Massimo Ciancimino.
    Pochi minuti prima mi aveva detto che era li perchè, caso anomalo per un imputato, sperava di ascoltare una sentenza di rinvio a giudizio, perché questo avrebbe significato che il processo poteva andare avanti.

    E’ un’anomalia che però, in tutta franchezza, un po’ ci aspettavamo, dopo aver letto i verbali di alcune intercettazioni delle conversazioni telefoniche di Massimo Ciancimino. Si veda a questo proposito anche il nostro precedente articolo Massimo Ciancimino: “voglio solo esser messo in condizione di rifarmi una vita altrove!

    Dopo la lettura della sentenza lo ho visto li, vicino a me, esultava anche lui come dall’altro lato, vicino a me, gioiva Federica, una mia compagna del Movimento delle Agende Rosse, parte civile in questo processo, che aveva voluto venire apposta da Roma per starmi vicino in un momento così importante,
    Come gioivano intorno a me tanti altri che. come noi, vedevano in questa sentenza un grande passo avanti sulla strada della Giustizia e della Verità.
    Ho avuto l’istinto di abbracciarlo e lo ho fatto.
    Questo mio gesto mi è stato già contestato da alcuni organi di informazione, gli stessi che in altre occasioni hanno ospitato articoli di chi si dichiara sicuro che mio fratello, seppure da morto, sarebbe disgustato da certi miei comportamenti.
    Gli stessi che mi definiscono “di professione fratello di Paolo Borsellino”.
    Senza Massimo Ciancimino, senza che lui, per primo, dalla parte di chi la aveva vissuto dall’interno come come corriere del padre, parlasse della “trattativa”, del “papello”, questa sarebbe ancora “presunta”, ancora “fantomatica”.

    Parole sante, Ing. Borsellino. Il papello poi, lui lo ha pure prodotto (raramente penso di aver potuto usare un termine così calzante), ed è agli atti di questo mirabolante processo: peccato che non ci sia alcuna prova della sua autenticità, mentre gli indizi contrari ed i gravi dubbi su di esso sono più di dieci. Anzi, di quindici.  Evidentemente il giudice non se n’è ancora accorto.

    Senza la sua collaborazione questo processo forse non sarebbe neppure iniziato.

    Togliamo pure il “forse”. Ed è proprio per questo che i cittadini che, come me,  conoscono appena un poco  i fatti e gli atti,  sono un po’ sconcertati.

    Io ho abbracciato Massimo Ciancimino testimone in questo processo, ho abbracciato il testimone Massimo Ciancimino che , se pure nella contraddittorietà della sua collaborazione,…

    Ehm, questa “contraddittorietà” si può inquadrare, secondo noi, con maggiore precisione: ad esempio, andando col pensiero alla vicenda che ha coinvolto il dr. Gianni De gennaro,   si potrebbe forse definire: “calunnia”, “falso documentale e materiale”, o forse  “frode processuale”, e “falsa testimonianza” o “false comunicazioni al PM”. Cose così, insomma.

    …  ha fatto si che tanti uomini delle istituzioni che sono stati partecipi di una scellerata congiura del silenzio e che non siedono, ancora, sul banco degli imputati, riacquistassero, dopo venti anni, almeno una parte delle loro memorie sepolte e, forse, dei loro rimorsi.
    Non ho abbracciato Massimo Ciancimino imputato.
    Quello, se verrà ritenuto colpevole nel corso di un processo che finalmente, e in parte anche grazie a lui, potrà avere luogo, sarà la Giustizia a giudicarlo.

    Peccato che non si è ancora rintracciato il Sig. Franco-Carlo per portare anche lui sul banco dei testimoni/imputati, seduto al fianco del suo vecchio amico di famiglia; sarebbe una simpatica rimpatriata, e darebbe la possibilità di potersi riunire con entrambi in un unico caloroso abbraccio.  Sono sicuro che questa volta  Paolo Borsellino approverebbe, di lassù.

    In carenza, tuttavia, si potrebbe sempre sentire come testimone, in questo processo, “il sig. FRANCO … Maiorano, già “proprietario del bar “Toma’s”, ubicato in piazza Euclide, frequentato abitualmente, tra gli altri, dal personale del Commissariato “Villa Glori””,  che risultò essere, grazie agli approfondimenti della procura di Caltanissetta,  quel “Sig. Franco” che, grazie alla sua conoscenza di vecchia data di quei poliziotti che frequentavano il suo bar, raccomandò Ciancimino (anche lui cliente del bar) perchè uno di questi accelerasse il rilascio del passaporto del figlio. Ce la spiegano bene i PM della Procura di Caltanissetta

    Dunque, il tramite di CIANCIMINO per l’ottenimento del passaporto era stato il sig.Franco si, ma che di cognome  fa MAIORANO, proprietario del bar “Toma’s”, sito nella Piazza Euclide nr. 26 (nei pressi dello studio dell’avv. GHIRON) che conosceva il Sovrintendente Paolo CECALA (che formalmente si occupa del passaporto). CIANCIMINO e MAIORANO si conoscono da lungo tempo proprio perchè CIANCIMINO frequentava il Bar per la sua vicinanza allo studio GHIRON. Dunque, una procedura certamente sui generis: ma non v’è alcuna prova che appartenenti ai servizi segreti o vertici della Polizia entrino in questa vicenda. E’ solo una ordinaria storia di “favori all’italiana”, non si sa (non è risultato) se occasionati da consegna di denaro. Sicuramente non entrano nella vicenda (molto ordinaria) né Franco/Carlo, né Gianni De Gennaro.” (dalla RICHIESTA PER L’APPLICAZIONE DI MISURE CAUTELARI  – artt. 272 e segg. c.p.p.- della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta – Direzione Distrettuale Antimafia – Proc. n. 1595/08 R.G.N.R. Mod 21 D.D.A)

    Già, un’ordinaria storia di favori all’italiana, trasfigurata dal teste in un’oscura vicenda di fantasmi dei servizi segreti che si materializzano con tempestivi passaporti nel buio dei vicoli cittadini più nascosti.

    Ma a questo testimone siamo pronti a perdonare tutto: senza questa sua creatività, la trattativa sarebbe ancora “fantomatica”. E quando mai.

     
    • Pietro 19:00 on 1 April 2013 Permalink | Rispondi

      Ciao Enrico, ti segnalo che secondo l’ International Business Times. Mori è sotto processo per il “covo” da prima che pizzicassero Riina. Ho già dato parziale risposta.

      http://it.ibtimes.com/articles/45810/20130331/violante-ciancimino-ros-mori-trattata-stato-mafia.htm

      Un saluto.
      Pietro

    • Luigi 11:40 on 2 April 2013 Permalink | Rispondi

      Buona Pasqua!
      Le segnalo, come ha rivelaro Renzo nel suo blog, che è tornato disponibile il vecchio sito http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/ .
      Forse potrà ritrovare quelche vecchia chiacchierata con Travaglio.
      Colgo l’occasione per segnalarle che spesso nei post più vecchi qui non si vedono i video e le immagini.
      Ancora auguri.

    • francesco 12:17 on 29 July 2013 Permalink | Rispondi

      Ci sono le relazioni di servizio di Riccio e non mi risulta (ma forse mi sbaglio) che Mori abbia mai contestato il fatto oggetto del processo (Ilardo che indica a Riccio il casolare dove si trovava Provenzano, il quale Riccio comunica poi queste informazioni a Mori). La stessa sentenza riconosce l’esistenza del fatto (ma aggiunge che non costituisce reato). Questi mi sembrano fatti difficilmente contestabili, ma sono pronto a cambiare idea se emergessero nuove prove di segno opposto.

      • Avatar di enrix

        enrix 12:37 on 29 July 2013 Permalink | Rispondi

        Stai ripetendo degli slogan di Travaglio. a te le cose non risultano perchè leggi quelle porcherie anzichè gli atti. Non solo è contestato, il fatto, ma ci sono le prove (testimonianza e verbale di Pignatone steso all’epoca del sopralluogo) che nè la presenza di provenzano era annunciata, nè il Provenzano era presente. E’ tutta una bufala, lo leggerai nelle motivazioni. Il fatto “che esiste” è semplicemente un sopralluogo a mezzojuso dei CC dove non si è proceduto ad alcun arresto, perchè non si doveva arrestare nessuno. Non “la mancata cattura di provenzano”. Quella è impossibile, perchè provenzano non c’era. Quando qualcuno di voi capirà di essere stato calato in un truman show, sarà troppo tardi.

      • Avatar di enrix

        enrix 12:38 on 29 July 2013 Permalink | Rispondi

        Inoltre le relazioni di servizio di riccio, sono risultate manipolate a posteriori, Fontana lo ha cavato di bocca dal perito, interrogandolo lui personalmente. Fontana è un grande giudice. e’ il nostro sistema di informazione che è una merda.

      • Avatar di enrix

        enrix 20:16 on 29 July 2013 Permalink | Rispondi

        Gent.mo Sig. Francesco,
        leggo con piacere che lei mi cita le relazioni di Riccio. Ebbene, quelle relazioni purtroppo non hanno superato diversi test. Le parlo delle perizie del Dott. Genovese e delle controperizie effettuate dall’Ing. Fulantelli (perito di parte DELL’ACCUSA) effettuate sui floppy che contenevano il file originario di tali perizie. Entrambi, in particolare, rilevavano che:

        i files sono composti con il sistema operativo Windows 95 e compilati in Word 6 ma alcuni files come data creazione riportano la data di gennaio 93, data in cui il sistema operativo non era ancora commercializzato;
        Gennaio 1993 è una data che contrasta con le dichiarazioni di Riccio, che fa risalire la collaborazione con Ilardo ad Ottobre 1993;
        La data di ultima modifica di questi files creati nel 1993 è in tutti i files è il 05/07/1996
        La data di ultima modifica di tutte le relazioni combacia con le affermazioni del Tenente Colonnello Damiano che afferma che tutte le relazioni presentate furono create da Riccio contemporaneamente alla redazione dell’informativa.
        nonostante la data di creazione di alcuni files risulti del gennaio 1993, la stampante utilizzata per la stampa dei rapporti è stata commercializzata in italia dopo il 1993.

        L’interrogazione di perito e consulente è consultabile su Radio Radicale nella scheda processi nell’udienza del 10/11/2009.

        Inoltre, altri due elementi smentiscono i rapporti di Riccio: il suo cofirmatario Damiano, che fin dal 2002 ha sempre affermato che i rapporti sono stati tutti compilati assieme all’informativa su Ilardo – e la sua dichiarazione trova conferma nelle date di ultima modifica dei files. A questo punto mi sembra doveroso appuntarle che, dopo la testimonianza in aula di Damiani sempre il 10/11/2009, Riccio ha parzialmente ritrattato le sue precedenti dichiarazioni. La seconda testimonianza è quella del Dott. Pignatone che oltre a smentire già nel 2003 la presenza di Provenzano a Mezzojuso mediante un appunto dell’epoca, ha fatto più volte notare come la reportistica di Riccio fosse quasi totalmente assente e che più volte gli sia stato chiesto, anche insistentemente, di produrla – rafforzando quindi la posizione di Damiano.

        Tutto questo è spiegato dal blog gemellato Censurati.it nell’articolo: “Dott. Teresi, ragioniamoci assieme – ep.1 Michele Riccio” che riporta anche le perizie del Prof. Aldo Agosto sulle agende di Riccio nel 1997 e che purtroppo ne accentuano l’inattendibilità risultando “scritte in bella copia con solchi di cancellatura evidenti”.

        A disposizione per ulteriori chiarimenti. KEZIA S. (Censurati.it)

  • Avatar di enrix

    enrix 15:47 on 10 March 2013 Permalink | Rispondi  

    Massimo Ciancimino: “voglio solo esser messo in condizione di rifarmi una vita altrove!” 

    Abbiamo sospeso per un paio di mesi  l’attività di commento, su questo blog, alle vicende di cui siamo soliti occuparci, perché era in corso a Palermo il processo per il rinvio a giudizio degli imputati sulla triste vicenda della trattativa: siamo stati accusati in passato di strumentalizzazioni e di sospetti sincronismi (oltrechè, naturalmente, di essere prezzolati e servi di tizio e di caio), e quindi abbiano atteso in silenzio, prima di tornare a scrivere, la sentenza, perché tanto di tempo ne abbiamo, mentre di ragioni per avere fretta di scrivere, non ne abbiamo.

    Infatti per noi, come disse Clemenceau, la verità è soltanto un’ eliminazione di errori.

    Ed in questa vicenda, l’eliminazione degli errori è un processo che crediamo debba perdurare ancora svariati anni.

    Pazienza, quindi.

    Comunque la sentenza di rinvio a giudizio degli imputati ritenuti responsabili della PRESUNTA trattativa stato-mafia, sentenza per noi comunque scontatissima, è arrivata pochi giorni fa.

    Per cui, rieccoci qua.

     

     

    Ciancicimici – 2° parte

     

     

    C’era accanto a me, durante la lettura dell’udienza, unico imputato presente, Massimo Ciancimino.
    Pochi minuti prima mi aveva detto che era li perchè, caso anomalo per un imputato, sperava di ascoltare una sentenza di rinvio a giudizio, perché questo avrebbe significato che il processo poteva andare avanti
    .”
    (da: “Lo Stato processa se stesso, diventa realtà ciò che Sciascia giudicava impossibile“ – Scritto da Salvatore Borsellino   – Sabato 09 Marzo 2013 18:23)

    Alcuni dei possibili motivi di cotanta speranza nutrita da Ciancimino jr.,  paiono trasparire nei verbali delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche fra lui ed altri suoi compari, dove se non altro, grazie al bello della diretta,  l’ipocrisia si dovrebbe poter considerare come lasciata da parte.

    Oggi vogliamo semplicemente rinfrescarci la memoria su alcuni di questi passaggi, astenendoci da qualsiasi commento, poiché si commentano da soli.

    Per chi non lo sapesse, solo una nota: “Morosini”, nome che compare innumerevoli volte in queste conversazioni, sarebbe proprio il giudice del processo sulla trattativa, quello che ha disposto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati; ma anche il G.I.P di un troncone di processo sulle attività di riciclaggio del denaro paterno in carico a Ciancimino jr.

    Pertanto anche quando si legge la parola “G.I.P”, si sta parlando sempre di lui.

     

     

     

     

    Data Ora Telinterlocutore Verso Interlocutori
    28/05/201

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    18:03

    Durata22‘:06” FileaudioVLC

    PC CIANCIMINO Massimo CIANCIMINOMassimo TRONCI Romano SIDOTI Santa

     

    (…)

    CIANCIMINO MASSIMO:                … Romano chiedilo a Francesca un’ora abbiam parlato di questo! Io ho detto “io la mia sicurezza è…”"ah ma noi dobbiamo pensare alla sua sicurezza!” -”la mia sicurezza è mettermi in condizione e andarmene a lavorare tranquillo fuori da qua in un altro contesto!” -”non chiedo niente e niente voglio” gli ho detto non mi spettano sconti, “non voglio niente” gli ho detto “solo esser messo in condizione di rifarmi una vita altrove!”

    TRONCIRomano:                                e gli hai detto che la puoi fare con noi?

    CIANCIMINOMASSIMO:                          si lo sanno ! e infatti ho detto “ma stò fascicolo!” [il fascicolo del riciclaggio – ndr]  e dice “ah ma noi l’abbiamo chiesto sette volte la chiusura” e gli ho detto” ma vi state muovendo oltre ai 120 giorni questo….” –ha detto” no abbiamo già dato quel conferimento tutti!”

    SIDOTI Santa:                                      si ma loro non c’entrano! E……questa è una cosa che ha fatto che fa il G.I.P. con la (…)  

    CIANCIMINOMASSIMO:                 no, no! però adesso MOROSINI è molto in sintonia con INGROIA si sono uniti contro GRASSO!

    SIDOTISanta:                                      mh!

    TRONCIRomano:                                h! ho capito!

    SIDOTISanta:                                       no! te lo dico perché poi si disfà, si disfa anche tutto cioè…..

    CIANCIMINOMASSIMO:                  (….)

    SIDOTISanta:                                       tutta la gente che si incazza perché pensa che tu stai anche d’accordo con…..loro! Per cui diventerebbe……

    CIANCIMINOMASSIMO:                          no…….no……

    SIDOTISanta:                                       (….)non tiene più niente!

    CIANCIMINOMASSIMO:                          io non abbandono nessuno! Ora……

    SIDOTISanta:                                       lo sò!

    CIANCIMINOMASSIMO:                          io gli ho fatto patti chiari!

    SIDOTISanta:                                       mh!

    CIANCIMINO MASSIMO:                gli ho detto che negherò tutto se non mi aiutano! “In udienza nego tutto” gli ho detto!

     

    R.I.T. 3598/2012

    Conversazione SKYPE del 23.07.2012 ore 18.24  – SANTA SIDOTI/ROMANO TRONCI e Massimo CIANCIMINO

    (…)

    ROMANO:       Ho capito. Se ne va! Che fa.. Quell’altro, DI MATTEO, dove va? In Burundi?

    MASSIMO:      No lui rimane..

    ROMANO:       No.. pensavo che .. a questo punto va in Guatemala, l’altro va in Burundi e scappan tutti perchè sono dei pavidi come sempre

    MASSIMO:      Ora c’è stato pure.. mi diceva un giornalista che c’è stato la lettera di Agnese BORSELLINO.. cioè, c’è tutta sta polemica..

    ROMANO:       mah, polemica! Sono dei cazzoni, basta. E chiuso!

    MASSIMO:      Dopodomani c’è la richiesta di rinvio a giudizio che la firma MESSINEO

    ROMANO:       Per chi?

    MASSIMO:      Per quelli della trattativa.

    ROMANO:       Ah, bhè.

    MASSIMO:      Prima non aveva firmato la chiusura inchiesta, ora invece firma.

    SANTA:             E come mai?

    MASSIMO:      Mah, perchè secondo me alla fine ha capito che il posto se l’è giocato ed ormai NAPOLITANO se l’è messo contro, per cui a sto punto è meglio che firma.

    ROMANO:       mah.. comunque è tutta una storia.. senti, niente, sul fronte nostro boh!

    MASSIMO:      Non so niente. So che oggi hanno mandato..

    ROMANO:       So che in Romania fanno un gran casino.. stanno facendo una roba allucinante..

    MASSIMO:      Dove?

    ROMANO:       In Romania con l’Interpol..

    SANTA:             Con i giornali…

    ROMANO:       con l’Interpol in particolare

    MASSIMO:      Boh, so che MOROSINI è in ferie fino al 4 settembre

    SANTA:             Ma MOROSINI ..

    ROMANO:       Ah, MOROSINI è in ferie?

    SANTA:             Si ma comunque lui è appiattito, aveva già fatto una cosa…

     

     (…)

     

    MASSIMO:      …  D’altra parte qua sembra che il mondo si è bloccato intorno a INGROIA se va via o no.. ma che cazzo ce ne frega a noi!

    ROMANO:       si però ormai questa cosa non la chiudono.. quindi..

    MASSIMO:      Ma devono chiudere per legge.. o fare il rinvio coatto..

    ROMANO:       faranno il rinvio coatto, a questo punto

    MASSIMO:      E fare la fine di ROMANO (Saverio, ex ministro – n.d.r.) mmm

    SANTA:             Embhè, che gliene frega a loro? Comunque la tirano avanti finchè vogliono, capito?

    MASSIMO:      Guarda che son già due stangate che si pigliano: CUFFARO e ROMANO. La Corte d’Appello li ha sanzionati.

    SANTA:             Ma che.. loro vogliono .. CAPPELLANo sta cercando..

    MASSIMO:      ma no.. MOROSINI è troppo in amore per adesso con la Procura per mettercisi contro.. adesso MOROSINI è uno di quelli papabili per la trattativa

    SANTA:             No, ma è uno che è appiattito su quell’altra.. come si chiama…

    MASSIMO:      No.. no.. secondo me invece è uno che adesso si sta facendo amica la Procura perchè vorrebbe fare il processo della trattativa

    ROMANO:       vabbè, comunque facciamo quello che vogliono.. ne abbiamo piene le palle …

     

    Conversazione SKYPE del 28.07.2012 ore 09.55- SANTA SIDOTI e Massimo CIANCIMINO

    (…) MASSIMO:                 Che succede?

    SANTA:             No, niente.. tu me lo devi dire che succede. A Milano non succede mai niente.

    MASSIMO:      No.. qua niente. MOROSINI c’ha quella cosa.. secondo me si spoglia dell’altra, lui archivierà (l’inchiesta per riciclaggio – ndr).

    SANTA:             Quale si spoglia? Ah, la da a un altro?

    MASSIMO:      No, archivia. Per cui va direttamente ad un altro.

    SANTA:             Va al GUP?

    MASSIMO:      No, se archivia la chiude e basta.

    SANTA:             Ma a te cosa ti fa pensare che l’archivia?

    MASSIMO:      Ti spiego: se per caso uno dei testi sceglie il rito abbreviato..

    SANTA:             si..

    MASSIMO:      ..lui rimane GIP …

    SANTA:             ..si..

    MASSIMO:      .. e deve automaticamente mollare la “trattativa”.

    SANTA:             Ah. E allora?

    MASSIMO:      E allora capisci bene che non ne ha nessuna voglia.. non gliene frega niente.. in questo momento è su tutti i giornali.

    (…)

    SANTA:             Si.. sai qual è una delle mie preoccupazioni? Che questa “trattativa” che è molto controversa potrebbero anche mettersi d’accordo nel decidere che non la vogliono portare avanti..

    MASSIMO:      magari. Io sono disponibilissimo. Dico che non è vero niente, basta che mi lasciano in pace! (ride)

    SANTA:             No ma mica… a te non te lo chiedono neanche probabilmente, a te non ti archivieranno mai niente, tu andrai avanti tutta la vita a fare processi e di conseguenza anche gli altri..

    MASSIMO:      No! ma che.. non archiviano mai niente! Le prescrizioni sono dietro la porta pure per la “trattativa” hanno premura per questo..

    SANTA:             Tu dici?

    MASSIMO:      Si

    SANTA:             Vabbè, tu sai il clima che si respira a Palermo.. io mi faccio tante congetture …

    MASSIMO:      (..) va a tremila per adesso gli hanno assegnato una mega scorta…

    SANTA:             ah si?

    MASSIMO:      e certo!

    SANTA:             per cui è felice! e si vede da qui la carriera della gente, no?

    MASSIMO:      eh!

    SANTA:             per cui tu dici che….

    MASSIMO:      certo che il GIP della trattativa, con tutto quello che sta succedendo, l’hanno messo subito po(…)le  sotto casa, cose….

    SANTA:             certo! certo! Io spero che questa rogatoria arrivi in Romania al più presto!

    MASSIMO:      guarda…..vedremo! Caso mai deve archiviare, per cui….non è che può…se non ci sono gli elementi non può…..

    SANTA:             eh…ma sai….sono quelle robe che poi restano sempre archiviati fino a colpevoli….invece quando uno c’ha tutte le carte sotto il naso, perchè sai, nessuno ….

    MASSIMO:      (….)

    SANTA:             nessuno ha avuto modo di consegnare carte! Ci son solo quelle di CAPPELLANO!

    MASSIMO:      fa….facciamoli finire e poi vediamo!

    SANTA:             mh! te ti senti tranquillo pero’!

    MASSIMO:      ma no io lo sapevo come fini….come va sta storia ti avevo detto una settimana fa!

    SANTA:             si me l’avevi detto….ma qui….

    MASSIMO:      (…) c’è gran feeling tra i due per cui….non credo che si rimetta contro la Procura,(procura che intende archiviare – ndr)   non credo proprio!

    SANTA:             comunque se ne va eh? Coso….[ndr si riferisce al Procuratore Aggiunto INGROIA]

    MASSIMO:      si!  Pare che slitta di due mesi ma se ne va, insomma!

    SANTA:             mbè se slitta di due mesi è già qualcosa!

    MASSIMO:      vedremo! io oggi ho sentito quelli di “antimafia2000″ mi hanno detto che gli ha detto che forse lo fa…..gli hanno (….), vediamo!

     

    CONVERSAZIONE SKYPE del 17.30 del 31.07.2012

    ROMANO TRONCI  – MASSIMO CIANCIMINO- SANTA SIDOTI

    rumore di collegamento del programma skype

    (…)

    Santa:                        …a questo punto pero’ se loro non ti archiviassero a settembre ti rimandano a giudizio anche su quello?

    Massimo:                  su quale?

    Santa:                        su……riciclaggio cos’era?

    Romano:                   si sulla roba……

    Santa:                        (….) [sovrapposizione di voci]

    Romano:                   sul tuo tesoro, Romania…..

    Santa:                        (….) lioni [sovrapposizione di voci]

    Romano:                   eccetera eccetera!

    Massimo:                  si deve spogliare il GIP dell’inchiesta della trattativa!

    Santa:                        perchè?

    Massimo:                  è incompatibile!

    Santa:                        ah si?

    Massimo:                  ah, ah!

    Romano:                   mah scusa il GIP i…..no scusa, perchè si deve spogliare?  Perchè?

    Santa:                        è incompatibile!

    Romano:                   è incompatibile!

    Massimo:                  (….)

    Romano:                   si ma dimmi una co……

     (…)

    Romano:                   si, ma lui…. in fondo cosa conta su questa cosa?  Ah perchè c’è… fissa ma decide tutto in un’udienza o ci vorranno più udienze?

    Massimo:                  no! perchè per assurdo se io dovessi fare l’abbreviato lo dovrei fare con lui e mi giudica quindi in due cose! Non puo’!

    Romano:                   chiaro!

    Massimo:                  eh

    Romano:                   perchè a te conviene fare l’abbreviato?

    Massimo:                  non lo so! Ma è una facoltà che potrei avere per cui lui….per evitare deve spogliarsi! (cioè, deve rinunciare al giudizio sulla trattativa – ndr)

    Romano:                   chiaro!

    Santa:                        tu pensi che voglia spogliarsi?

    Romano:                   no!

    Massimo:                  (….) no! per me chiude la prima… (quella sul riciclaggio – ndr) non gliene frega un ca…. […zzo – ndr] ormai è popolare per l’altra! Cioè ormai è un idolo sull’altra!  [è un idolo per il giudizio sulla trattativa –ndr]

    (…)

    Santa:                        si pero’ cosi’ non finiamo mai!

    Massimo:                  no Sa….non è che (….), tempi non ci sono adesso c’è un rinvio a giudizio o l’archiviazione, non ce n’è più proroghe!

    Santa:                        o il rinvio a giudizio o l’archiviazione!

    Massimo:                  esatto!

    Santa:                        va bene

    Romano:                   e faranno il rinvio a giudizio!

    Massimo:                  vabbè…….io non ci credo che perda l’altra  [ndr la trattativa], però! Poi ognuno fa quello che vuole

    Santa:                        magari è d’accordo per perderla perchè tu devi capire anche che….

    Massimo:                  no, no…..! Non se la faceva neanche assegnare perchè vedrai ora su quella chiederà altre inchie…..indagini, lo conosco il soggetto!

     

     

    conversazione skype del 27/08/2012

    RUMORE DI COLLEGAMENTO PER CHIAMATA SKYPE

    SEGUE SQUILLO:

    (…)

     

    Massimo Ciancimino:              …   Ma è tutto…..guarda….io quello che mi preoccupa è l’indagine della trattativa quante cazzate saranno state fatte! Bhù vedremo!

    Romano Tronci:                          perchè quante cazzate? Han fatto chi?

    Massimo Ciancimino:              No! Loro in genere….perchè capisci…se…..se lavorano così mi auguro che siano ferrati e che non si facciano fare il culo!

    Romano Tronci:                          ma te fai un’opposizione o no? bhù!

    Massimo Ciancimino:              (….) chiesto, si! Porca trota!

    Santa Sidoti:                                ma te non è…..tu ti fai usare io ho paura di……..!

    Massimo Ciancimino:              che devo fare, che devo fare (….), me l’hanno chiesto! Va bene vediamo insomma……

    (…)

    Santa Sidoti:                                si ma se l’archiviazione non l’accettano? La tua posizione com’è?

    Massimo Ciancimino:              mah….mi devono fare l’imputazione coatta! Cioè….

    Santa Sidoti:                                eh infatti!

    Romano Tronci:                          si!

    Massimo Ciancimino:              eh vabbè …..faranno l’imputazione coatta! A quel punto poi io ricuso MOROSINI nel processo della TRATTATIVA……

    Romano Tronci:                          ah lo ricusi te eh?

    Massimo Ciancimino:              e certo! Non è che puo’ farmene due in diretta! oh!…….

    Romano Tronci:                          e lui sarà contento?

    Massimo Ciancimino:              non penso!

    Santa Sidoti:                                perchè?

    Massimo Ciancimino:              perchè quello penso che sarà l’udien…..il processo che darà più…..

    Santa Sidoti:                                si pero’ sai magari uno non vuole immischiarsi in questa faccenda….

    Massimo Ciancimino:              (ndr enfatizzando) mh……si! Se non si voleva immischiare …..

    Romano Tronci:                          oppure puoi….ma se lo ricusi ci sarà che cosa? Faranno un rinvio cambiano?

    Massimo Ciancimino:              eh no! Devono discutere in Corte D’Appe…..è un casino! Ma non serve (….) secondo me non (….) l’udienza il 28 prima si discuterà quella mia, quella del ricclaggio!

    Romano Tronci:                          mh, mh!

    (…)

    Massimo Ciancimino:              …  ovviamente alla luce del nuovo rapporto il GIP deve o imputazione coatta o archiviare!

    Romano Tronci:                          ma l’imputazione coatta diventa ridicola!

    Massimo Ciancimino:              han preso batoste con ROMANO con CUFFARO, con tutti!

    Romano Tronci:                          ma perchè? Perchè lui è appiatito su….. CAPPELLANO

    Massimo Ciancimino:              no! no! Sulla Procura! Guarda dopo la nomina al processo della Trattativa non ho dubbi che è appiattito su INGROIA non ho dubbi!

    Romano Tronci:                          non hai dubbi eh?

    Massimo Ciancimino:              mbè  li ha difesi pubblicamente ed è stato sbagliato, poi devo dire da quando è stato nominato non ha più parlato, per correttezza…..

    Romano Tronci:                          mh, mh! pero’ te dici a questo punto è…..non è contro!

    Massimo Ciancimino:              no! e secondo me chiederà……nè rinvierà subito a giudizio farà stile MOROSINI chiederà altre indagini!

    Romano Tronci:                          su che cosa?

    Massimo Ciancimino:              sulla TRATTATIVA!

    Romano Tronci:                          ho capito!

    Massimo Ciancimino:              (….) con me sull’archiviazione!

    Santa Sidoti:                                si!

    Massimo Ciancimino:              per tenersi il fascicolo! Chiederà di approfondire l’audizione di MANCINO! Chiederà qualche cosa!

    Santa Sidoti:                                mh!

    Romano Tronci:                          probabile eh?

    Massimo Ciancimino:              eh si! anche per dare manforte alla…..

    Romano Tronci:                          mh

    Massimo Ciancimino:              … alla Procura!

    Romano Tronci:                          mh, mh!

    Massimo Ciancimino:              in tutto questo il capro espiatorio se ne sta andando per cui….

    Romano Tronci:                          si! quindi guadagnano tempo…..

    Massimo Ciancimino:              esatto! (….)

    Romano Tronci:                          guadagnato tempo, quell’altro non c’è piu’ e il problema non esiste più insomma!

     

     

    Ce ne sarebbero altre, di conversazioni interessanti, ma sono fra Ciancimino ed i suoi avvocati, e quindi noi non le pubblichiamo. Crediamo in certi princìpi, tanto da considerarli sacrosanti per chiunque (ma proprio per chiunque, e qui il caso è perfetto,  per ribadirlo).

     
  • Avatar di enrix

    enrix 15:26 on 16 January 2013 Permalink | Rispondi  

    I magistrati tranquillizzano i Corleonesi: “l’arresto di Totò Riina è stato uno specchietto per le allodole .” 

    I magistrati rasserenano i Corleonesi: “l’arresto di Totò Riina è stato uno specchietto per le allodole .

     

     

     

    “”Quando due forze come mafia e Stato si trovano sullo stesso territorio possono fare due cose: combattersi o cercare un punto d’equilibrio. In Sicilia sono successe entrambe le cose: l’arresto di Totò Riina è stato uno specchietto per le allodole che ha sancito il ritrovato equilibrio“.  Così parlò ieri il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, uno dei magistrati che il 15 gennaio di vent’anni fa erano in servizio alla Procura di Palermo, ricostruendo quel giorno durante il dibattito conclusivo del “Festival della legalità in tour” che ha ricordato a Corleone il ventennale della cattura del boss.

    Da un uomo di Stato come Teresi, a Corleone per il ventennio dell’arresto di Riina, ci si aspetterebbe un messaggio ai giovani un po’ più costruttivo, roba del tipo: “delinquere non paga, anche i capi più in alto nell’organizzazione sono finiti e finiscono nelle maglie della giustizia”.

    Invece no, lui va a raccontare, proprio a Corleone, che quella cattura fu uno specchietto per le allodole, insinua che sia un truschino fra mafia e stato, cosicchè il messaggio che passa, lui volente o nolente, è che in Sicilia sia sempre ben chiaro chi comanda, e che non muove foglia (neppure l’arresto del capo) che qualcuno di Cosa Nostra non voglia. Complimenti davvero, valeva la pena farci un convegno a Corleone.

    Ma Teresi, a sostegno delle sue teorie, si richiama ad alcuni fatti. Vediamo dunque quali.

    Quel pomeriggio – ha ricordato – in Procura fu convocata una riunione ai massimi livelli e l’ordine di perquisire il covo fu revocato su richiesta dei carabinieri, che dissero di voler sorprendere i fiancheggiatori di Riina. Ho controllato personalmente i nastri delle telecamere di videosorveglianza della zona: i controlli si erano interrotti alle 14, prima della riunione”. Un cortocircuito, un inspiegabile buco nero intorno alla cattura unito a un “depistaggio” dei giornalisti: “Per giorni non si disse quale fosse davvero il covo, poi fu organizzato un grande evento al ‘fondo Gelsomino’ con elicotteri, uomini che si calavano dall’alto e quant’altro. Dissero: ‘È quello il covo’. Ma il giocattolo si ruppe ben presto in mano a Mori

    Siamo alle solite: la questione, secondo noi, non è capire perché non si sia perquisito il covo, perché è già risaputo e dimostrato, ma, semmai, perché magistrati della Repubblica in pubbliche manifestazioni come la festa della legalità e quindi in veste “ufficiosa” di fronte ai media, promuovono ricostruzioni che paiono inesatte, per non dire di peggio, sull’argomento.

    La discussione sull’opportunità di effettuare una perquisizione era già stata avviata, il 15/1/93,  a fine mattinata, momento cruciale in cui si doveva decidere se perquisire o meno. La seconda linea fu “appoggiata” sin da subito, con la conferenza stampa avvenuta in tarda mattinata, tanto che, come si legge nella sentenza di assoluzione “Mori-De caprio” del 20/2/2006,  “Questa seconda linea fu quella adottata in sede di conferenza stampa, nel corso della quale il generale Cancellieri riferì la versione concordata, secondo cui il Riina era stato intercettato, casualmente, a bordo della sua auto guidata da Salvatore Biondino mentre transitava sul piazzale antistante il Motel Agip. Nessun riferimento venne fatto a via Bernini ed a tutta l’attività che ivi era stata espletata.”

    Il dott. Luigi Patronaggio, Pubblico Ministero, ha reso dichiarazioni affermando che le squadre per la perquisizione sarebbero state pronte a partire dalle 14: “Intorno alle 14 (QUATTORDICI) del 15 gennaio i carabinieri del reparto territoriale di Palermo erano già pronti per effettuare la perquisizione al residence di via Bernini. Non conoscevamo la villa dalla quale era uscito Riina e per questo ci accingevamo a perquisirle tutte.

    Questa testimonianza si incrocia con quelle del dr. Aliquò e del col. Balsamo:

    ALIQUO’:  … si doveva individuare quale fosse la villa e che cosa ci fosse nella villa. Si erano fatti quindi due tipi di perquisizioni; una prima doveva partire subito e serviva a individuare la villa, una seconda. che avrebbe dovuto provvedere a tutto quello che era necessario per esaminare quello che c’era in questa possibile villino, villa… non si sapeva che tipo di rifugio avesse. L’UNA DOVEVA PARTIRE SUBITO E STAVA ANDARE PER ANDARE VIA, ERANO GIÀ DISPONIBILI, C’ERA IL CAPITANO MENICUCCI MI PARE E CON IL COLLEGA PATRONAGGIO [alle 14, vedi testimonianza Patronaggio – ndr] e un’altra perquisizione doveva partire verso … due ore dopo, quando sarebbe state possibile. (…)

    …proprio nell’imminenza dell’ uscita e quindi anche del pranzo [al pranzo le autorità si recarono verso le 13,30, è in atti – ndr] , perchè noi come loro uscivano ci saremmo seduti al tavolo, hanno detto, dice “no, ma non sarebbe meglio procedere all’altro tipo di indagine?” i Carabinieri…(…) … Lo stesso Capitano De Caprio e gli altri componenti del R.O.S. in particolare, perchè erano loro che avevano operato e mi specificarono che loro avevano avuto delle precedenti esperienze di tal genere, per cui ritardando e mantenendo una osservazione avremmo potuto avere maggiori risultati. Io rimasi un pochino… se ne parlò anche con Caselli e con gli altri colleghi presenti E ALLA FINE SI DECISE DI FARE COSÌ. Dico, “ beh … rischiamo, è una scelta diciamo di politica giudiziaria, largo consenso … di politica investigativa”.

    E siamo dunque al pranzo, intorno alle 14. Ma proseguiamo con la verifica delle testimonianze.

    Dal confronto tra De Caprio Sergio e BALSAMO Domenico effettuato in data 7 maggio 2003 h. 12,40:

    BALSAMO:” … bisogna ricostruire, secondo me, visivamente, mentalmente riuscire a fare quello che dicevo prima, stiamo in un cortilone, da come si legge giustamente uno che non lo sa, riunione, cose, sembra che uno sta ad un tavolo rotondo, siamo in un cortilone pieno di gente di tutti i generi, di reparti diversi, di gradi diversi, dove  chi va chi viene, chi si sposta dalle macchine già pronte, allora “andiamo andiamo”, nel frattempo quello dice, “ma forse è meglio, pensiamoci un attimo, cioè non è stata una cosa immediata, c’è stato un .. sicuramente hanno parlato tra di loro mentre noi preparavamo le macchine, i mezzi, … (…) …  può darsi che fu detto prendete pure qualcuno in divisa e portatevelo, può darsi benissimo, però il nucleo andante era la mia macchina, quella del colonnello Menicucci, le macchine del Nucleo Operativo civili, con quelle si andava a fare queste attività. Non le sto parlando di una cosa che è durata un minuto, perché il tempo di farli venire, probabilmente la discussione tra i presenti   che io non posso dire, avete sentito che sono gli altri, qualcuno avrà pur detto “non andiamo, è meglio aspettare, forse è meglio..” CIOÈ È STATA UNA COSA CHE È MATURATA IN UN LASSO DI TEMPO NON IMMEDIATO E NON IN UN PUNTO DEFINITO, TIPO CHE SI PUÒ DEFINIRE RIUNIONE O INCONTRO.” … anche perché far fare una perquisizione in un comprensorio enorme senza sapere dove era la casa, quindi c’era anche questo motivo che magari nella verbalizzazione non è stato approfondito, ma c’era anche il motivo di andare a cercare una fra tante villette dove non c’erano nomi, cognomi, non c’era niente, quindi bisognava fare più ville che sarebbero otto, nove forse anche dieci, con terreni ecc. quindi ci voleva una cosa imponente, quindi si rischiava forse andando  là in maniera prematura anche di andare non dico a vuoto, ma bisognava fare un’ attività, forse il battaglione serviva a questo, per circondare fuori..”

    Ad ogni modo, ciò che risulta dagli atti è che alle 14 si era pronti ad intervenire in Via Bernini, ma ciò non avvenne, e questo, – altrimenti vi sarebbe un’incongruenza temporale – ,  non  può essere certo a seguito di una “riunione convocata nel pomeriggio”, come sostiene Teresi.

    La “riunione ai massimi livelli” del pomeriggio di cui parla Teresi, agli atti non risulta essere esistita. Infatti recita la sentenza: “La concitazione di quei momenti, il gran numero di individui che affollava il cortile dove tutti si erano informalmente riuniti e ritrovati, spiega – COME RIFERITO DA TUTTI I TESTIMONI CHE VI PRESERO PARTE – il perché NON SI SVOLSE ALCUNA RIUNIONE DI CARATTERE FORMALE, SOSTITUITA, DI FATTO, DA DISCUSSIONI, che ormai evidentemente si concentravano “sul che fare ora” e come proseguire l’azione di contrasto a “cosa nostra”, e che avvenivano  proprio in quel medesimo contesto di luogo, di tempo e di persone.

    Il dr. Aliquò, nella sua testimonianza, registra dal primo pomeriggio in avanti soltanto “l’intervento del Col. Mori e CONSULTAZIONI con Spallitta e Caselli” e conclude che  “alle ore 16,00 era stato disposto un rinvio di 48 ore

    Quindi alle 16 si era senz’altro deciso in via definitiva di rinviare o sospendere del tutto (sul punto vi sono versioni discordanti, ma logica vuole che sia la seconda delle due) la perquisizione, la quale però era stata già sospesa e tenuta “ferma” a tarda mattinata, bloccata alle 14 nonostante a quell’ora Patronaggio stesse per muoversi con alcune squadre, ed ampiamente discussa in ogni sua ragione durante il pranzo.

    Non può esistere quindi alcun sospetto od anomalia del tipo descritto da Teresi, che pare voler collocare, tanto per incrudire ancor di più le circostanze ed i sospetti di quanto non si sia fatto sino ad ora,  tale presunta riunione in cui si discusse sull’opportunità di perquisire o meno in un’ora SUCCESSIVA a quella in cui il ROS cessò la sorveglianza e le videoregistrazioni, ora CHE LUI COLLOCA, PER SUA TESTIMONIANZA DIRETTA, ALLE 14: “Ho controllato personalmente i nastri delle telecamere di videosorveglianza della zona: i controlli si erano interrotti alle 14, prima della riunione”. Anche questa seconda circostanza, di cui Teresi si assume la responsabilità della testimonianza oculare, pare smentita dai documenti. Infatti così rilevano i magistrati della sentenza: ““Il Coldesina [il carabiniere sul furgone – ndr] , cui nel frattempo era stata data la notizia dell’arresto, ricevette l’ordine di continuare il servizio, CHE DIFATTI PROSEGUÌ CON LE STESSE MODALITÀ E DUNQUE CON LA PRESENZA DEL DI MAGGIO SINO ALLE ORE 16.00, quando gli venne comunicato che un collega sarebbe giunto a prelevare il furgone e li avrebbe riportati in caserma.”..

    Ed allo stesso modo nell’ordinanza di rinvio a giudizio coatto:

    il 27 gennaio venivano depositati negli Uffici di Procura i filmati realizzati fino alle ore 16.00 del 15.1.1993

    Ma la prova definitiva, sta proprio in altra vecchia contestazione mossa in istruttoria ai carabinieri, in merito ad un’interruzione “tecnica” della registrazione che è documentato essere avvenuta, per un periodo di soli 4 minuti,  poco prima delle 14.  “…dalla visione dei filmati era dato rilevare che alle ore 13,40 del 15.1.1993 davanti al cancello di via Bernini vi era Giovanni Riina e che nella relazione di servizio a firma dello stesso Militare a p. 6 ore 13,40 vi era l’annotazione “giunge soggetto sconosciuto su Renault Clio PAB31427 e sosta di fronte al civico, escono dal civico tre soggetti sconosciuti su ciclomotori, uno conversa con il conducente della Clio”, ed ancora che il filmato relativo al 15 gennaio RISULTAVA INTERROTTO DALLE ORE 13,42 ALLE 13,46 e che nell’annotazione inerente la ore 13,46 della relazione datata 15 gennaio si legge “Sansone Giuseppe su Fiat Tipo PA927273 esce dal civico e si allontana in direzione via Uditore (situazione visualizzata ma non filmata)”. IL TESTE ATTRIBUIVA L’INTERRUZIONE NELLA RIPRESA AL TEMPO NECESSARIO PER SOSTITUIRE LA CASSETTA soggiungendo “Se nella relazione ho scritto il nome di Sansone, evidentemente è perché ho visto che in auto era da solo”-“

    Ricapitolando:  se alle 13,46 veniva inserita una nuova videocassetta perché la vecchia era andata ad esaurimento, e se questa per qualche ragione fosse stata nuovamente e definitivamente interrotta alle 14, cioè dopo soli 14 minuti di funzionamento e ben 2 ore prima della fine del turno di sorveglianza, certamente tale circostanza risulterebbe agli atti, poiché come si può vedere i magistrati hanno verificato, minuto per minuto sostituzione della cassetta compresa,  i vari passaggi di quelle ore di osservazione pomeridiane, anche al fine di comprendere le ragioni dell’interruzione del video per 4 minuti dalle ore 13,42, e quindi per verificare la veridicità della versione fornita dal Coldesina, concludendo univocamente che i filmati erano stati “realizzati fino alle 16.00”.

    Quindi il dott. Teresi, avrà pure “controllato personalmente i nastri”, ma i suoi ricordi degli orari e delle circostanze evidentemente sono offuscati od errati, a meno che non lo siano, e completamente, le risultanze dell’istruttoria e del processo.

    Si può  pertanto considerare ovvio il fatto che se alle 14 le prime squadre pronte ad intervenire non furono inviate, qualcosa, a fermarle, doveva già essere accaduto, e prima delle 14.  E se è pur vero che comunque anche dopo la conferenza stampa e dopo le 14 si sarebbe ancora potuto tranquillamente perquisire (anche se non si capisce a quale scopo si sarebbe dovuto fare, dal momento che è provato che dalle 9,30 del mattino i mafiosi erano già in allarme per l’arresto di Riina, e pertanto la Bagarella ed i complici della famiglia come i Sansone, presenti in mattinata nell’insediamento, avevano già avuto a disposizione più di 5 ore per occultare o distruggere qualsiasi documento potesse trovarsi in quella casa, come impongono le regole di Cosa Nostra in caso di cattura del boss e come ha ribadito anche Brusca in aula), in ogni caso la successione temporale che ci propone Teresi, secondo la quale la decisione di non perquisire sarebbe stata presa decisamente DOPO l’interruzione delle riprese con la telecamera piazzata sul furgone, a suo dire avvenuta alle 14, pare forzata e viziata, sia perché il blocco della perquisizione era già di fatto in corso alle 14, sia perché gli atti lo smentiscono sull’orario dell’interruzione del filmato, che pare invece risalire alle 16 in punto, salvo una pausa di 4 minuti dalle 13,42 alle 13,46.

    Infine c’è quest’altro passaggio di teresi, sulla perquisizione del Fondo Gelsomino: “Per giorni non si disse quale fosse davvero il covo, poi fu organizzato un grande evento al ‘fondo Gelsomino’ con elicotteri, uomini che si calavano dall’alto e quant’altro. Dissero: ‘È quello il covo’. Ma il giocattolo si ruppe ben presto in mano a Mori

    Francamente non si capisce che cosa voglia dire qui Teresi. Il ROS e Mori, con quella perquisizione al Fondo Gelsomino del 21/1/1993, non c’entrano nulla. Infatti, come si legge in sentenza: “Neppure alla riunione del 20 gennaio, nella quale si deliberò a scopo di “depistaggio” dei giornalisti la perquisizione al cd. “fondo Gelsomino”, il ROS era presente, E L’INIZIATIVA FU ASSUNTA DALLA TERRITORIALE CONCORDEMENTE CON L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA.” (…) La mancanza di comunicazione e l’assenza di un flusso informativo tra l’autorità giudiziaria, la territoriale ed il ROS, DAVVERO ECLATANTE E PARADOSSALE NEL CASO DELL’OPERAZIONE “FONDO GELSOMINO”, appare comunque aver contraddistinto, sotto diversi profili, tutte le fasi della vicenda in esame.” In altro punto la stessa sentenza parla espressamente di “omesso coinvolgimento del ROS nella perquisizione al fondo Gelsomino” da parte dell’autorità giudiziaria.

    Insomma, al fondo Gelsomino ci saranno anche stati elicotteri, uomini che si calavano dall’alto, e quant’altro, ma il ROS di Mori e Ultimo non ne sapeva nulla. E se, con riferimento all’operazione di disarticolazione della cosca mafiosa,  il giocattolo si ruppe ben presto in mano a Mori, ciò non fu certo per colpa di Mori o di Ultimo. Eppure sotto processo ci sono andati loro, e qualcuno pare voglia farceli ritornare.

     
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    enrix 19:32 on 9 December 2012 Permalink | Rispondi  

    Quell’abile manina

     

     

    Servizio Pubblico, TV La7, 6 dicembre 2012.  Minuto 46: Santoro pianta un paletto: avete presente “la trattativa”? Quella trattativa Stato-mafia con cui ci martellano di giorno in giorno con il fatto che ormai è “certa”, “accertata”, “non presunta ma certificata”, “sicura al 100%”, “cotta e mangiata”, “ratificata da sentenze”  ecc.. ecc..   Insomma, quella trattativa Stato-Mafia ormai tanto provata e documentata che non ci sarebbe più bisogno di discuterne.  Proprio su quella, (chissà poi perchè, se è così certificata),  Santoro ha voluto, onde  piantare l’ennesimo paletto sulla sua esistenza certa, ricominciare daccapo: “Noi dobbiamo capire se stiamo parlando di un fatto che è realmente avvenuto, oppure no. [mi sembra giusto, soprattutto se si parla di un fatto che ci viene venduto come certo e stracerto da tutte le parti – ndr] Perché se noi capiamo che questa cosa che noi chiamiamo “trattativa”, ovvero, se lo Stato ha avuto incontri con la mafia per discutere in che modo si potevano far finire le stragi, allora evidentemente il fatto storico è accaduto, ed è giusto che noi cerchiamo di capire CHE COSA è accaduto. Ora, per me, c’è una cosa, c’è una pietra miliare, in questo discorso,  che strappa qualunque tipo di dibattito, ed è la deposizione che fece Mori al processo, [sic. Ma quale processo? Poi vedremo – ndr], quando Mori ha descritto così la trattativa.”  [Santoro punta il dito verso lo schermo e segue video di Mori in un’aula che depone – ndr]-

    Incominciamo chiarendo che la deposizione in questione risale al 24 gennaio 1998, ed è stata resa a Firenze, perché Santoro si guarda bene dal dircelo. Ce la descrive laconicamente come “la deposizione che fece Mori al processo”, punto. Non ci spiega né quando, né dove.  La sovrimpressione sul video poi, è altrettanto eloquente: “Deposizione” (esticavoli).

    Insomma, Santoro si guarda bene dal riferire che si tratta di una testimonianza del 24 gennaio 98, e cioè di 15 anni fa. A Firenze, al processo per la strage dei Georgofili. Noi non possiamo, ovviamente, dire con assoluta certezza se tale omissione sia o meno volontaria. Rileviamo però, in termini generali, di come, se davvero esistesse una “pietra miliare” capace di fare a pezzi qualsiasi discussione sull’esistenza della trattativa Stato-mafia, sarebbe effettivamente e decisamente più prudente cercare di evitare di far rimuginare i cervellini più svegli sulla stranezza del fatto che questa prova schiacciante sarebbe già disponibile da 15 anni senza che ce ne siamo mai accorti.

    Dopodichè, mano alle forbici, all’ago, e al filo, ecco il famoso sarto.

    Mori, nella deposizione di Firenze, esprimeva alcuni concetti semplici: l’idea del Cap. De Donno di avvicinare Ciancimino per portarlo a collaborare in quanto in quel momento storico lo stesso Ciancimino viveva alcune gravi difficoltà, soprattutto giudiziarie, i primi colloqui di don Vito con De Donno, gli argomenti trattati (principalmente la strage di Capaci e soprattutto  “Mani pulite”), la disponibilità data dal Ciancimino a collaborare (“‘ma io potrei fare l’infiltrato, inserirmi nel mondo degli appalti, dell’imprenditoria‘, ),  il primo incontro con Mori dove il generale per rompere il ghiaccio esordisce con una battuta riferita alle avvenute stragi: “‘Ma signor Ciancimino, ma cos’è questa storia qua? Ormai c’è muro, contromuro. Da una parte c’è Cosa Nostra, dall’altra parte c’è lo Stato? Ma non si può parlare con questa gente?’ La buttai lì convinto che lui dicesse: ‘cosa vuole da me colonnello?’”, l’incredulità dei carabinieri quando don Vito diceva di avere preso contatti con Cosa Nostra, la secca replica dei carabinieri che dichiarano le loro pretese assolutamente limitate alla cattura dei latitanti.

    Il verbale integrale, è ricopiato sotto a questa mia nota. Si noterà, nel leggerlo, che esso non può assolutamente essere inteso come la prova definitiva (la “pietra miliare”) che “lo Stato ha avuto incontri con la mafia per discutere in che modo si potevano far finire le stragi”. Esso dimostra soltanto che il ROS nel 92 cercò di portare a collaborare don Vito Ciancimino con lo scopo di catturare i latitanti, che in questo contesto Ciancimino si dichiarò disponibile a contattare qualche “intermediario” per capire “che cos’è questa storia qua” (le stragi), che ovviamente il ROS non volle impedirglielo perché comunque interessato a qualsiasi informazione sull’argomento, che quando don Vito disse di aver contattato sul serio  un intermediario quello aveva dimostrato scetticismo ma si era detto interessato a trattare, che Mori ritenne che quello fosse un “escamotage” del Ciancimino e comunque replicò seccamente che la sola trattativa ammissibile per loro poteva basarsi solo sulla resa dei latitanti, che Ciancimino dapprima li mise alla porta dicendo che a quel punto rischiavano tutti la pelle, salvo ripresentarsi dopo un po’ di tempo, messa da parte qualsiasi ipotesi di trattativa con Cosa Nostra, per aiutare il ROS  a rintracciare Riina, mappe alla mano.

    Questo il racconto di Mori. (ma anche lo stesso racconto, preciso preciso, reso in carcere dallo stesso don Vito nella primavera del ’93, per il verbale di Antonio Ingroia in persona).

    Per trasformare invece questo racconto di Mori nella “pietra miliare”, la regina di tutte le prove che “lo Stato ha avuto incontri con la mafia per discutere in che modo si potevano far finire le stragi”, bisogna usare il “taglia e cuci”.

    E così è stato fatto nella trasmissione di Santoro: ben 8 tagli e 7 ricuciture per martoriare uno stralcio della deposizione di Mori.

    Naturalmente, la spiegazione sarà sempre la stessa: si fa per sintetizzare, per stare al succo.

    Beh, chissà perché, io vedendo questa sintesi e questo succo, capisco cose molto diverse da quelle dette effettivamente da Mori.

    Inoltre, caro Santoro, ti vorrei ricordare che un montaggio onesto di ben 8 spezzoni stralciati da una deposizione, vorrebbe che i tagli fossero evidenziati, magari con delle sfumate, e non occultati.

    Il pubblico ha il diritto di percepire che si tratta di un collage di più parti, così da farsene almeno una ragione.

    Qui invece, su ogni taglio e ricucitura, sono state apposte immagini estratte da altre parti della bobina o persino da altre bobine, con inquadrature degli avvocati, dell’aula o della corte, che non c’entravano nulla, sotto il profilo temporale, con l’audio del sottofondo. Così non si vedono i tagli le ricuciture.

    Quindi non vedo come si possa escludere  l’esistenza di una precisa volontà di ingannare, illudendo lo spettatore di avere a che fare con un “continuum”, un pensiero unico espresso in una sola soluzione e senza interruzioni né sbavature.

    E quindi siamo alle solite: è provato che “lo Stato ha avuto incontri con la mafia per discutere in che modo si potevano far finire le stragi”, ma, ancora una volta, soltanto grazie ad un collage molto ben fatto.

    Passate parola.

    Enrix

    VERBALE DI TESTIMONIANZA DEL GEN. MARIO MORI A FIRENZE IL 24/01/1998 (NOTA BENE: Gli spezzoni videomontati nel collage di Santoro, sono evidenziati in lettere rosse.   Link: http://www.youtube.com/user/serviziopubblico  al punto 0:46:05 )

     

    DIBATTIMENTO-1: udienze/980124.txt

     

    PRESIDENTE: Buongiorno. Vediamo i presenti.
    (…)
    Allora, possiamo fare entrare il primo dei due testi.
    PUBBLICO MINISTERO: Sì. Io direi di invitare in aula il generale Mario Mori.
    PRESIDENTE: Si accomodi. Per cortesia vuole ripetere solo il suo nome e cognome?
    *TESTE Mori: Mario Mori.
    PRESIDENTE: Lei ricorda che è già stato sentito dalla Corte.
    TESTE Mori: Certo.
    PRESIDENTE: Ha letto la dichiarazione di impegno.
    TESTE Mori: Certo.
    PRESIDENTE: Quindi è sempre vincolato da questo impegno assunto. Può rispondere alle domande del Pubblico Ministero.
    PUBBLICO MINISTERO: Generale Mori, io ho bisogno di porle delle domande per ottenere da lei una illustrazione di una certa vicenda, per introdurre la quale però le debbo porre il quesito diciamo, in termini canonici.
    Il quesito è: se sia vero che anche lei personalmente, nella seconda metà del 1992, ha – adopro una formula volutamente generica – avuto contatti con una persona, che più esattamente identifica l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino.
    TESTE Mori: Glielo confermo.
    PUBBLICO MINISTERO: Allora, la circostanza dalla quale muoviamo è un fatto reale. Ecco, detto questo, io ho bisogno di una illustrazione puntuale, nei limiti dei suoi ricordi in proposito, sulla, chiamiamola pure genesi, di questa presa di contatti, sulla finalità alla quale questa iniziativa era ispirata, sulla evoluzione e l’eventuale conclusione con relativa causale della vicenda stessa.
    Ecco, proprio scolasticamente direi, il problema glielo pongo così e non credo – salvo che non ce ne sia particolare necessità – che io la debba interrompere con domande su un punto o sull’altro. Le chiedo semplicemente, nei limiti del possibile, di puntualizzare senz’altro le cadenze e la tempistica di questa vicenda.
    TESTE Mori: Va bene.
    E allora bisogna rifarsi al periodo tarda primavera, estate 1992. A fine maggio, mi sembra 24, 25, non ricordo bene, c’è la strage di Capaci. E c’è questo shock che colpisce tutti, ma colpisce anche noi investigatori, perché ci dimostra la nostra impotenza di fronte a un fenomeno che non riusciamo a penetrare e a contrastare efficacemente.
    Ovviamente queste vicende poi continuano, si sviluppano e si arriva anche al 19 di luglio, quando viene ucciso Paolo Borsellino con la sua scorta.
    Io vorrei ricordare, perché sono pochi anni, ma sembra che sia passata una vita, anche perché la situazione è totalmente cambiata. Vorrei ricordare tutti… in quest’aula penso lo ricordino, il volto del dottor Caponnetto, che a una richiesta di un giornalista dice: ‘è finita’. E c’era dello scoramento, proprio la desolazione in quel volto.
    Molta gente se non a parole, certo dentro di sé si è anche arresa in quel periodo. Anche noi persone dello Stato. Nel senso che ritenevano inutile combattere contro un fenomeno indebellabile – ho sentito dire questa parola – insito in una determinata zona del territorio italiano, connaturata ad essa e quindi indebellabile.
    E allora io, che in quei giorni ero stato, ero capo del reparto C.O. del ROS e poi fui nominato vicecomandante del ROS, responsabile operativo, quindi di tutte le operazioni del ROS. Ritenni che era un impegno morale, oltre che professionale, fare qualche cosa di più, di diverso, per venire a capo, nelle mie possibilità, di queste vicende, di questa struttura che stava distruggendo i migliori uomini dello Stato.
    Per venire al dunque, per sintetizzare, furono due i grossi filoni di impegno operativo che io definii: il primo, quello di costituire un gruppo speciale di operatori che, sulla base di alcune informazioni confidenziali che c’erano state fornite dal maresciallo Antonino Lombardo, poi morto suicida, ci consentivano di avere degli spunti investigativi per iniziare la ricerca su basi concrete nel capo di Cosa Nostra, Salvatore Riina.
    E questo fu un gruppo che, costituito, scese a Palermo nel settembre del ’92 e cominciò la ricerca, che poi ebbe esito positivo nei primi giorni dell’anno seguente: 15 gennaio ’93.
    L’altro tipo di impegno che assunsi, fu quello un pochettino più generico, di ricercare a livello articolato, fonti, spunti, notizie, che ci potessero portare decisamente, proficuamente all’interno della struttura mafiosa.
    In questo ambito, in questo contesto di iniziativa mi si presentò il capitano De Donno, che da me dipendeva, il capitano Giuseppe De Donno. E mi propose un’iniziativa. Facendo riferimento a un’indagine, che quando io comandavo il gruppo di Palermo lui era al Nucleo Operativo del gruppo di Palermo, facemmo su Vito Ciancimino e che riguardava la manutenzione strade e edifici scolastici della città di Palermo, per la quale, al termine dell’indagine, il Gip emise ordinanza di custodia cautelare verso un certo numero di persone, tra cui Vito Ciancimino, per associazione per delinquere semplice, abuso di ufficio, falso ed altro e per la quale, mi sembra, al termine della vicenda giudiziaria, Ciancimino stia scontando definitivamente 8 anni.
    E De Donno, sfruttando questo, quindi la conoscenza del soggetto, e che durante le fasi del dibattimento di I Grado, che lui aveva seguito, aveva conosciuto e aveva familiarizzato in una certa maniera, col figlio di Ciancimino, mi propose di tentare un avvicinamento, tramite il figlio Massimo, con Vito Ciancimino, che in quel momento era libero ed era residente a Roma.
    Lo autorizzai a procedere a questo tentativo ancorché fossi molto scettico sulle possibilità effettive di… Questo avviene, questo primo contatto – che poi sono più di uno – tra De Donno e Massimo Ciancimino, avviene tra Capaci e via D’Amelio. Quindi diciamo nel giugno del ’92.
    Vito Ciancimino, sollecitato dal figlio, accetta. E ci sono una serie di colloqui che quindi partono… adesso, De Donno poi può essere più preciso, non so quand’è il primo, comunque partono nel giugno e si sviluppano tra il giugno e il luglio, a cavallo anche del secondo fatto grave, cioè via D’Amelio. Ciancimino accetta il colloquio insomma, anche se un po’ incuriosito da questo capitano che gli sta girando intorno.
    Accetta il colloquio e fa una strana proposta quando entra poi in confidenza col capitano. Loro parlano di Tangentopoli, parlano delle inchieste che l’hanno visto coinvolto come protagonista, Ciancimino, e come investigatore lo stesso De Donno. E gli butta lì, Ciancimino dice: ‘io vi potrei essere utile perché inserito nel mondo di Tangentopoli, sarei una mina vagante che vi potrebbe completamente illustrare tutto il mondo e tutto quello che avviene’.
    Questo fatto qua fa convincere De Donno del fatto che Ciancimino mostrava delle aperture, per cui mi chiede se ero disponibile a incontrarlo, anche per avere il conforto di un altro parere e di un’altra persona nel dialogo.
    Accetto. Ripeto, con perplessità e qualche scetticismo. De Donno fa la proposta a Ciancimino; Ciancimino accetta.
    Incontro per la prima volta Vito Ciancimino a casa sua, a via di Villa Massimo, che è dietro piazza di Spagna a Roma, il 5 agosto… nel pomeriggio del 5 agosto del ’92.
    Vorrei fare un punto, sennò non si capiscono le cose. Non siamo nel ’98. Il 5 agosto del ’92 l’Italia era quasi in ginocchio perché erano morti due migliori magistrati nella lotta alla criminalità mafiosa, non riuscivamo a fare nulla dal punto di vista investigativo ed eravamo allo sbando, da questo punto di vista. Cinque anni sembrano pochi ma… sono solo cinque anni son passati, eppure è cambiato completamente tutto.
    Quindi, quando inizio il discorso con Ciancimino, cominciamo sulle generali. E il primo incontro non è altro che delle considerazioni di carattere generali su persone, fatti di Palermo. Io ho comandato il gruppo Carabinieri per quattro anni a Palermo. Ciancimino è palermitano; è stato sindaco di quella città.
    Ricordo che parlammo anche, perché lui mi chiese chi ero, dov’ero, come mi collocavo, che funzioni avevo, chi erano i miei superiori; che gli accennai che il mio superiore diretto era il generale Subranni. Al che lui si ricordò: ‘ma chi è, il maggiore che era al Nucleo Investigativo di Palermo?’
    ‘Sì, il maggiore che…’ e commentammo questo.
    E io poi, tornando in ufficio e accennando al generale Subranni di questo incontro e contatto che avevo intrapreso con Vito Ciancimino, gli dico: ‘guarda, ha parlato anche bene di te quindi… cioè, ti considera un ottimo investigatore’.
    Il primo… Quindi quello fu il primo incontro. Ripeto, interlocutorio, senza nulla di particolare. Non siamo entrati in nessuna specifica di servizio. Il secondo incontro avviene il 29 di agosto, quindi nello stesso mese, a fine mese. E ovviamente, cosa ci ripromettevamo noi? Almeno, cosa mi ripromettevo io dal contatto con Ciancimino. Avere, intanto, se possibile, se lui si dichiarava disponibile, io contavo molto sul fatto che la sua posizione dal punto di vista giudiziario non era brillantissima. Lui, prima o dopo, e lo sapeva, a parte che non aveva… aveva il ritiro del passaporto, altri provvedimenti e misure adottate nei suoi confronti; lui sapeva che prima o dopo doveva rientrare in carcere. Cosa che poi avvenne a fine anno, con un provvedimento della Corte di Assise di Palermo.
    E quindi, diciamo tra virgolette, era in qualche modo ricattabile insomma. Noi speravamo che questo lo inducesse a qualche apertura e che ci desse qualche input.
    In effetti poi, quando fa quella proposta un po’ strana, un po’ singolare a De Donno, dice: ‘ma io potrei fare l’infiltrato, inserirmi nel mondo degli appalti, dell’imprenditoria’, sfruttammo noi questo input che lui ci diede e in quel momento io cominciai a parlare con lui.
    ‘Ma signor Ciancimino, ma cos’è questa storia qua? Ormai c’è muro, contromuro. Da una parte c’è Cosa Nostra, dall’altra parte c’è lo Stato? Ma non si può parlare con questa gente?’ La buttai lì convinto che lui dicesse: ‘cosa vuole da me colonnello?’
    Invece dice: ‘ma, sì, si potrebbe, io sono in condizione di farlo’.
    E allora restammo… dissi: ‘allora provi’. E finì così il secondo incontro, per sintesi ovviamente.
    Il terzo incontro avviene, se non sbaglio, il 1 ottobre dello stesso anno, ’92. Ciancimino… L’incontro avveniva… è stato in questo modo. Ciancimino lo diceva al figlio, il figlio chiamava telefonicamente De Donno e poi ci si trovava, sempre a casa sua.
    In questo terzo incontro dice: ‘io ho preso contatto, tramite intermediario’, che non disse mai chi era l’intermediario, lo ammise solo in sede di escussione da parte dei magistrati di Palermo, quando seppe che il dottor Cinà, che era il medico di Riina, era stato arrestato. E si capì, lo disse, che era lui l’intermediario.
    Allora, dice: ‘io ho preso contatto, tramite intermediario, con questi signori qua, ma loro sono scettici perché voi che volete, che rappresentate?’
    Noi non rappresentavamo nulla, se non gli ufficiali di Polizia Giudiziaria che eravamo, che cercavano di arrivare alla cattura di qualche latitante, come minimo.
    Ma certo non gli potevo dire che rappresentavo solo me stesso, oppure gli potevo dire: ‘beh, signor Ciancimino, lei si penta, collabori, che vedrà che l’aiutiamo’.
    Allora gli dissi: ‘lei non si preoccupi, lei vada avanti’.
    Lui capì a modo suo, fece finta di capire e comunque andò avanti. E restammo d’accordo che volevamo sviluppare questa trattativa. 1 ottobre.
    18 ottobre, quarto incontro. Ciancimino, con mia somma sorpresa, perché fino a quel momento, anche con tutte le affermazioni: ‘io ho preso contatto’, non ci credevo.
    Ciancimino mi disse: ‘guardi, quelli accettano la trattativa, le precondizioni sono che l’intermediario sono io’ – Ciancimino – ‘e che la trattativa si svolga all’estero. Voi che offrite in cambio?’
    A questo punto capii che non c’era più nulla da fare, cioè non si poteva più allungare il brodo. Per il semplice fatto che io sapevo benissimo che Ciancimino aveva il passaporto ritirato e che con questa manovra della trattativa svolta all’estero… che poi era un’escamotage molto modesto perché si poteva fare a Frascati, o a Cantù o a Roma in via di Villa Medici: lui voleva uscire e mettersi in condizione di sicurezza, almeno questo ho pensato io. Peraltro non avevo nulla da offrire io, perché lui mi aveva detto: ‘che cosa offrite?’
    E allora, a questo punto dissi: ‘beh, noi offriamo questo. I vari Riina, Provenzano e soci si costituiscono e lo Stato tratterà bene loro e le loro famiglie’.
    A questo punto Ciancimino si imbestialì veramente. Mi ricordo era seduto, sbattè le mani sulle ginocchia, balzò in piedi e disse: ‘lei mi vuole morto, anzi, vuole morire anche lei, io questo discorso non lo posso fare a nessuno’.
    E quindi rimaniamo che la trattativa ha un momento di ripensamento e poi vediamo come va. Troveremo un sistema per chiuderla, senza ulteriori conseguenze. Molto seccamente mi accompagnò alla porta, insieme al capitano De Donno che assisteva a tutti questi quattro colloqui che ho fatto e ci salutò.
    Scendendo le scale mi ricordo che De Donno disse: ‘beh, è andata male colonnello, ma d’altra parte che potevamo fare?’
    E io feci: ‘mah, non è andata male’. Perché intanto abbiamo raggiunto un punto, che questo qui veramente ha preso il contatto, perché sennò questo tipo di reazione e questa paura che ha dimostrato di avere, non ci sarebbe stata: primo.
    Secondo: la sua posizione giudiziaria è tale che prima o dopo dovrà tornare a contattarci. Era il 18 di ottobre.
    Fui facile profeta, ma era abbastanza logico che ciò avvenisse. Penso alla fine di ottobre, i primi di novembre, il figlio di Ciancimino, Massimo, contattò nuovamente De Donno e gli chiese se voleva incontrare il padre da solo, perché probabilmente era più facile il dialogo tra Ciancimino e De Donno. De Donno è più espansivo, estroverso di me, quindi si trovava meglio Ciancimino con De Donno.
    De Donno ovviamente me lo disse. Mi chiese l’autorizzazione e io lo autorizzai. Non mi ricordo, ma De Donno se lo ricorderà il giorno in cui poi avvenne questo colloquio. Ma in estrema sintesi, poi mi riferì De Donno che Ciancimino disse: ‘va be’, ma che cosa volete voi?’
    E noi eravamo già preparati a questa risposta… a questa domanda e De Donno gli rispose: ‘noi vogliamo Totò Riina, catturare Totò Riina’.
    Lui accettò. E chiese preliminarmente a De Donno una serie di mappe, se non vado errato relative all’acqua, al gas, o alla luce, comunque due o tre servizi, relativi alla città di Palermo, in un settore ben preciso: viale della Regione Siciliana, verso Monreale, quella che – chi conosce Palermo – dovrebbe essere la zona in mezzo a Monreale, grossomodo.
    Quindi mappe, non carte… E De Donno si attivò per procurarsele presso il Comune di Palermo.
    Il giorno 18 di dicembre, un giorno prima dell’arresto di Vito Ciancimino, De Donno torna a casa di Ciancimino e gli porta quello che aveva potuto recuperare. Ciancimino non resta soddisfatto, dice: ‘no, ma io vorrei…’, gli dà delle indicazioni più dettagliate e più precise su come… su quello che voleva, in pratica.
    De Donno ritorna in ufficio e mi dice: ‘ma…’ e mi racconta quelle che erano state i contenuti, che erano stati i contenuti dell’incontro e mi dice: ‘mah, intorno lì a Villa Medici, a via dei Medici, c’è questa strana gente, o poliziotti o Carabinieri erano intorno perché… noi ci capiamo al fiuto’, insomma, e difatti l’indomani mattina viene arrestato il Ciancimino.
    Io pensavo che fosse finito il nostro rapporto, ma subito dopo le feste di Natale, non le so dire con esattezza perché non ho tracce, neanche nella mia agenda, se prima o dopo l’arresto di Riina, ma penso prima, qualche giorno, pochi giorni prima, mi chiamò l’avvocato di Vito Ciancimino, l’avvocato Giorgio Ghiro. E mi disse che il suo cliente mi voleva parlare.
    Io dissi all’avvocato che non avevo nessuna difficoltà, però erano cambiati tutti i termini del nostro rapporto in quanto lui era detenuto.
    Contattai il dottor Caselli, che nel frattempo era divenuto Procuratore della Repubblica a Palermo, gli raccontai tutta la vicenda, lui fu molto interessato e ovviamente autorizzò il colloquio investigativo da parte mia e da parte del capitano De Donno.
    Colloquio investigativo che avvenne il giorno 22 di gennaio di quell’anno, nella mattinata, a Rebibbia nuovo complesso. E Ciancimino esternò la sua volontà di continuare il rapporto. Io spiegai a Ciancimino che i termini erano completamente cambiati, non potevamo più assolutamente parlare, in quella sede, di una collaborazione informale, ma lui doveva collaborare formalmente. E lui alla fine disse che era aperto alla collaborazione formale con lo Stato.
    Per cui, appena uscito da Rebibbia, mi incontrai, o nella tarda mattinata, o nel primo pomeriggio, con Giancarlo Caselli, gli spiegai la posizione di Ciancimino e la Procura di Palermo si mise in condizioni di ascoltare il Ciancimino.
    L’inizio delle escussioni del Ciancimino avviene verso la metà di febbraio. Ad alcune ho assistito anch’io. Nel contesto di queste dichiarazioni che rese ai magistrati della Procura di Palermo, Ciancimino fece cenno a tutta la vicenda del rapporto tra di noi e lui.
    Il capitano De Donno, che compilò gli atti relativi e tutti gli accertamenti connessi alle dichiarazioni di Ciancimino, riferì anche sui nostri rapporti. La Procura di Palermo non ci ha mai chiesto alcunché su questo fatto.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco. Lei ricorda, generale, questa vicenda di averla illustrata, prima che in questa Corte di Assise, anche ai magistrati della Procura di Firenze?
    TESTE Mori: Certo.
    PUBBLICO MINISTERO: Ricorda la data in cui è avvenuto questo esame?
    TESTE Mori: Il 1 di agosto mi sembra.
    PUBBLICO MINISTERO: Di quale anno?
    TESTE Mori: Di quale anno? Di… del ’97.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco, quindi prima di questa data a lei non era mai stato richiesto di illustrare questa situazione in un atto formale…
    TESTE Mori: No. No, dopo l’escussione fatta da lei, sono stato inteso, sullo stesso motivo, dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta.
    PUBBLICO MINISTERO: Ho da chiedere qualche dettaglio a questa sua esposizione: lei ha avuto la possibilità di indicare con esattezza le date in cui si sono svolti questi incontri che rappresentano un po’ la porta di passaggio da una situazione ad un’altra.
    TESTE Mori: Esatto.
    PUBBLICO MINISTERO: Sul fatto di poterle indicare con esattezza queste date, generale, si affida al suo ricordo, o a qualche cosa…
    TESTE Mori: Alla mia agenda.
    PUBBLICO MINISTERO: Ha con sé qualche cosa?
    TESTE Mori: Sì, ho portato la fotocopia delle pagine, solo delle pagine relative, ovviamente.
    E qui leggo: “5 agosto tra le 14 e le 15″ – dell’agenda – “incontro con V.C.”, cioè Vito Ciancimino.
    “Sabato 29 agosto, ore 16.00 V.C.”, cioè Vito Ciancimino.
    “1 ottobre” – sempre di quell’anno – “pomeriggio, colloquio con V.C.”.
    “Domenica 18 ottobre ore 11.30 V.C.”.
    “22 gennaio” – dell’anno successivo, quindi siamo nel ’93 – “ore 09.00, incontro con V.C.”, qui a Rebibbia, anche se non l’ho scritto – “ore 14.00, 13.30-14.00 incontro col dottor Caselli.”
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco, in occasione dell’altro suo esame davanti alla Corte, mi ricordo che, su sollecitazione mia, la Corte dispose per l’acquisizione del…
    PRESIDENTE: Se i difensori non hanno nulla in contrario, si acquisiscono.
    AVV. Cianferoni: Nessuna opposizione.
    PRESIDENTE: Le parti civili?
    (voce fuori microfono)
    PRESIDENTE: Allora…
    PUBBLICO MINISTERO: Allora, generale, se quelle fotocopie le può mettere a disposizione, perché la Corte ha disposto per l’acquisizione al verbale.
    TESTE Mori: Certo.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco, il primo punto era questo: volevo, se è possibile, un chiarimento migliore sul punto che Ciancimino, all’epoca in cui si sono svolti questi incontri, si trovava quindi a Roma nella sua abitazione?
    TESTE Mori: Sì, via di…
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco, ma a quanto lei ricorda, era libero a tutti gli effetti, o era sottoposto a una qualche misura limitativa della libertà personale, arresti domiciliari, o…
    TESTE Mori: No, no, era libero, perché ci raccontava che frequentava dei locali, parlava… Quindi era libero.
    PUBBLICO MINISTERO: Questi colloqui, mi pare di aver colto dall’ultima parte della sua illustrazione, lei li ha avuti sempre assieme al capitano De Donno.
    TESTE Mori: Vero.
    PUBBLICO MINISTERO: E quindi, le persone presenti a questi colloqui, chi sono state? Almeno ai colloqui sui quali ha rife… lei ci sta riferendo.
    TESTE Mori: Sì. Non ricordo, ma lì sull’agenda c’è pure scritto. In uno di quei quattro colloqui partecipò anche Massimo, ma solo per il fatto che…
    PRESIDENTE: Il figlio di Ciancimino.
    TESTE Mori: Il figlio di Ciancimino. Ma solo per un breve momento. E mentre non si parlava di cose, diciamo, di interesse, perché Ciancimino ci volle offrire il caffè. E allora entrò il figlio, si intrattenne qualche minuto. Ma solo dal punto di vista, così, così della relazione. Ma non…
    PUBBLICO MINISTERO: Relazione spaziale, voglio dire.
    TESTE Mori: Sì.
    PUBBLICO MINISTERO: Ma l’argomento si è svolto…
    TESTE Mori: Nella sala, diciamo, nella sala da pranzo della casa di Vito Ciancimino.
    Tutti e quattro gli incontri.
    PUBBLICO MINISTERO: Io ho capito che la presa di contatto iniziale da parte del capitano De Donno si lega, in qualche modo, alla sua convinzione, ovviamente partecipata dal suo personale, di ricercare nelle sedi idonee, presso i personaggi considerati idonei, spunti, indicazioni, quali potessero essere…
    TESTE Mori: Sì.
    PUBBLICO MINISTERO: Ho capito bene?
    TESTE Mori: Certo.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco. Io vorrei capire: sulla base di quale fatto nuovo, se c’è stato un fatto nuovo, a un certo momento il capitano De Donno si risolve a proporre a lei di aver un incontro con Ciancimino?
    Che, mi permetto di fare una piccola coda a questa domanda per renderla più chiara, per evitare poi di doverne fare una dopo.
    Perché di regola, gli spunti, quelli che si chiamano indicazioni a carattere di fiduciario, confidenziale, o quant’altro, di regola, un ufficiale li raccoglie da sé.
    Non colgo altrimenti la ragione per la quale il capitano De Donno, anziché portarsi un ufficiale pari grado, o addirittura un maresciallo, fa intervenire sulla scena – questa è l’espressione che mi sembra sia più efficace, forse non è del tutto appropriata – fa intervenire sulla scena il vice comandante del ROS.
    TESTE Mori: Ho capito.
    Allora, guardi, l’input indiretto alla vicenda, a questo contatto che poi De Donno si propone di realizzare, glielo do io. Quando, parlando di queste cose, dico: è inutile che andiamo a cercare il solito scalzacane che ci racconta di Ciccio Formaggio, del paese di, che so, che posso dire, di Corleone che è sospettato di.
    Qui ormai lo scontro è a livello altissimo. Noi dobbiamo cercare interlocutori dall’altra parte di livello altissimo.
    Quindi, per favore, cerchiamo di spremere le meningi su questo aspetto.
    E allora De Donno fa questo ragionamento e individua le sue possibilità, poi dopo si può chiedere anche a lui. Non è che ci siamo mai spiegati su questo, ma adesso vado per logica.
    Lui Ciancimino lo aveva frequentato. Nel senso che aveva investigato e lo aveva portato fino all’arresto.
    Aveva poi questa possibilità di dialogo col figlio di Ciancimino. E quindi decise di sfruttarlo.
    Perché, dice giustamente lei, ci viene a cercare e non…
    Intanto, quando inizia il rapporto, io non ero vicecomandante, ma ero comandante del reparto criminalità organizzata del ROS.
    Quindi ero il responsabile diretto di questa attività nel settore antimafia.
    Poi, De Donno io lo conosco da quando era tenente, che venne al Nucleo Operativo, che era un bimbetto e io comandavo il gruppo di Palermo.
    E’ stato sempre con me da allora, ed è tuttora con me. E c’è un rapporto che va oltre il fatto che io sono colonnello e generale e lui è tenente o capitano. C’è rapporto di stima e di rispetto reciproco.
    E si rendeva conto, De Donno, che questo non era il solito, la solita fonte informativa da quattro soldi, che dovevamo sfruttare e poi capire se era valido quello che diceva o meno. Ciancimino era un personaggio.
    E c’è anche un altro fatto fondamentale. Bisogna conoscere la psicologia di Ciancimino.
    Ciancimino è un personaggio di grande energia, di grande determinazione. E ha la convinzione, penso a buon titolo per le sue vicende professionali ed ex professionali, di essere un capo.
    E lui vuol trattare solo col capo.
    E le farò un esempio senza fare nomi, perché… Quando fu portato di fronte ai magistrati di Palermo, nelle prime due circostanze lo sentì direttamente il procuratore Caselli, ecco.
    E Ciancimino si rapportava su quel livello, perché riteneva che quello fosse il piano.
    PUBBLICO MINISTERO: Credo di aver capito.
    TESTE Mori: La terza volta, venne un magistrato giovane e non c’era il dottor Caselli che, poveretto, ci aveva altro da fare, e gli disse: ‘ma lei chi è?’
    Dice: ‘ma io sono il tizio e caio, sono il sostituto procuratore della Repubblica’.
    ‘Ma lei sarà uno di … Con lei non parlo’. E se ne andò. Tant’è che fu ripreso e ripor…
    Ecco, questo è il personaggio…
    De Donno si rese conto che aveva bisogno di avere anche un sostegno psicologico. Ecco il motivo. Anche perché ritenevo che il livello era tale che mi potevo sprecare, tra virgolette, e andarci.
    PUBBLICO MINISTERO: Un altro punto: lei ha precisato, generale, un attimo fa quale era il suo incarico esattamente all’epoca, diciamo pure nelle settimane in cui si snoda questa vicenda.
    TESTE Mori: Sì. Io proprio…, mi sembra i primi giorni di agosto del ’92, divento vicecomandante del ROS.
    PUBBLICO MINISTERO: Quindi, con qualche giorno di anticipo, rispetto al primo incontro. Perché, se non mi sbaglio…
    TESTE Mori: Ma penso proprio a cavallo lì.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco.
    TESTE Mori: A cavallo proprio del… Ma le facevo già, in qualche modo, le funzioni. Perché il colonnello Cagnazzo che era il vicecomandante, era in trasferimento per la Regione di Palermo.
    PUBBLICO MINISTERO: Lei ritenne di mettere al corrente qualcuno dei suoi superiori di questa sua iniziativa?
    E, se lo ha fatto, quando? Prima di avviarla, o successivamente, o nel corso della vicenda?
    TESTE Mori: Io, come ufficiale di Polizia Giudiziaria, lei mi insegna, posso trattare con delle fonti. Quindi teoricamente potevo anche tenermela per me, o lasciare che De Donno facesse la sua attività.
    Però il personaggio era particolare. E, soprattutto, tenevo a un consiglio del generale Subranni, che era il mio superiore. Perché Subranni ha fatto la parte più intensa della sua carriera professionale a Palermo. Ed è unanimemente riconosciuto come un investigatore di grandissimo livello. Un grande conoscitore di quella realtà.
    E allora, dopo il primo incontro, perché fino al primo incontro era molto dubbioso sull’effettivo sviluppo che poteva avere questa vicenda, dopo il primo incontro, appena tornato, andai da Subranni.
    Introdussi il discorso dicendo che Vito Ciancimino aveva parlato bene di lui e poi lui così seppe di quello che era il mio intendimento.
    Lui mi consigliò: ‘stai molto attento, perché questo è un personaggio che ti può giocare tranquillamente insomma. Ti può mettere sotto scopa’, mi ricordo mi disse.
    Presi atto di questo e poi continuai.
    PUBBLICO MINISTERO: Quindi, non…
    TESTE Mori: E poi lo informai che era finito il 18 ottobre. Dico: abbiamo dovuto finire, perché quello mi ha chiesto che cosa potevamo offrire.
    E che gli potevo offrire? Che si costituisca.
    PUBBLICO MINISTERO: Quindi capisco che lei non ritenne che vi fossero le ragioni, i presupposti, per decampare da una regola utilizzata correntemente: quella secondo cui un ufficiale di Polizia Giudiziaria che contatta una fonte, lo può fare anche a titolo così personale da non essere tenuto ad informare i suoi superiori.
    TESTE Mori: Ecco, perché si … solo poi in sede giudiziaria, eventualmente.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco. Ho capito – lei lo ha illustrato con molta chiarezza – che quella che possiamo chiamare la rottura di questo contatto, si concretizza quando, a una certa domanda di Ciancimino, lei formula una certa risposta.
    TESTE Mori: Certo.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco, ma lei aveva messo in preventivo fin dall’inizio di questo contatto con Ciancimino di essere richiesto da Ciancimino di quali potessero essere, secondo le prospettive, nell’occasione, del colonnello Mori, sicuramente il capitano De Donno era figura a quel punto, diciamo pure, complementare, non essenziale.
    TESTE Mori: Certo.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco, non aveva messo in preventivo che questa domanda, da parte di Ciancimino, poteva esserle posta fin dall’inizio?
    TESTE Mori: Sì. Anche se come ipotesi remota debbo precisare. Perché io ritenevo che, al massimo, lui dicesse: ‘sì, cercherò di prendere contatto’.
    Io infatti me l’aspettavo che avrebbe detto sì. Poi, dice: non ce l’ho fatta’, perché indubbiamente era una esposizione grossa per lui dire: ‘sì, ho preso contatto con Cosa Nostra.’
    E allora io pensavo, va be’, se lo dice, io non ho altro che dirgli: ‘va be’, si costituisca, poi la tratteremo bene, insomma…’
    Io pensavo invece che lui, dopo un po’, al quarto incontro, difatti, mi dicesse: ‘guardi, non è possibile, non accettano il dialogo…’
    Per altro c’erano i presupposti; al terzo, dice ‘ma questi non si fidano, poi chi siete…’, insomma.
    E invece facesse delle aperture, dice: ‘va be’, ma possiamo vedere qualche altra cosa’.
    Insomma, io pensavo che rimanesse sul piano più basso, tutto… e che lui offrisse qualche notizia, magari di un certo livello. Più nel campo imprenditoria e appalti politica, che nel campo, diciamo, operativo diretto. Questo mi aspettavo.
    Le confesso che mi sorprese, in un certo senso, questa accettazione così, direi totale, insomma.
    PUBBLICO MINISTERO: Accettazione totale, mi aiuti a capire, di questa specie di proposta di assumere un ruolo sostanzialmente di interlocutore a distanza?
    TESTE Mori: Sì, sì.
    PUBBLICO MINISTERO: Di interfaccia fra due…
    TESTE Mori: Sì. Sì, perché era molto rischioso per lui.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco, ma generale, io sicuramente riesco perfettamente a seguirla; ma bisogna capire questo. Credo sia opportuno che questo punto sia chiarito bene.
    In quanto la ragione pratica di questa presa di contatti che ha una premessa nei contatti tra Ciancimino e De Donno, ad iniziativa del capitano De Donno, mira tutto sommato ad avere Ciancimino come fiduciario di un organismo investigativo come il ROS.
    TESTE Mori: Sì.
    PUBBLICO MINISTERO: Quindi, in un taglio, tutto sommato assimilabile a quello del confidente che, avendo magari una vicenda giudiziaria in corso, poteva anche in prospettiva divenire collaboratore, ecco, io ho bisogno di capire com’è che, a un certo punto, ed a iniziativa di chi, sostanzialmente, Ciancimino finisce per vedersi proporre il ruolo di interfaccia.
    Perché, almeno librescamente, altro sembrerebbe essere la figura del confidente, altro sembrerebbe essere la figura dell’interfaccia fra due soggetti che non colloquiano direttamente.
    TESTE Mori: Ma guardi, il problema… Ciancimino non è il solito personaggio da quattro soldi.
    Cioè, bisognava gestirlo sviluppando con lui un dialogo che tenesse conto anche delle sue esigenze.
    Perché non gli potevamo dire brutalmente: senti, Ciancimino, la tua posizione giuridica e giudiziaria è quella che è, statti attento, se vuoi evitare la galera ti possiamo aiutare. Però tu dacci…
    Perché mi avrebbe accompagnato alla porta immediatamente. Perché i tempi erano diversi. Oggigiorno, forse, questo discorso brutalmente si potrebbe anche fare; nel ’92 non si poteva assolutamente fare.
    E allora era una schermaglia continua tra me e lui, tra lui e De Donno, in tre, cercando di cogliere… E’ stato un bel duello, possiamo definirlo così, per cercare di capire i punti in cui noi ci potevamo spingere, dove lui accettava. Dove lui ci voleva anche portare. Perché tutto sommato, ci ha l’intelligenza per gestire qualche…
    Quindi, inizialmente il problema era solo, dice: va be’, ci darà qualche notizia se ci va bene; sennò ci accompagna alla porta e finisce lì.
    Poi, il fatto che lui si presenta come addirittura disponibile ad inserirsi in un gioco sotto copertura, quasi nell’ambito dell’attività contro l’imprenditoria mafiosa.
    Il fatto che dovevamo, in qualche modo, allungare il brodo… Io che gli potevo dire? Brutalmente… solo quello gli potevo dire. Gli ho detto: ‘ma lei li conosce questa gente?’
    Sapevo benissimo che li conosceva, Ciancimino è di Corleone.
    E quindi è stato quasi portato al discorso, questo ti… E’ stato un andare insieme verso quel… Perché a noi ci conveniva, guadagnavamo tempo.
    Io e De Donno… con De Donno questo non l’ho mai pensato. Ma io ero anche orientato eventualmente, se lui, come ritenevo, avesse portato a lungo la trattativa, di fare dei servizi di pedinamento su Ciancimino, per vedere effettivamente come contattava, chi contattava e se contattava.
    Questo, poi, non è avvenuto perché ha bruciato i tempi, Ciancimino.
    Non so se sono riuscito…
    PUBBLICO MINISTERO: Ha bruciato i tempi, io credo di capire…
    TESTE Mori: Rispetto a me, rispetto alle mie previsioni.
    PUBBLICO MINISTERO: Ha bruciato i tempi nel momento in cui ha detto: ‘colonnello, lei che mette sul tavolo?’
    TESTE Mori: Esatto. Io non me lo aspettavo proprio.
    In quel momento, non me lo aspettavo.
    PUBBLICO MINISTERO: In occasione dell’incontro in cui Ciancimino comunica le cosiddette precondizioni, mi pare lei abbia adoprato questo termine: allora questa trattativa la faccio all’estero, con Ciancimino in veste di…
    TESTE Mori: Intermediario.
    PUBBLICO MINISTERO: Intermediario, o qualcosa di simile.
    Per caso fu richiamato anche il fatto specifico che Ciancimino aveva qualche problema in corso con la Giustizia?
    TESTE Mori: No. Noi ne parlammo la… mi sembra la prima, o la seconda volta, che lui aveva dei problemi.
    Ma era notorio, insomma, che avesse dei problemi. La…
    PUBBLICO MINISTERO: No facevo per capire se questa…
    TESTE Mori: No, lui direttamente…
    PUBBLICO MINISTERO: Se i problemi di Ciancimino facevano parte del pacchetto delle condizioni.
    TESTE Mori: No, lo pensai io subito. Quando lui mi disse che bisogna farlo all’estero, io dissi: ma come… Dentro di me dissi: ma tu non hai il passaporto. E allora cosa vuoi da me? Il passaporto.
    Questo lo pensai subito.
    PUBBLICO MINISTERO: E’ tutto qui, generale. Non credo…
    Una domanda sola, però: nel corso di questi incontri, a me pare di ricordare, ma è un eufemismo, è un dato incerto. Nel corso di questi incontri si verificò un grave fatto di sangue a Palermo.
    Perché si verificò l’eliminazione dei Ignazio Salvo. Che è settembre del ’92. Quindi proprio in epoca mediana fra gli incontri dell’agosto e gli incontri dell’ottobre.
    Lei ha ricordo, generale, che in questa, queste panoramiche che, a quello che capisco, allargavano e stringevano continuamente l’obiettivo su Cosa Nostra e l’universo mondo di Cosa Nostra, vi sia stata una qualche considerazione da parte di Ciancimino in ordine a quel fatto, e se quel fatto era rappresentativo di, e se a seguito di quel fatto si poteva pensare che… Ecco.
    TESTE Mori: Ma guardi…
    PUBBLICO MINISTERO: Vorrei questo chiarimento specificamente.
    TESTE Mori: Sì. Come ha detto lei, in effetti, nel corso di questi colloqui, ovviamente, c’erano parecchie digressioni.
    Poi, Ciancimino è un vulcano quando parla. Fa citazioni, riferimenti. Quasi tutti di tipo politico.
    Poi lui, in quel periodo lì, aveva ultimato, stava correggendo le bozze di un libro che faceva un po’ la storia dei suoi anni a Palermo. E ci aveva la bozza. E mi ricordo poi che la dette a me e voleva assolutamente che la leggessi. Anzi, mi… Forse il terzo incontro, mi fece pure il cicchetto perché non lo avevo ancora letto.
    Poi cicchettò anche il dottor Caselli, perché gliela diede anche a lui questa bozza. E, ovviamente, Caselli ci aveva altro a cui pensare, non la lesse.
    E quindi c’erano vari capitoli che si riferivano a Orlando, a Gioia… Tutti i personaggi, protagonisti delle vicende palermitane.
    Però, un ricordo preciso, specifico, su Salvo e sulla vicenda dell’omicidio non ce l’ho, non mi dice nulla.
    PUBBLICO MINISTERO: Un ultimo punto: lei ha illustrato proprio il contenuto dell’ultimo incontro, quello dell’abitazione.
    Non sto parlando del colloquio investigativo, l’ultimo incontro nell’abitazione.
    TESTE Mori: Sì.
    PUBBLICO MINISTERO: E mi è parso di capire che il discorso si è, anche bruscamente, interrotto sulla linea di partenza.
    Lei ha avuto la possibilità di capire se Ciancimino si accingesse, o fosse nella possibilità di farsi da portavoce, sul momento, di richieste che venivano da Cosa Nostra?
    Quindi dai soggetti con i quali, in qualche modo, aveva stabilito quel certo contatto di cui si parlava prima?
    Intendo dire, se Ciancimino era in grado di illustrare le controproposte e comunque la contropartita a quelle che aspettava fossero indicate da lei come basi, o punti di partenza di una trattativa?
    TESTE Mori: Guardi, io, in quel momento lì, quando lui scattò in piedi, mi disse, dice: ‘lei mi vuole morto. Anzi, vuole morire anche lei?’, ebbi la sensazione precisa che era in grado di fare una trattativa, di imporsi come intermediario.
    Prima no. Prima ritenevo che millantasse, o comunque cercasse di giocarmi, di portarmi dove voleva lui.
    Ma in quel momento vidi che veramente aveva paura. Cioè, che si preoccupava di…
    PUBBLICO MINISTERO: Però, a quanto intendo, è una conseguenza che lei formulò… una conclusione che lei formulò in quel momento.
    TESTE Mori: Era una impressione mia, del momento.
    PUBBLICO MINISTERO: Ecco.
    TESTE Mori: Perché lui non esplicitò in maniera…
    PUBBLICO MINISTERO: Volevo sapere questo: se c’era stata una esplicitazione anche…
    TESTE Mori: Ebbi poi una conferma in sede di escussione da parte dei magistrati di Palermo, quando venne fuori il nome di Cinà, che lui sobbalzò e allora si capì che l’intermediario con la controparte era proprio questo Cinà.
    E gli veniva a mancare l’unico riferimento, allora.
    PUBBLICO MINISTERO: Senta, generale, lei sarà sicuramente al corrente del fatto che, anche in pubblica udienza come è quella della Corte di Assise di Firenze, ci ha parlato di una certa qual definita trattativa, trattativa con “papello”, o trattativa del “papello”, a seconda delle due scuole di pensiero, che avrebbe in qualche modo fatto riferimento, o per meglio dire, che in qualche modo è riferibile alle iniziative di Cosa Nostra e che specificamente di Riina da collocarsi come fatto storico, anche questo nell’anno ’92, nella seconda metà del 1992.
    Ora, prescindendo dalla vicenda che lei ha illustrato, e guardando neutralmente a questa riferita storia di una trattativa e di un “papello”, lei, al di là del racconto di stamani, è in grado… e a prescindere, per essere più esatti, dal racconto di stamani, è in grado di fornire una qualche indicazione in questa sede?
    O non le consta altro, ripeto, in riferimento a quel periodo storico lì.
    TESTE Mori: No, nient’altro.
    Mi rendo conto che quella trattativa fra noi e Ciancimino possa avere sollecitato dall’altra parte qualche valutazione, qualche considerazione, anche qualche analisi.
    Ma io, a parte quello che ho detto, non so nient’altro.
    PUBBLICO MINISTERO: E l’ultima domanda, proprio, è questa: quando lei è stato esaminato davanti alla Corte qualche mese fa, ha illustrato tutta una distinta storia, che, diciamo pure, riguarda certi contatti, come lei ricorda, intrattenuti dal maresciallo Tempesta che glieli venne a riferire in occasione di un certo incontro.
    TESTE Mori: Sì.
    PUBBLICO MINISTERO: Mi pare che le date, le epoche, tendono quasi a sovrapporsi.
    TESTE Mori: Sì.
    PUBBLICO MINISTERO: Perché l’incontro col maresciallo Tempesta, lei ce lo collocò…
    TESTE Mori: Sarei in grado…
    PUBBLICO MINISTERO: … con esattezza, il 25 di agosto del 1992.
    Allora, il punto è questo: nella gestione del rapporto con, del contatto con Ciancimino, fu tenuta presente come elemento in qualche modo dipendente, o collegato, fu tenuto presente da lei nella gestione di questi contatti, di questa singolare situazione che le aveva rappresentato il maresciallo Tempesta, oppure no?
    TESTE Mori: Non attenni alcuna considerazione. Mi sembra di avere già detto nella precedente testimonianza che ritenevo il contatto con Bellini, da parte mia o di elementi del ROS, pericoloso, perché Bellini, se avesse preso contatto fattivamente con Cosa Nostra, sarebbe stato immediatamente scoperto. Perché come mandato dalle Forze di Polizia o da altri.
    Per cui era assolutamente improponibile un tipo di rapporto tra noi con lui.
    Quindi non lo collegai affatto, lo considerai subito un fatto che non mi doveva interessare, che per me era pericoloso.
    Pericoloso nel senso che poteva portare il nostro reparto fuori strada.
    PUBBLICO MINISTERO: Ma considerava che fosse pericoloso anche per Bellini?
    TESTE Mori: Al limite, sì. Se prendeva contatto con quei persona…
    Se cioè avesse ottenuto, come lui mi sembra di ricordare voleva, gli arresti domiciliari e ospedalieri di Ciccio Madonia, di Luciano Leggio, di Gambino e di qualche altro. E chi era l’autorità in Italia che poteva ottenere questo? Bellini? No di certo.
    Quindi, Bellini moriva, a mio avviso.
    Questa era la mia valutazione.
    PUBBLICO MINISTERO: Questa è la valutazione che lei formulava all’epoca.
    TESTE Mori: Certo.
    PUBBLICO MINISTERO: E’ questa la spiegazione, o meglio…
    TESTE Mori: No, io proprio non le collegai neanche proprio dal punto di vista del ragionamento. Posso dire, forse sarà stata la mia…
    PUBBLICO MINISTERO: E’ questo che io avevo bisogno di capire, infatti, generale.
    TESTE Mori: Sarà stata una mia lacuna, ma proprio li tenni completamente separati, i due fatti.
    PUBBLICO MINISTERO: Ho capito. La ringrazio.
    PRESIDENTE: Le parti civili hanno domande?

    Segue l’interrogatorio degli avvocati di parte civile.

     
    • Antonio Inoki 22:43 on 9 December 2012 Permalink | Rispondi

      Ottimo articolo, complimenti.
      Il ‘taglia e cuci’ in questa materia pare essere di uso frequente dagli ‘eroi’ dell’informazione, i watchdog de ‘noantri, quelli che non guardano in faccia nessuno, verificano le fonti ecc. ecc. secondo il mantra che costantemente ci ripetono.

    • Igino Pitacco 20:00 on 13 December 2012 Permalink | Rispondi

      Caro Enrico, noto con piacere che hai ripreso a scrivere (poco) pubblicamente. Il tuo intervento, come al solito, è preciso e straordinario e dico che tu dovresti fare il Giornalista con la G maiuscola. Detto questo però non dimenticare che si beve Santoro, esattamente come chi si beve Travaglio, lo fà perchè gli piace ubriacarsi con quel vino e nessun medico riuscirà mai a convincerlo in base alla ragione, che si tratta di sostanza altamente tossica: il vino gli piace, lo fà star bene e ciò gli basta: è avariato? non importa a lui piace così. Quando uscì il tuo libretto, regalai una copia ad un mio caro amico, vero fan di Travaglio. Non lo lesse nemmeno (a parte le prime pagine) ed ancor oggi và vaneggiando gli splendori di Ingroia e del suo teste principale. A proposito, sei la persona giusta a cui chiederlo: se io affermassi pubblicamente che ” Ingroia è nel migliore dei casi un inetto” sarei perseguibile per diffamazione? Carissimi saluti. Igino

    • renzo fabris 21:18 on 22 December 2012 Permalink | Rispondi

      Carissimo Signor Enrix,
      Le porgo tanti auguri per un sereno Natale e un meraviglioso 2013.
      Però è dura aspettare tanto tempo tra un Suo articolo e quello successivo….

  • Avatar di enrix

    enrix 11:31 on 17 October 2012 Permalink | Rispondi  

    Ciancimino: Il mio arresto per calunnia? Se il metro fosse questo, a Travaglio darebbero l’ergastolo 

    di Enrico Tagliaferro e Antonella Serafini

    Ciancicimici – 1° parte

    Chissà se Sandra Amurri, giornalista del Fatto Quotidiano, sospettava di essere intercettata dagli inquirenti mentre chiacchierava al telefono con Ciancimino junior, verso le 17,30 dello scorso 21 giugno 2012. A leggere il verbale, non si direbbe. Ad ogni modo, non cada in ansia, la nostra giornalista: noi, di quella sua conversazione, riporteremo solamente stralci fedelissimi e senza modificare una virgola. Mica come lei, che esattamente una settimana prima di quella telefonata, fu colpita dalla censura del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti delle Marche a causa di una grave manipolazione (roba davvero di grande scuola) proprio di un verbale di intercettazione da lei ripreso in un suo articolo.

    La sua, fu una furberia sopraffina: la frase riferita dal mafioso Giovanni Risalvato, uomo di fiducia del boss latitante Matteo Messina Denaro, così come era stata intercettata dalle cimici degli inquirenti e quindi verbalizzata: so che lo fai con tutto il cuore però mi puoi aiutare più da lì.”, grazie al ricorso a raffinate arti manipolatorie, nell’ articolo diventò:so che lo fai con tutto il cuore, però mi può aiutare D’Alì.

    Pertanto quella che era una richiesta al suo uomo, da parte del boss Messina Denaro, di non lasciare la sua posizione per continuare a supportarlo in quell’area geografica, diventò magicamente un invito del boss al suo complice, affinchè cedesse il passo ad un “supporter” di tutt’altro carotaggio: il senatore del PDL, Antonio d’Alì, il quale invece con quella conversazione non c’entrava assolutamente nulla.

    Ora, andando con la mente al processo in corso a Palermo a carico del generale Mori e del Colonnello Obinu, qualcuno potrebbe porsi la seguente domanda:  ma dopo un carabiniere accusato dai colleghi di aver falsificato il verbale relativo ad un’operazione di osservazioni fotografiche a Mezzojuso (dove si dava per presente essendo invece assente), dopo un altro carabiniere già condannato in primo grado per aver falsificato la firma del proprio superiore al fine di evitare una multa dell’autovelox, dopo Ciancimino jr. ed i capolavori del Photoshop da lui consegnati agli inquirenti, sarebbe potuta mai mancare fra i testimoni dell’accusa una simile artista del bianchetto e dell’uso callido dell’apostrofo?

    Ma certo che non poteva mancare, e infatti c’era.

    Solo un paio di settimane prima della bacchettata infèrtale dal suo ordine professionale, la prode giornalista salì coraggiosamente sul banco dei testimoni, e riferì il contenuto di un’altra intercettazione, da lei recepita personalmente. Oddio, in verità non si trattava di una vera e propria intercettazione, ma del suo personale ricordo di una conversazione del democristiano Mannino udita, accidentalmente, al bar. Conversazione che però, noi siamo convinti, certamente ella riportò “alla lettera” e senza modificazioni, poiché laddove ci si può fottere dell’etica e dell’onestà professionale,  non ci si può invece fare beffe allo stesso modo del giuramento reso in un’aula di giustizia. Possiamo dormire tranquilli. Soltanto rileviamo che su Mannino quel giorno doveva incombere una sfiga particolare, se è vero che gli è capitato di confessare ad un amico al bar le sue magagne del passato (affermando poi ad alta voce che queste erano state smascherate da un Massimo Ciancimino del tutto veritiero, pensa un po’), e se gli è capitato di farlo in mezzo ai clienti del bar, gente fra cui si trovava casualmente una giornalista, la quale poi guarda caso era una giornalista del Fatto Quotidiano, e pure accreditata come fine manipolatrice di enunciati. Che altro sarà capitato a Mannino quel giorno, che noi non sappiamo?  Forse un fulmine che gli ha incenerito il retro dei calzoni, o un capitombolo sull’asfalto capitolino.

    Ma torniamo al centro.

    Dunque il 21 giugno scorso questa testimone del processo Mori, già prodiga nell’inserire scaltramente il nome di un senatore in un virgolettato, telefona ad un altro testimone dello stesso processo, già prodigo pure lui nell’inserimento malandrino del nome di un importante funzionario di Polizia in un grazioso fotomontaggio.

    Questa la cornice, questi i personaggi e le loro affinità. Veniamo quindi al contenuto della conversazione.

    La giornalista vuole innanzitutto un’informazione, dal Ciancimino, relativamente al regime di detenzione del padre Vito dopo il suo arresto del dicembre 92. In particolare vuole sapere se don Vito fosse al 41bis, nonché se, e soprattutto quando, questo gli fosse stato revocato, e da chi. In buona sostanza: alla Amurri interessa sapere se don Vito è stato alleggerito nell’ambito delle presunte concessioni fatte dal Ministro Conso a Cosa Nostra:

    Sandra AMURRI:                            …  Massimo, il punto è questo: la revoca  fatta .. firmata da CONSO per i 400, la revoca del 41bis, tuo padre c’era in quella lista?

    Massimo CIANCIMINO:    Dicono di si, questo, dicono di si, però mio padre di fatto.. no, allora, CONSO è 93, no?

    Sandra AMURRI:               CONSO è… è dopo le stragi, si.

    Massimo CIANCIMINO:    No.. CONSO è.. dopo le stragi, diciamo, in Italia

    Sandra AMURRI:             Eh, certo.. dopo le stragi del 92, certo..

    Massimo CIANCIMINO:    E mio padre non era più a 41bis

    Sandra AMURRI:               E allora chi glielo ha revocato sto 41bis?

    Massimo CIANCIMINO:    Non lo so

     Ma invece noi lo sappiamo, e avrebbe potuto saperlo facilmente anche la nostra investigatrice-testimone della trattativa, se invece di disturbare al telefono il rampollo Ciancimino, avesse lanciato una ricerca su “Google” con le parole “elenco”, “1993” e “41bis”. Le sarebbe comparso in prima fila il collegamento alla testata concorrente “L’Unità”, che, sin già dal mese precedente, aveva reso disponibili e consultabili online gli elenchi ufficiali, rilasciati dal Ministero, delle revoche e dei mancati rinnovi dei DM ex 41bis nel 1993 e successivi.

    In quelle pagine è scritto ben chiaramente, che il “DM 41bis” nei confronti di Ciancimino Vito Calogero, nato in Corleone, fu disposto il 7 gennaio 1993 (circa 3 settimane dopo l’arresto) ma SOSPESO dopo solo 2 mesi, il 9 marzo 1993, “SU RICHIESTA DELLA DDA DI PALERMO”.

    Quindi sospeso non per iniziativa di Conso, ma della DDA  (leggasi: dr. Caselli): ancora una volta, per i segugi del Fatto a caccia della “trattativa” e dei suoi indizi, un nulla di fatto. Anzi, una bella nasata.

    La Amurri quindi al telefono non ha le idee chiare e, ignara che si tratti della DDA di Palermo, si domanda chi sia mai stato il folle responsabile dell’alleggerimento del carcere duro a Vito Ciancimino, poco dopo l’arresto.

     Sandra AMURRI:             Eh, ma chi cavolo l’ha autorizzata questa cosa?

    Massimo CIANCIMINO:  Ah, non lo so.. anche perchè era tutto strano perchè mi ricordo.. era    una cosa strana perchè sembrava come se lui rimanesse al 41bis

    Sandra AMURRI:             In che senso?

    Massimo CIANCIMINO: Nel senso che da scheda di colloquio lo davano ancora al 41bis, però non lo era

     

    In realtà quello che per Ciancimino jr era un fatto strano, ha un’ovvia spiegazione: il DM ex 41bis emesso in carico a  suo padre, aveva scadenza naturale il 6 gennaio 1994, non fu revocato sino a quella data, ma fu però “sospeso” il 9 marzo 93 su richiesta della DDA. Poi, alla scadenza naturale, non fu rinnovato e quindi decadde.

     Sandra AMURRI:             Cioè, non lo era e tu da che lo hai notato?

    Massimo CIANCIMINO: Che potevo fare più di un colloquio al mese .. lui aveva dei regimi e non potevo fare pacchi, queste cose qui, da 41bis.. non potevo fare più colloqui .. poi addirittura, insomma, mi chiamava con il telefono dei Carabinieri .. era un regime particolare, credo fosse un’apertura per la sua collaborazione ..

     Siccome ci piace verificare ogni dettaglio, abbiamo contattato telefonicamente il generale Mori, e gli abbiamo domandato se per caso avesse memoria di un simile impiego del telefono dei Carabinieri, in cella in quel periodo, da parte di don Vito Ciancimino. Il generale ha rammentato e confermato la circostanza di una telefonata, una soltanto, fatta da don Vito al figlio Massimo in presenza dei magistrati, e nello specifico, del dr. Caselli. Per consentirgli di effettuare quella chiamata gli fu fatto utilizzare il telefono del capitano De Donno. Sempre e comunque in presenza dei magistrati.

    A questo punto della conversazione, Sandra Amurri, nell’impossibilità di cavare informazioni precise sul regime di detenzione di don Vito, va all’attacco, senza ulteriori indugi, su tutt’altro tema. Il tema più caro a tutti i sognatori, il mito con cui Massimo Ciacimino è riuscito ad incarnare in un solo essere dalle sembianze umane, tutte le cospirazioni che hanno devastato il nostro paese dopo l’occupazione nazista, e forse anche prima: il Sig. Franco.

    Sandra AMURRI:    … Senti, tu quando ti decidi, invece, a raccontare chi è sto Signor Franco?

    Massimo CIANCIMINO: Ma io ..

     La Amurri è piuttosto aggressiva, su questo argomento, ed intende chiaramente mettere alle corde il collega testimone, che ammonisce col vecchio metodo del “o così, o pomì”: o junior  tossisce il nome del Sig. Franco, o finisce di nuovo dritto in galera, e questa volta per restarci a lungo.

     

    Sandra AMURRI:             No, fermati.. fermati.. oppure pensi che ci sia qualcosa che valga di più della libertà nella vita di una persona?

    Massimo CIANCIMINO: No.. della vita.. della vita..

    Sandra AMURRI:             No, fammi parlare a me.. tu lo sai come finirai, no? Con le accuse che c’hai… allora nella tua testa proteggere un patrimonio o qualunque altra cosa

    Massimo CIANCIMINO: Ma che patrimonio…. il patrimonio me lo andavo (…) subito

    Sandra AMURRI:             Allora tu … allora se tu dici che sei in grado di dire o di arrivare a questa persona, perchè non lo dici?

    Massimo CIANCIMINO: L’ho fatto.

    Sandra AMURRI:             No, non l”hai fatto. Hai detto che era De Gennaro ed abbiamo visto com’è finita.

    Massimo CIANCIMINO: A parte che De Gennaro c’entra con tutto e poi questo si dimostrerà in aula insomma quello che c’entra con De Gennaro

    Sandra AMURRI:             Si, vabbè  .. ma non è questo il punto, Massimo, non far finta di non capirmi.. Io ti sto dicendo un’altra cosa, tu hai detto che sei in grado di individuarlo finalmente sto Signor Franco allora perchè non lo fai?

    Massimo CIANCIMINO: Sandra, non pensare che non ho fatto interrogatori in questi mesi .. per fortuna non si è saputo che li ho fatti, ma ne ho fatti parecchi.

    Sandra AMURRI:             Vabbè.. si sarebbe saputo se tu avessi detto chi è sto Signor Franco..

    Massimo CIANCIMINO: No..no.. per fortuna forse stavolta stanno usando un po’ il cervello

    Sandra AMURRI:             Mmm.. no no

    Massimo CIANCIMINO: Te lo dico io

    Sandra AMURRI:             Tu sappi che fai la fine di tuo padre, non mi pare che sia una bella prospettiva. Allora..

    Massimo CIANCIMINO: Perchè devo fare la fine di mio padre, non sono mai stato mafioso nella mia vita

    Sandra AMURRI:             Perchè.. ma che vuol dire? Perchè con delle accuse del genere passerai la tua vita in carcere, ma ti sembra normale? Ma che stai a dire?

    Massimo CIANCIMINO: Sandra, scusami, la fonte..

    Sandra AMURRI:             Eh?

    Massimo CIANCIMINO: Non per contraddirti, ma che accuse avrei?

    Sandra AMURRI:             Ma tu di che cosa sei accusato non lo sai?

    Massimo CIANCIMINO: Di concorso esterno per

    Sandra AMURRI:             Ah bhè, hai detto niente! Bhè, hai detto niente…

    Massimo CIANCIMINO: Sulle mie stesse dichiarazioni Sandra, sulle mie..

    Sandra AMURRI:             Non ha importanza.. comunque, tu finisci in carcere.. te lo dice Sandra, te l’ha detto Francesco LA LICATA, te lo dicono tutti.. detto questo, tu mi devi dire per quale razza di ragione una persona a questo punto..

    Massimo CIANCIMINO: Io tutto quello che so, Sandra, l’ho detto ai magistrati.. facciano l’uso che vogliono.. e io più di questo non posso dire..

    Sandra AMURRI:             vabbè, vedi tu..

     

    Qui la Amurri pare essersi arresa, ma subito dopo riparte, sempre con piglio deciso, tanto che ad un certo punto Ciancimino reagisce e gliele canta chiare: lui parla, a condizione che  non ci siano prevenzioni  o pregiudizi. Lui parla, ma per farlo esige un atteggiamento laico verso i suoi racconti e, aggiungeremmo noi, ovviamente anche verso i suoi fotomontaggi. Insomma, il messaggio è implicito ma chiaro: lui non ci sta più, a finire di nuovo  in galera per un lavoretto col photoshop.

    E vediamo con quali parole esatte egli chiarirà il concetto con la Amurri, e soprattutto quale dei colleghi della giornalista tirerà in ballo per rendere l’idea:

     

    Sandra AMURRI:             Senti.. io ti dico che .. che tu devi capire che le cose sai le devi dire

    Massimo CIANCIMINO: Eh, le ho dette.. (..) che elementi..

    Sandra AMURRI:             sennò tutto questo “bla bla”

    Massimo CIANCIMINO: vedremo anche elementi.. poi i processi li affronterò con la massima serenità.. guarda, sono di una serenità che non avete idea

    Sandra AMURRI:             Quindi tu stai dicendo che hai detto chi è il Signor Franco?

    Massimo CIANCIMINO:  Io non dico, nè confermo, nè dico niente..

    Sandra AMURRI:             ah!

    Massimo CIANCIMINO: .. dico che .. esatto, io dico che i magistrati hanno .. mi hanno interrogato ed io non mi sono mai sottratto alle domande dei magistrati.. come sempre. Ovviamente, quando ho elementi o non ho elementi si cerca di arrivare .. la situazione è ben altra.. la prevenzione verso quello che dico non ci deve essere .. se vedo che c’è un atteggiamento laico come ultimamente  c’è, va bene… perchè non si può essere arrestati per calunnia, l’unico in Italia.. cioè, al tuo collega Marco TRAVAGLIO gli darebbero l’ergastolo…

     

    Caspita, proprio vero che la gratitudine non è di questo mondo. L’unico e solo giornalista italiano che ha sempre e soltanto difeso con coraggio (è il caso di dirlo, davvero un bel coraggio) Ciancimino junior anche nei momenti di peggiore crisi, anche quando veniva rinchiuso in galera mentre gli portavan via dal giardino quei candelotti di dinamite che egli non ebbe il coraggio di consegnare neppure agli uomini della sua scorta, l’unico che in quell’occasione lo ha dipinto come un piccolo monello vittima di una banale marachella, era Marco Travaglio.

    Si, Marco Travaglio colui che per salvare Ciancimino dal pubblico ludibrio ha sempre sostenuto che a parte un paio di fotomontaggi il figlio di don Vito è trasparente come l’acqua.

    Travaglio quello che dal palco dei convegni narra degli inquietanti contenuti dei pizzini dattiloscritti di Provenzano, nonostante i periti abbiano detto chiaramente che la macchina usata per scrivere quei pizzini non era fra quelle note in uso a Provenzano in quel periodo, e nonostante alcuni di questi periti abbiano relazionato che il lessico di quei pizzini non è farina del boss di Corleone.

    Ciancimino è ben consapevole di tanto supporto ed attenzione, da parte del giornalista torinese.

    Lo fa presente all’amica Santa Sidoti, in una telefonata del 9 marzo 2012:

     

    CIANCIMINO Massimo:  Te l’avevo detto che il GIP è scemo totale, quello che.. vabbè…

    SIDOTI Santa:                   si.. .embhè…

    CIANCIMINO Massimo  Mi facesse l’avviso di garanzia, se pensa..anzichè   scrivere le cazzate

    SIDOTI Santa:                  Cioè…non è proprio carino per niente, è stato..

    CIANCIMINO Massimo:  Lo so, ma c’è un conflitto… vabbè, se ti leggi Il Fatto.. oggi Il Fatto li massacra a quelli di Caltanissetta

    SIDOTI Santa:                   Io provo ad aprirlo..su internet lo vedo?

    CIANCIMINO Massimo: No, lo devi comprare.. c’è un editoriale di TRAVAGLIO “Il silenzio degli innocenti”…bellissimo, tutto a mio favore..

      SIDOTI Santa:                   Vabbè… vado a provarlo a vedere

     

    E ancora il 29 agosto, al telefono con la moglie Carlotta:

     

    MASSEROTTI Carlotta:    no ma a noi che cosa ci interessa? tu te ne devi uscire …

    CIANCIMINO Massimo:    e … gliel’ho detto … dice a no invece questo è il momento tuo della rivincita …

    MASSEROTTI Carlotta:    no è il momento loro forse per diventare ancora più importanti …

    CIANCIMINO Massimo:    no ma anche tuo della rivincita … (incom) … TRAVAGLIA mi ha difeso a  spatrattatta [sic: leggasi “spada tratta”] in telev …

     

    Due giorni prima, il 27 agosto, Massimo conversava su skype con il compare Romano Tronci, e dichiarava il suo entusiasmo per una notiziona ricevuta fresca fresca (notizia che oggi sappiamo essere non vera, o che se comunque fosse stata vera oggi pare caduta vittima di un cambiamento di programma, chissà, forse proprio per la fuoriuscita di quest’intercettazione):

     

    Romano Tronci:                 sulla TRATTATIVA!

    Massimo Ciancimino:        ciao, ciao! E ora ottobre sarà il mese caldo!

    Romano Tronci:                 eh si eh?

    Massimo Ciancimino:        (….) SANTORO fa la prima puntata già! Ce ne sparerà tre credo!

    Romano Tronci:                 ah SANTORO su questa roba?

    Massimo Ciancimino:        si! Si spara tre puntate subito con TRAVAGLIO!

     

    Così… Travaglio, un nome, una garanzia.

    Oh, non sarà mica che l’idea che Travaglio sia un calunniatore, lo junior se la sia fatta proprio a furia di leggere e sentire  i commenti del calandrino sui pizzini e papellini che conosce meglio, e cioè i suoi, codesto bischero!

    Se così fosse, non potremmo eccepire facilmente, perché andremmo contro la parola di un esperto.

    Ad ogni modo nonostante questa doccia fredda, non pare che l’Amurri fosse colta più di tanto dall’ansia di reagire  alla suggerita prospettiva del proprio supervicedirettore carcerato. Anzi, riprende senza colpo ferire a strattonare il teste ben convinta che questo conosca il nome del fantasma, e lo fa usando la buona vecchia tattica del bastone e della carota. Più bastone, che carota, in verità.

     

    Sandra AMURRI:             No, ma non è questo fai tu.. decidi tu della tua vita .. va bene..

    Massimo CIANCIMINO: La storia è più brutta di quanto pensate .. non ne avete idea!

    Sandra AMURRI:             E vabbè, allora raccontala se è più brutta di come la pensiamo!

    Massimo CIANCIMINO: Si, devo prendere pure i vilipendi tutti… vadano loro avanti! Loro hanno elementi per andare avanti e vedere fino a che punto puzza la testa! Gliel’ho dati, vadano avanti!

    Sandra AMURRI:             Va bhè quindi stai dicendo che loro non vogliono andare avanti?

    Massimo CIANCIMINO: (incomprensibile)andare avanti secondo me ci vogliono elementi concreti non bastano le considerazioni o dire “quello è!”

    Sandra AMURRI:             Eh!

    Massimo CIANCIMINO: Eh, Sandra ho visto la fine che faccio! Ci vogliono consi/… ci vogliono certezze! Perchè sta gente è bravissima poi a trincerarsi che era un atto dovuto, l’hanno fatto per questo, l’hanno fatto per quello, per cui io insomma… ovviamente non mi tiro indietro…

    Sandra AMURRI:             Mah!

    Massimo CIANCIMINO: Non temo il processo la trattativa sono l’unico forse che lo vuole perchè secondo me sono convinto che non ci arriveranno mai (inc, forse “al varo” o “a alvaro”)

    Sandra AMURRI:             Va bhè! Staremo a vedere… ok!

    Massimo CIANCIMINO: E’ normale l’influenza di Napolitano cioè che dice…

    Sandra AMURRI:             Lascia stare queste considerazioni io ho solo detto una cosa rispetto a te, cioè con sta storia del Signor Franco.. prima ce l’ho, poi non ce l’ho, poi so chi è, poi so non chi è, poi questo e poi quell’altro, insomma…  alla fine non si è capito chi è, siccome tu hai detto che eri in grado di individuarlo..

    Massimo CIANCIMINO: Io sono ….aspetta, io ho detto che sono in grado di individuarlo e come individuarlo la Procura è a conoscenza .. ho detto tutto quello che dovevo dire.

    Sandra AMURRI:             No, veramente hai detto che era De Gennaro il Signor Franco

    Massimo CIANCIMINO:  no! Questo è una cosa che ha detto..che secondo me dietro.. il Signor Franco è un… allora, Sandra, seguimi un attimo: il Signor Franco..

    Sandra AMURRI:             (urla) Ma esiste o non esiste sto Signor Franco?

    Massimo CIANCIMINO: Certo che esiste

    Sandra AMURRI:             Bene, tu sai chi è?

    Massimo CIANCIMINO:  (..) non è una persona che io posso individuare, che c’ha un nome e lo so.. l’avrei detto..

    Sandra AMURRI:             Eh.. allora lo sai..

    Massimo CIANCIMINO: E’ una persona che con mio padre nella sua vita più di 10 minuti non si è riunita ..

     -   INTERMEZZO -

     A Roma mio padre incontrò il signor Franco, ricordo con assoluta certezza che in quel periodo vi furono molti incontri sia con lui che con il LO VERDE; questo anche perché il sig. Franco propose e fece avere un passaporto a mio padre… (dai verbali di deposizione di Massimo Ciancimino in procura a Palermo)

     

    Sandra AMURRI:             Va bene, tu non lo sai, allora! Allora tu non lo sai chi è, allora tu non sei in grado di dire chi è!

    Massimo CIANCIMINO: Io sono in grado di dire come ci si arrivare, e l’ho fatto.. stop. Facciano loro quello che vogliono.

     

    Insomma, detta così, pare che siano gli inquirenti, a non volere seguire per qualche ragione le precise indicazioni di Ciancimino jr per giungere finalmente al sig. Franco.

    Indubitabilmente  qualcuno saprà apprezzare questo punto di vista, nelle Procure di Palermo e Caltanissetta.

     Sandra AMURRI:             E come ci si arrivava, con De Gennaro!

    Massimo CIANCIMINO: Eh. Facciano loro .. non posso dire altro.. sono obbligato al segreto.. ok

    Sandra AMURRI:             Eh si vabbè.. però.. per mesi, mesi e anni l’hai detto dappertutto, in televisione di qua e di là, e non mi pare.. io non credo che i magistrati se tu avessi dato loro degli elementi veri e reali non lo avrebbero voluto identificare perchè non..

    Massimo CIANCIMINO:  No, ma stanno lavorando .. io sono stato interrogato la settimana scorsa e  due settimane fa, stanno lavorando..

    Sandra AMURRI:             Da chi sei stato interrogato? da Palermo?

    Massimo CIANCIMINO:  Palermo e Caltanissetta, vanno congiuntamente su questo.

    Sandra AMURRI:             Vabbè.. staremo a vedere allora, presto aspettiamo i risultati..

    Massimo CIANCIMINO:  Però secondo me se non se ne parla, Sandra, forse riescono a lavorare in pace (ride)

    Sandra AMURRI:             Vabbè, è ovvio..certo, per carità, devono lavorare in pace…

     

    Su questo siamo d’accordo anche noi. Più i PM potranno lavorare in pace, più il Sig. Franco si sentirà stringere nella morsa: ormai ha i minuti contati.

     1 – continua    

    pubblicato il 17 ottobre 2012 su LiberoReporter

     
    • Renzo C 14:42 on 17 October 2012 Permalink | Rispondi

      E la parte 2? :D
      Allora il Sig. Frallo sarà ospite da Santoro, magari assieme al Puparo?

      Gran bell’ articolo Enrico, e complimenti anche alla Serafini.

    • Luigi 16:59 on 17 October 2012 Permalink | Rispondi

      Bentornato!

      • Luigi 08:54 on 26 October 2012 Permalink | Rispondi

        Nella rubrica quotidiana di oggi su Libero Facci cita l’incidente della Amurri quasi negli stessi termini del vostro articolo. Che l’abbia saputo da voi?

        • Luigi 11:22 on 8 November 2012 Permalink | Rispondi

          Speravo intervenisse qualcun altro a sottolineare che qualche giorno fa (mi pare la settimana scorsa) Facci ha ripreso questo articolo quasi in toto, citando Enrix e la Serafini, in un articolo in prima di Libero.
          Presumo che tutti voi lo sapeste, ma hai visto mai…

          • Avatar di enrix

            enrix 09:16 on 10 November 2012 Permalink | Rispondi

            Caro Luigi, è vero, qui i commenti sono rari, cioè inversamente proporzionali al numero di letture. Si vede che il sottoscritto da poca soddisfazione nelle discussioni. :-) Ad ogni modo a proposito di questa querelle, invito chi non l’avesse ancora aftto a leggersi i commenti e la minaccia di querela della Amurri, e tutti gli interessanti commenti a seguire, sulla sua pagina di facebook, post del 2 e 3 novembre (3 post in tutto): http://www.facebook.com/sandra.amurri?ref=ts&fref=ts

            • Renzo C 16:31 on 10 November 2012 Permalink

              Impossibile visualizzare la pagina richiesta al momento. La pagina potrebbe essere temporaneamente non disponibile, il link su cui hai cliccato potrebbe essere scaduto o potresti non disporre dell’autorizzazione a visualizzare questa pagina.

              Se per leggere devo iscrivermi a fb, no grazie, passo.

              Ciao
              R

            • LIF 11:16 on 28 November 2012 Permalink

              Ciao Enrix,

              Gli articoli che avevi annunciato con “il segugio d’estate” non arrivano più? ;-)

            • Avatar di enrix

              enrix 19:00 on 9 December 2012 Permalink

              Arrivano, forse a Natale. Problemi personali purtroppo rallentano i miei rtimi di lavoro.

    • Paolo 22:03 on 17 October 2012 Permalink | Rispondi

      Ciao Enrico, ti ringrazio anche per i post su Mutolo.
      Prezioso.

  • Avatar di enrix

    enrix 18:23 on 30 August 2012 Permalink | Rispondi  

    Il “Contropapello” al microscopio

    Qualcuno ha cancellato la parola “Martelli” dal documento originale?

    by Enrix

     

    Ecco il cosiddetto “contropapello” (l’elenco delle “controproposte” di don Vito allo Stato, al posto delle “minchiate” scritte da Riina sul papello, almeno stando a quanto ci racconta Ciancimino jr.), nella versione originale in mano ai magistrati.

    Sul lato destro, il rettangolino ritagliato è stato prelevato dai periti ed utilizzato per gli esami di laboratorio finalizzati soprattutto alla datazione del documento.

    Preciso che questo documento E’ UNA FOTOCOPIA; l’originale non c’è, Massimo Ciancimino non lo ha mai consegnato.

    In merito a questo documento, su questo blog si è già scritto parecchio. Consiglio chi non l’avesse ancora fatto, di leggere preventivamente quest’altro mio articolo sulla datazione del documento (e soprattutto le considerazioni finali del presidente della Corte Fontana):

    http://segugio.daonews.com/2010/10/24/contropapello-fotocopia-nuova-su-carta-vecchia-2/

     

    Dunque, il percorso logico che ho seguito questa volta, è relativamente semplice.

    Innanzitutto, ho rilevato l’esistenza di scritte cancellate, presumibilmente con una gomma da cancellare. Alcune sono ben evidenti nella parte alta del documento:

    Il secondo passaggio, è stato quello di riscontrare che la scritta “Ministro guardasigilli” era mancante della “i” finale. Poteva essere stata omessa, ma anche, e più verosimilmente, cancellata in un eccesso di cancellatura, durante un altro intervento della gomma da cancellare.

    A questo punto, mi sono procurato una scansione del documento, formato 2848×4288, e l’ho processata con il sotware di elaborazione fotografica “Photoshop” (ebbene si, ce l’ho anch’io, mica solo i collaboratori di giustizia), nell’area successiva alla scritta “Ministro guardasigilli”, con le seguenti modalità:

    1) Ho incrementato la risoluzione dell’immagine da 300 pixel/pollice a 1500 pixel/pollice.

    2) Ho “invertito” l’immagine, ottenendo il negativo della stessa:

    3) Ho processato l’immagine con il contrasto, la luminosità, l’equalizzazione bilanciata e la desaturazione del colore per rendere più visibili i dettagli di ogni pixel dello sfondo:

    A questo punto, ho constatato che il “rumore di fondo” dell’immagine, composto in genere, nelle parti non scritte, da un insieme di punti più chiari e più scuri disposti casualmente, e quindi in “disordine”, in alcune zone invece assumeva la conformazione di “insiemi ordinati” di elementi più sfumati, tali da comporre verosimilmente delle figure curvilinee simili a delle lettere dell’alfabeto.

    Questo risultato è più o meno visibile a seconda delle lettere presenti, ma nel caso, ad esempio, di una lettera “l (elle)”, è ben visibile già ad occhio nudo. Nell’immagine seguente evidenzio con delle frecce i contorni di questa “l”.

       

    Quindi ho “scontornato” manualmente queste sagome più o meno evidenti, ed ho schiarito, conferendo luminosità , le aree scontornate, con questo risultato:

    Si noti, oltre alla comparsa della parola “Martelli”, anche la comparsa della “i” finale della parola “guardasigilli

    Vorrei che fosse assolutamente chiaro, (soprattutto per la serenità del dott. Martelli) che questa mia elaborazione fotografica, non può essere considerata in alcun modo come un elemento oggettivo o rappresentativo di alcunché, poiché è stata realizzata con metodologie ed apparecchiature dilettantistiche e da persona non accreditata in alcun modo ad effettuare attività scientifiche di accertamento grafico.

    Nel caso però la coincidenza della comparsa di una scritta di senso compiuto possa essere considerata degna di approfondimenti, allora ben altri test, e con apparecchiature ben più sofisticate, potranno essere all’uopo effettuati, e da persone ben più qualificate, per verificare se effettivamente siano presenti scritte nascoste o precedentemente cancellate sul documento originale, e soprattutto quali scritte, esattamente.

    La circostanza infatti mi pare meritevole di accertamento, se si pensa che, come l’inserimento di una parola, in questi documenti, può essere considerato significativo, a maggior ragione la cancellatura di una parola importante può rappresentare fatto di grande rilievo, del quale si dovrebbero cercare le cause e le motivazioni.

    Certo, se fosse disponibile il documento originale con tutte le sue brave scritte e cancellature, anziché una fotocopia, un accertamento tecnico sarebbe ben più agevole. Ma questo passa il convento, vale a dire Ciancimino jr., nonostante il documento originale sia stato da lui medesimo raccolto a suo tempo, allorchè decise di utilizzarlo per il suo libro, apponendo per l’appunto di sua propria mano la scritta “Allegato per mio libro”. Ma chissà dove sarà mai finito, quel povero contropapello originale.

    Di questo, oggi, ci dobbiamo quindi accontentare.

    Segugio

     

     

    CHE COSA HA DETTO CIANCIMINO A PROPOSITO DELLA SCRITTA “Ministro Guardasigilli”

    (dal verbale della seduta del 29/10/2009).

    (…)

    P.M.: Ancora, come documento nr. 3, noi rubricheremo quello che lei ci sta esibendo che si apre, è sempre un manoscritto con la dicitura… allegata, con la scrittura “Allegato per mio libro”…

    CIANCIMINO: Scrittura, preciso che la scrittura “Allegato per mio libro” fa part… è scrittura mia…

    P.M.: …e poi continua con i nominativi, con le diciture: MANCINO, ROGNONI, Ministro Guardasigilli… che… lei riconosce questa scrittura?

    CIANCIMINO: Sì, essere scrittura di mio padre, avevo riferito altresì su questo documento che trattava di una serie di controproposte che mio padre rendeva far conoscere ai due che già mio padre sapeva erano a conoscenza della trattativa, il Ministro MANCINO e l’ex Ministro, Ministro ROGNONI e ovviamente quello che diceva, la persona da interessare al fine di poter fare quanto meno auspicabili qualcuna di queste richieste, era il Ministro Guardasigilli per cui come eventuali mittenti aveva indicato queste tre persone: due che lui sapeva essere informati, il terzo come persona che secondo lui di fatto doveva occuparsene…

    P.M.1: Chiaro.

    (…)

     

     
    • Luigi 08:26 on 1 October 2012 Permalink | Rispondi

      Segugio, centellini i post, difficile scriverti i commenti, dove sei finito?

      • Avatar di enrix

        enrix 08:44 on 7 October 2012 Permalink | Rispondi

        Buongiorno Luigi, dovete scusarmi, ho almeno 6 articoli in anticamera, ma poco tempo per concludere e pubblicare questi lavori. E tanta stanchezza. Solo un po’ di pazienza, arriveranno. Un caro saluto.

  • Avatar di enrix

    enrix 09:45 on 22 July 2012 Permalink | Rispondi  

    Il peso delle parole 

    Sulla prima pagina di “Libero” di ieri  Filippo Facci, in dichiarata sintonìa col sottoscritto, ha lanciato una provocazione. Speriamo che porti a qualcosa di positivo.

    Il tema è piuttosto spinoso:  il riporto giornalistico, più o meno strumentale o più o meno infedele,  delle parole e dei pensieri dei nostri eroi di Stato, mediato o tramandato da chi gli era vicino allorchè essi erano ancora in vita.

    In questo caso a sollevare la nostra attenzione, è stato un “aforisma” attribuito a Paolo Borsellino e pubblicato come una lapide in decine di migliaia di pagine del web, che recita:

    Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.”

    In questi giorni di commemorazione del ventennale della morte di Paolo Borsellino, l’impiego di questo aforisma nelle pagine di internet, è letteralmente esploso. (cercandolo con google, compaiono migliaia di link).

    Sono state realizzate composizioni d’effetto, poster e immagini votive, e centinaia e centinaia di cittadini lo hanno inserito, in memoria del magistrato, nelle pagine dei propri blog, dei forum, dei profili, ecc.. ecc..

    La seguente composizione fotografica, su Facebook, ha superato le 10.000 condivisioni da parte di altrettanti utenti.

    Ma ve ne sono anche altre, altrettanto suggestive:

    Qualcuno poi ha realizzato delle composizioni artistiche di pregevole fattura, come il fotografo fiorentino Davide Bellanti che in questo suo scatto molto suggestivo ha inserito anche un’immaginaria riproduzione della famosa Agenda Rossa, aperta sulla pagina dove compare il nostro aforisma manoscritto e firmato in calce da Paolo Borsellino:

     

    Ora, tutto questo onorare e ricordare queste parole di Paolo Borsellino,  assume un aspetto un po’ grottesco se si pensa ad un piccolo dettaglio che ora noi, come già Filippo Facci nel suo corsivo su Libero, ci permettiamo di segnalare:  queste parole, scritte a quel modo, in realtà non possono appartenere a Paolo Borsellino.

    Per la verità c’è un solo episodio in cui Borsellino risulta avere espresso parole vagamente simili, ma, come vedremo ,dal significato molto diverso.

    A quell’episodio era presente soltanto la moglie, Agnese Leto Piraino, la quale lo ha raccontato con dovizia di particolari ai procuratori di Caltanissetta, il 18 agosto 2009.

    Quindi riportiamo la fedele trascrizione della parte di quel verbale di nostro interesse:

    AD.R. Ricordo perfettamente che il sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini senza essere seguiti dalla scorta.

    In tale circostanza, Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere.”

    Poco dopo, la teste precisa:  “ non posso negare che quando Paolo si riferì ai colleghi non potei fare a meno di pensare ai contrasti che egli aveva in quel momento con l’allora Procuratore GIAMMANCO.”

    Quindi:

    che l’episodio in cui Borsellino, a poche ore dalla morte, si confidò con la moglie sul proprio imminente assassinio lamentandosi del fatto che, per responsabilità di terzi, la mafia si stava trovando la strada aperta per realizzarlo, sia quello e soltanto quello oggetto di questa deposizione, non c’è alcun dubbio.

    Che Borsellino abbia fatto quell’affermazione riferendosi espressamente ai “colleghi”, allo stesso modo non può esservi dubbio in quanto la testimone fornisce una precisazione ben circostanziata a riscontro (… quando Paolo si riferì ai colleghi…), che non lascia spazio ad equivoci.

    Pare, di conseguenza, altrettanto incontestabile, che Borsellino abbia manifestato il suo sconforto alla moglie riferendosi specificatamente  al suo isolamento ed all’abbandono da parte di colleghi di lavoro e da parte di altri che, come loro, avrebbero dovuto invece supportarlo e proteggerlo (soprattutto a seguito del fatto  che le informative che erano pervenute in procura, le quali preannunciavano il suo attentato, gli erano state celate dal collega Giammanco, e Borsellino era venuto a saperlo).  E tutto questo,  senza sollevare mai, nelle sue parole,  la mafia dalla responsabilità della premeditazione dell’attentato “imminente”, perché questo, di fatto, dalle parole “pesate” dalla signora Agnese di fronte ai magistrati, non risulta essere avvenuto,  e noi non crediamo assolutamente che nella realtà possa essere avvenuto.

    Detto questo, bisogna dare atto che esistono altre versioni, in circolazione, di quell’episodio.

    Nella fattispecie, io ne conosco altre tre, tutte testualmente diverse l’una dall’altra. Delle altre due di queste, parlerò in un prossimo articolo, perché rappresentano di fatto qualcosa che va analizzato a parte e approfonditamente.  Ad ogni modo, si tratta di versioni più “sintetiche”, generiche e meno circostanziate, di quelle di cui ora parleremo, per cui per il momento possiamo trascurarle.

    La versione di cui oggi invece ci stiamo occupando, la più diffusa, definita come una “schifosa manipolazione” da Filippo Facci nel suo corsivo, compare, oltre che nelle decine di migliaia di citazioni lapidarie nei siti internet di cui abbiamo parlato,  in virgolettato e forse per la prima volta,  nel libro “L’agenda rossa di Paolo Borsellino” di Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco, (ed. Chiarelettere – 2007), ed è citata sia nella prefazione di Marco Travaglio (come segnala Facci), sia nel testo degli autori, i quali la raccontano così:

    “Agnese Piraino Leto nella sua deposizione al Borsellino ter dice che il marito, nei giorni precedenti alla morte, sosteneva di avere “capito tutto” della morte di Falcone. “Così diceva: ho capito tutto.” Oggi, a quindici anni di distanza, Agnese è più precisa: “Paolo era come uno che ha il cancro, sapeva di dover morire presto, aspettava di morire da un momento all’altro. Mi diceva: mi uccideranno, ma mi diceva anche: non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri“.

    Ecco, per la verità, Rizza, Lo Bianco, e il prefatore Travaglio,  non ci forniscono il minimo aiuto per capire quando, dove e come la signora Agnese sarebbe stata più precisa, a quella maniera.

    Si tratta di una dichiarazione resa forse in un’intervista rilasciata agli autori stessi? Si tratta di uno stralcio di qualche altro verbale giudiziario? Si tratta di qualcosa detto dalla signora Agnese a qualche convegno? Si tratta di un’informazione passata ai giornalisti da qualche intermediario terzo, magari un famigliare? Si tratta di qualcosa di inventato di sana pianta? Si tratterà di una versione veramente testuale, oppure arricchita e infiorettata?

    Noi, in tutta onestà, non lo sappiamo. Abbiamo effettuato un’umile ricerca in internet, nei nostri archivi personali, e negli archivi storici dei  principali quotidiani nazionali, e non abbiamo trovato null’altro che quel virgolettato di quel libro, in merito a quell’apporto testimoniale della signora Borsellino che, secondo gli autori, risalirebbe al 2007.

    Però una cosa certa la sappiamo: che, comunque sia, quelle pubblicate nel 2007 su quel libro, non possono essere state le parole di  Paolo Borsellino.  Proprio perché, se così non fosse, allora la vedova Borsellino avrebbe testimoniato il falso dinnanzi ai magistrati di Caltanissetta il 18 agosto 2009.  Infatti in quella deposizione la signora Agnese,  in regime di ammonizione formale perché dica la verità,  circostanzia esattamente l’episodio, e lo descrive come un giudizio del marito espresso con stretto riferimento all’atteggiamento di ignavia ed accondiscendenza soprattutto dei suoi colleghi relativamente  all’attentato imminente , e non come una dichiarazione del giudice riferita a presunti ignoti “committenti” della strage imminente, committenti diversi dalla mafia, come invece indicherebbe l’aforisma che tanto successo e diffusione ha ottenuto presso i cittadini.

    Insomma, delle due soltanto una può essere vera, e soltanto una compare su di un verbale giudiziario sottoscritto dalla testimone, per cui quella vera non può essere che questa , risalente all’agosto 2009.

    Se in quella riflessione Borsellino fece uno specifico riferimento all’atteggiamento dei colleghi, allora le parole che impiegò non possono essere quelle che oggi ovunque gli vengono attribuite a seguito della pubblicazione del libro di Rizza e Lo Bianco, dove quella parte centrale, quella sui colleghi, viene invece bellamente omessa e concettualmente stravolta. Questa evidenza, è oggettiva.

    E ciò a maggior ragione, se si guarda a quella strana affermazione: “La mafia non si vendica”.

    Potrebbe mai Paolo Borsellino aver pronunciato una cosa del genere? Noi, francamente, ne dubitiamo.

    Non c’è bisogno di essere uno dei massimi esperti di mafia come Paolo Borsellino, per sapere che la vendetta mafiosa non soltanto è qualcosa che esiste, ma è anche qualcosa che sta nel DNA stesso della mafia essendo proprio la vendetta una delle opzioni principali dell’organizzazione  per mantenersi autorevole nel suo regime di terrore.

    Molto difficile quindi accettare l’idea che Paolo Borsellino possa aver espresso un postulato del genere proprio con quelle esatte parole, perchè stridono con il suo pensiero e la sua professionalità, tanto che paiono più simili a quelle che si ritrovano in alcune leggendarie sortite,  del tipo “la mafia non esiste” o “qui ci sono solo pastori e braccianti agricoli”, che tutti conosciamo.

    Sic stantibus rebus, noi siamo d’accordo con Filippo Facci che provocatoriamente definisce le due versioni  una la manipolazione dell’altra, perché concettualmente è così: la versione propagandata si configura, a tutti gli effetti, come un’alterazione delle vere parole pronunciate dal magistrato,  anche se, come pare, sotto il profilo cronologico  dovrebbe essere nata prima la versione alterata rispetto a  quella veritiera, per cui si tratterebbe di un’alterazione non fisica ma concettuale: un modo molto sottile, quello di Facci, per richiamare l’attenzione sul fatto che decine di migliaia di cittadini, sulle loro pagine di internet, stanno onorando Paolo Borsellino  con la “santificazione”  di un aforisma composto da parole che non solo il magistrato potrebbe non avere mai pronunciato (o comunque certo non in quegli esatti termini), ma che, nel caso non le avesse mai pronunciate e fossero quindi false o  alterate, potrebbero arrivare anche ad apparire   come scientemente elaborate per favorire Cosa Nostra.

    La mafia infatti, grazie a quell’aforisma enormemente reclamizzato da cittadini ignari, dapprima ottiene grossi benefici a livello d’immagine,  mediante la notizia ripetuta in internet migliaia e migliaia di volte che essa non sarebbe usa a vendicarsi, dopodiché viene pure nettamente scagionata, direttamente dalla bocca di un virtuale Paolo Borsellino (che possiamo bene immaginare quanto sarà d’accordo, da lassù), dalla responsabilità della premeditazione della strage di Via D’Amelio, figurando solo come un sicario, una specie di sciocco, quasi ignaro, mero esecutore.

    Tutto ciò pare gravissimo, ma allo stesso modo inevitabile, in un paese dove, come dice Beppe Grillo, “i giornali sono medium, non media: fanno parlare i morti.

     
    • Nicola Conocchiella 16:53 on 22 July 2012 Permalink | Rispondi

      Per cercare di “squarciare” le “nebbie” che avvolgono tanti tragici eventi che hanno coinvolto, come Vittime e/o come “fautori” e/o “autori”, rappresentanti, Fedeli ed infedeli, delle “istituzioni”, piuttosto che “formalizzarsi” sulla diffusione di “dichiarazioni” più o meno aderenti a quelle “originali”, che, pero’, non alterano la “sostanza” dei fatti, non sarebbe molto più utile “tirare le orecchie” a chi, forte della propria
      “veste” istituzionale, non vuole permettere che Chi, facendo il proprio dovere, a distanza di venti anni, sta cercando il “bandolo della matassa”, conduca a termine il proprio lavoro, e fa di tutto per metterGli il “bastone tra le ruote”, forse, o certamente, per evitare che, magari, si scopra il nome di quegli infedeli, vigliacchi, personaggi, gli “altri”, “colletti bianchi”, “coinvolti” in queste stragi e che, magari, operano ancora nelle istituzioni !!?? Come al solito, noi italioti, vediamo il “pelo” negli occhi degli altri, ma non il “palo” nei nostri !!!

      • Avatar di enrix

        enrix 17:45 on 22 July 2012 Permalink | Rispondi

        No , caro Nicola, non sarebbe molto più utile. Vede, il fatto è che io, per quanto ho studiato tutti gli atti che conosco e per via del raziocinio, in cui nutro molta fiducia, sono convinto che quest’inchiesta, sia per come viene condotta sia per i suoi elementi intrinseci, ci stia allontanando completamente dalla verità dei fatti. Sono convinto che in quelle intecettazioni al fine delle indagini sulla trattativa non possa esserci nulla di rilevante, semplicmente perchè credo che la trattativa così come è stata teorizzata e come si vorrebbe cercare di dimostrare. nella realtà non possa essere esistita. Vedo invece una raffica di bufale e manipolazioni, tutte scientifiche e ben costruite, come questa (che la sostanza, mi permetta, la altera completamente, al contrario di quanto lei afferma, e produce effetti devastanti sull’opinione pubblica, stando al numero di condivisioni). Centinaia di falsi documentali, testimoniali, e soprattutto giornalistici, che io mi sento in dovere di snidare e classificare per dimostrare che questa teoria non solo è inconsistente, ma è pompata ad arte per mezzo della menzogna e della manipolazione. Il che significa, oggettivamente, che qualcosa non quadra, perchè una verità da sostenere “tutti uniti”, non ha bisogno del supporto del falso e della manipolazione. E’ un controsenso.

        • Giulio 13:53 on 25 July 2012 Permalink | Rispondi

          Salve enrix,

          Girando sul web ho trovato casualmente il suo blog dopo aver scritto “perizie scientifica ciancimino”.

          http://segugio.daonews.com/2010/10/13/ecco-le-perizie-sui-documenti-di-ciancimino-2/

          Volevo vedere con i miei occhi cosa ha detto la polizia scientifica sui pizzini portati in procura da Massimo Ciancimino. Purtroppo sul web di queste perizie non c’è traccia. Si possono trovare solo articoli di giornale. Neanche nel suo post si possono scaricare. Dice che “il prodotto non esiste”.

          Saluti.

          • Avatar di enrix

            enrix 09:37 on 26 July 2012 Permalink | Rispondi

            caro Giulio,
            purtroppo i file delle perizie ho dovuto ritirarli dal libero download, a seguito di una diffida che mi avvertiva di una possibile violazione della legge sulla privacy, poichè le perizie riportano una quantità rilevante di dati sensibili di cui mi è stata contestata la libera pubblicazione. Questi i fatti. Inoltre dovresti tenere presente che le perizie sono molte, e ci sono dei supplementi di perizia molto importanti (es: uno riguardante la ben nota “lettera a Fazio”) che al momento non sono nella mia disponibilità nella versione originale. Infine ci sono le perizie disposte dalla difesa, ed affidate a capacissimi periti, con esperienza nel RIS, che hanno aggiunto notevoli tasselli mancanti nelle perizie della procura.
            Per il momento quindi, per quanto riguarda le libere pubblicazioni, bisogna accontentarsi dei miei articoli, che riportano ampi stralci delle perizie. Spero che tu abbia letto questo mio lavoretto: http://segugio.daonews.com/files/2011/05/0d1bfb531b1a8a4e1608cc35c875d63e.pdf , ma per avere tutti gli elementi, credo che i miei articoli vadano sfogliati quasi tutti. In futuro rivaluterò forse la questione ai fini di una ripubblicazione di tutte le perizie, per il momento se vuoi ancora valutare con me la cosa, puoi scrivermi privatamente: pregodottore@email.it.
            un saluto.

        • Renzo C 16:20 on 25 July 2012 Permalink | Rispondi

          Caro Enrix, io sulla trattativa sto con Bianconi, e vedrai che non mi sbaglio ;)

          “Ora si va davanti a un giudice. Per stabilire se si tratta di una ricostruzione sorretta da prove sufficienti per celebrare un processo, solo un’ipotesi non riscontrabile, o pura fantasia su quel che accadde in Italia, vent’anni fa. Al tempo delle stragi di mafia.”
          http://www.corriere.it/cronache/12_luglio_25/clan-stato-estorsione-nuovo-patto-bianconi_2ca739a2-d61e-11e1-bdd2-f78a37bd7a67.shtml

          Ciao

          p.s. hai posta

    • Giano 15:57 on 29 July 2012 Permalink | Rispondi

      Son capitato qui per caso e leggendo l’articolo mi sono posto alcune domande. Se l’autore, come dice, è scevro di preconcetti gradirà.

      1) Quali sono state le posizioni prese dalla Piraino in seguito all’uscita del libro di Rizza, Lo Bianco? Mi sembra difficile credere che la vedova non abbia letto il libro dedicato al marito e riportante le di lei dichiarazioni (o mi sbaglio?). Se la Piraino ha nel tempo comunicato la sua contrarietà alle frasi attribuitele nel libro, questa diventa prova certa a carico degli autori. In caso contrario, per silenzio assenso, è lei stessa ad attribuirsi la paternità degli “aforismi”.

      2) Quali sono le dichiarazioni ufficiali della Piraino sulla vicenda in questione che menzionano i “colleghi” del marito? Insomma la signora Borsellino potrebbe non aver mai parlato dei “colleghi” fino al 2009.

      3) Messi da parte i “colleghi” le due frasi a confronto non mi sembrano così discordanti (considerando che la lingua italiana non è la matematica che pure non è esente da difetti, vedi th di Goedel). Non esiste un isomorfismo che trasformi i pensieri in parole. C’è un abisso tra quello che pensiamo e quello che diciamo e come questo sarà interpretato dall’interlocutore e come sarà poi espresso in forma scritta. Paolo Borsellino potrebbe aver posto l’accento sulla parola “altri” mentre la moglie ha percepito come più importante la parola “colleghi” per via del Giammanco. Oppure per sintesi in un’intervista avrà detto che erano altri a volere la morte del marito, intendendo con altri i colleghi ma non menzionandoli direttamente. Certo nella frase del 2007 sembra che gli altri siano i mandanti mentre in quella del 2009 gli altri e i colleghi sono solo favorevoli all’esecuzione mafiosa. Tuttavia la frase del 2009 inizia con “Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo” indicando comunque che i mandanti non erano mafiosi anche se l’accento potrebbe essere posto sulla continuazione lasciando più debole la parte iniziale.
      Daltronde ricordiamo che si tratta di ricordare episodi accaduti molti anni fa.

      PS: trattasi solo di domande che non hanno pretesa di voler sostenere questa o quella tesi. Sulla trattativa stato-mafia non ho formulato una opinione precisa. A naso mi pare possibile ma non traggo conclusioni affrettate senza prove evidenti (quello che dovrebbero fare anche certi giornalisti e magistrati).

      Colgo infine l’occasione per complientarmi del libro “Prego, dottore!” che sto iniziando a leggere con curiosità.

      • Avatar di enrix

        enrix 12:46 on 31 July 2012 Permalink | Rispondi

        Buongiorno Giano, certo che gradisco le domande. Di pregiudizio ne ho uno soltanto: MAI scontrarsi con la logica, e MAI accettare un’incongruenza lasciandola passare in cavalleria.

        Nel primo quesito lei mi chiede di riflettere sulla “posizione” della Piraino sull’aforisma pubblicato nel 2007. Ma tale “posizione”, vale a dire anche solo la sua opinione ammesso che se ne sia fatta una, è di nessunissima rilevanza. Anche ove ella concedesse, come dice lei, il suo “assenso” alla pubblicazione di quell’aforisma e se ne assumesse pubblicamente la maternità, ciò significherebbe semplicemente che allora anche lei stenta a comprendere il peso ed il significato delle parole, contribuendo così direttamente alla fabbricazione di un falso che non solo il marito non potrebbe avere mai pronunciato, ma non avrebbe neppure certamente gradito.
        Vede caro Giano, io parto da un presupposto estremamente semplice: che la signora Agnese nel 2009 abbia esposto il fatto davanti ai PM, dicendo ovviamente la verità con la necessaria precisione, trattandosi di una testimonianza formale. Un livello tale di precisione, da portarci a capire l’effettivo significato delle parole del marito. Un marito che poche ore prima aveva appreso di essere stato tradito da un collega in procura perché questi gli aveva tenuta nascosta un’informativa di polizia che era giunta per allertare dell’imminente attentato, e che pertanto dichiarava il suo sconforto per tale comportamento, arrivando ad ipotizzare una fattuale responsabilità, se non materiale, certamente morale di ciò che stava per accadere, proprio a tale comportamento dei colleghi. Il che non significa che egli per altre ragioni ed in altri momenti di riflessione, non ritenesse plausibile la complicità di altre parti istituzionali all’ostacolamento della sua attività o anche al suo omicidio: questo lo sappiamo sempre dalla vedova, quando ella afferma che il marito dichiarava il suo timore di essere osservato dall’Utveggio con un cannocchiale. Questo era naturale per lui pensarlo, in quanto si stava occupando di inchieste, ereditate da Falcone che era già morto per la stessa ragione, che coinvolgevano persone delle istituzioni, come ad esempio “mafia e appalti” (ragioni concrete e reali quindi, non favole o mere ipotesi come quella della “trattativa”). Tuttavia, per quanto riguarda lo sfogo di cui stiamo parlando, il senso delle parole è chiaro, tanto da indurre alla certezza che la frase pubblicata nel 2007 comporti un tale grado di travisamento, da indurre il sospetto di una maligna manipolazione. Se poi la signora Agnese possa o voglia percepire come tale detto travisamento e possa o voglia prendere posizione su di esso, questo non è rilevante, perchè dipende da fattori diversi che non hanno alcuna attinenza con il fatto in sé. Fra i fattori contano anche, ad esempio, lo stato di salute e la volontà di accendere polemiche con giornalisti come ad esempio Travaglio che da altri componenti della famiglia Borsellino, più politicamente impegnati, sono considerati intoccabili e quasi divini. A questo proposito, le segnalo altri precedenti. Quando ad esempio scoppiò nel 2001 la polemica giudiziaria sulla provenienza della famosa versione manipolata dell’intervista a Borsellino del 21 maggio 1992, i magistrati interrogarono i famigliari del magistrato, per avere elementi utili a stabilire l’origine di quel montaggio. Ebbene mi risulta che un famigliare di Paolo Borsellino piuttosto importante, che in questa sede non voglio nominare onde non accendere ulteriori polemiche, abbia testimoniato, a difesa del direttore di RAINEWS24, di avere fornito direttamente alla RAI la versione già montata a quel modo, conservata dai Borsellino, a suo dire, dal 94, anno in cui l’avevano visionata e quindi avuta in copia, in quello stato, da una giornalista dell’Espresso. Questa giornalista però è la Beria D’Argentine, che in un suo articolo successivo su La Stampa, mi pare nel 2003, afferma di avere avuto e concesso alla signora Agnese Piraino, quel giorno, non la versione “manipolata”, ma una versione integrale. Tanto che nell’articolo stesso vengono descritte alcune scene, visionate quel giorno del 94 da lei stessa insieme alla signora Agnese, che erano presenti solo nella versione integrale, e che quindi nessuno salvo chi l’avesse visionata, poteva conoscere. Come vede, ecco un caso in cui la signora Agnese avrebbe potuto dare il suo contributo per definire un importante dettaglio utile a stabilire un’importante verità, ma questo contributo non c’è stato. Anzi, dalla famiglia Borsellino è arrivata la testimonianza che ha scagionato gli uomini di RAINEWS24 da responsabilità soggettive. Il secondo caso, del tutto simile a quello affrontato qui nel mio articolo, è quello relativo alla famosa testimonianza su Subranni. Come lei potrà in seguito leggere con maggiori dettagli nell’articolo che sto scrivendo appositamente su questo argomento, la signora Agnese ha testimoniato che il marito tornò a casa turbato perché poche ore prima qualcuno gli aveva detto che Subranni era punciutu, cioè affiliato a Cosa Nostra. Quest’affermazione non significa però né che Subranni era effettivamente punciutu, perché era soltanto una soffiata fatta a Borsellino ancora tutta da riscontrare, né che Borsellino ci avesse creduto a prescindere, cosa impossibile perché Borsellino non avrebbe creduto ad una cosa del genere senza opportuni riscontri, neppure se gliel’avesse confidata la vergine Maria in apparizione, figuriamoci un mafioso pentito, o un collega della procura di Palermo. Ebbene, caro Giano, dal giorno di quella testimonianza, i giornali sono ormai passati serenamente e direttamente alla più ovvia delle manipolazioni: scrivere cioè che Borsellino aveva semplicemente “confidato” alla moglie che il generale Subranni era affiliato a Cosa Nostra, come se fosse stata un’informazione proveniente direttamente da Borsellino stesso. Esempio, il Fatto Quotidiano, e molti altri. Pare che effettivamente neppure la moglie Agnese, da recenti dichiarazioni, sia in grado di percepire o voglia percepire la differenza fra un marito che gli “confida di sapere” ed un marito che gli “dice che qualcuno (probabilmente un mafioso pentito, dice la stessa vedova) gli ha detto che Subranni era ecc.. ecc.. ”. Eppure la differenza è sostanziale, e sta in bilico tra la presunzione d’innocenza e la presunzione di colpevolezza.

        Noi purtroppo, con grande dolore e delusione, in tutta questa vicenda abbiamo dovuto prendere atto di alcune circostanze inerenti le affermazioni di famigliari, contro le quali non possiamo prendere posizione più di tanto per rispetto del magistrato, ma che purtroppo esistono.
        E’ un fatto ad esempio che alcuni famigliari del magistrato, continuino a plaudire e consacrare come eroi i due giornalisti francesi che intervistarono Borsellino il 21 maggio 2012, intervista dove al magistrato furono rubate riprese effettuate a sua insaputa, con telecamere nascoste dietro ai divani, e che in seguito manipolarono strumentalmente l’intervista storpiando le parole ed i pensieri del magistrato per scopi diversi da quelli di volere fare informazione o giustizia. Se qualcuno lo avesse fatto con mio padre o mio fratello, a parte le azioni investigative che riterrei conseguentemente doverose ed opportune, io gli sputerei in faccia. Ma non era mio padre o mio fratello, ma il loro padre e loro fratello, ed a loro va bene così. Se Borsellino non fosse morto quel nastro gli avrebbe probabilmente rovinato la carriera, a causa delle riprese fatte con la candid camera, ma per i Borsellino è tutto ok.
        Evidentemente paese che vai, usanza che trovi.

        2) Quali sono le dichiarazioni ufficiali della Piraino sulla vicenda in questione che menzionano i “colleghi” del marito? Insomma la signora Borsellino potrebbe non aver mai parlato dei “colleghi” fino al 2009.

        Irrilevante, la versione reale è quella del 2009. Se anziché parlarne nel 2009 lo avesse fatto nel 2017, si sarebbe semplicemente allungata la sopravvivenza di un falso. Da 2 a 10 anni.
        Inoltre, nel verbale di interrogatorio dell’agosto del 2009, non c’è traccia del famoso litigio fra Borsellino e Giammanco. La signora Piraino, ne farà cenno solo nella seconda deposizione, nel gennaio 2010. “A.d.r.: Confermo che il 28 giugno 1992 mio marito, il dott. Paolo Borsellino, si è incontrato sia con la dott.ssa FERRARO che con il ministro ANDÒ tornando da un convegno di Magistratura Indipendente che si era tenuto a Giovinazzo in Puglia. Il Ministro ANDÒ arrivò dopo il discorso tra Paolo e la dott.ssa FERRARO, e, se ben ricordo, i due non si incontrarono. Ricordo che eravamo insieme a mio marito in occasione di quel viaggio, e che al convegno e per tutto il viaggio siamo stati “superscortati”. Si trattò di una protezione molto stretta, che non era mai stata apprestata in questi termini per la sicurezza di Paolo. Non ricordo se vi era un appuntamento tra Paolo e la dott.ssa FERRARO. Ricordo che eravamo nella sala V.I.P. dell’aereoporto di Fiumicino. Ricordo ancora che l’aereo per Palermo partì con un’ora di ritardo proprio per la presenza di mio marito e gli accertamenti per la sua sicurezza che si resero necessari.
        In ogni caso, mio marito non mi fece partecipare all’incontro con la dott.ssa FERRARO. Anche successivamente, non mi riferì nulla, salvo quanto detto dal Ministro ANDÒ, che – per quello che mi venne riferito da mio marito – disse che era giunta notizia da fonte confidenziale che dovevano fare una strage per ucciderlo, e che ciò sarebbe avvenuto a mezzo di esplosivo. Mi disse che era stata inviata una nota alla Procura di Palermo al riguardo, e che ANDO’, di fronte alla sorpresa di mio marito, gli chiese: “Come mai non sa niente?”. In pratica, la nota che riguardava la sicurezza di mio marito era arrivata sul tavolo del Procuratore GIAMMANCO, ma Paolo non lo sapeva.
        Paolo mi disse, poi, che l’indomani incontrò GIAMMANCO nel suo ufficio, e gli chiese conto di questo fatto. GIAMMANCO si giustificò dicendo che aveva mandato la lettera alla magistratura competente, e cioè alla Procura di Caltanissetta. Mi ricordo che Paolo perse le staffe, tanto da farsi male ad una delle mani, che – mi disse – battè violentemente sul tavolo del Procuratore.”

        3) Messi da parte i “colleghi” le due frasi a confronto non mi sembrano così discordanti …

        Le frasi sono completamente diverse. La prima rappresenta a tutti gli effetti un’ingiustificata forma di supporto a Cosa Nostra, attribuita, sacrilegio, a Paolo Borsellino. La seconda è realistica, e coincide con i fatti e con la personalità del magistrato, e non scagiona per nulla Cosa Nostra dalle sue effettive responsabilità.
        Ammesso che Borsellino abbia effettivamente detto, testualmente, che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, è chiaro che è ricorso semplicemente ad una ridondanza, per voler dire che potendo sfuggire alla morte se solo i colleghi fossero stati corretti con lui, nel caso fosse stato ucciso dalla mafia la responsabilità sarebbe anche ricaduta su chi l’aveva isolato e non aiutato o informato a dovere, onde evitare l’attentato, rendendolo così possibile. La versione “aforisma” invece, proviene da un improbabile Borsellino che ritiene la mafia una specie di onorata società di mutuo soccorso, più evangelica che vendicativa, praticamente lontanissima dal volergli torcere un capello senza ordini dall’alto.
        Quindi una favola per bambini scemi.

        La ringrazio per leggere “Prego Dottore”, tenga presente che è un libro del 2010, che contiene tesi poi confermate da fatti e perizie accadute successivamente alla sua stesura e pubblicazione.

        Quindi, parte del capitolo 7 è aggiornata qui:
        http://segugio.daonews.com/2010/11/13/ecco-che-cosa-ha-rivelato-esattamente-ciancimino-junior-2/

        Il capitolo 9 rivisto ed ammodernato, è pubblicato qui: http://segugio.daonews.com/2011/04/24/bubbole-e-pupari/

        Ed infine sugli aggiornamenti di perizia dei documenti analizzati nel libro:
        http://segugio.daonews.com/2010/10/04/la-fabbrica-dei-tarocchi-2/

        Cordiali saluti

    • Renzo C 18:45 on 28 August 2012 Permalink | Rispondi

      Caro Enrico,
      perdona l’ OT, neanche poi di molto ot, visto che il titolo è “Il peso delle parole”
      Ieri sera il caro Marco su La7 ha ribadito di nuovo che su 51 stracci di carta di Ciancimino solo UNO è falso, e ci sono le perizie della scientifica che lo dimostrano.
      Penso tu abbia visto la trasmissione, anche se poteva far ridere o piangere (io ho riso, ma ci si poteva pure *beeeep* molto per quel che ha detto)
      Se non l’ hai vista il link è questo:
      http://www.la7.tv/richplayer/index.html?assetid=50278911&pmk=wall

      Ciao

      Renzo C

      • Avatar di enrix

        enrix 18:38 on 30 August 2012 Permalink | Rispondi

        Su LA7 volano un mucchio di minchiate su questo argomento, quindi Travaglio si sente perfettamente a suo agio. Nessun contradditorio con persone esperte, naturalmente, se ne guardano bene. Mettere Ferrara come antagonista è fargli un favore. Non che per istinto non sia in grado di capir le cose, ma i dettagli tecnici non li conosce.
        Comunque è una storia molto complessa. La mistificazione fa il gioco di molti, credo anche di Mancino e compagnia, paradossalmente.

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