Le 12 inquietanti, irrisolte, questioni sulla famosa intervista a Paolo Borsellino

Da alcuni giorni, nel sito 19luglio1992 di Salvatore Borsellino, si può leggere quanto segue: “Nel pomeriggio [del 21 maggio 1992] nella sua abitazione di via Cilea a Palermo Paolo Borsellino rilascia ai giornalisti francesi Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi un’intervista in cui menziona alcune delle “teste di ponte” della mafia al nord Italia. In particolare Borsellino cita il mafioso Vittorio Mangano e ricorda i suoi rapporti con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Borsellino dice inoltre che a Palermo è in corso un’inchiesta aperta con il vecchio rito istruttorio che vede coinvolti Mangano Vittorio, Dell’Utri Marcello e Dell’Utri Alberto. Questa inchiesta, della quale Borsellino dice di non occuparsi personalmente (Borsellino ha la delega solo per Trapani ed Agrigento), dovrebbe concludersi entro ottobre dello stesso anno.”

Naturalmente si tratta di una distorsione dei fatti, perché Borsellino cita Mangano solo perché gli viene chiesto espressamente di farlo, e riguardo ai suoi rapporti con Marcello dell’Utri e Silvio Berlusconi, sollecitato sull’argomento, egli dice solo e soltanto di non saperne nulla di nulla.

Per far credere il contrario, come è noto, qualche criminale ha dovuto manipolare il video, e soprattutto l’audio.

 

Ma non è di questo che voglio parlare, bensì “dell’inchiesta aperta con il vecchio rito istruttorio che vede coinvolto Marcello Dell’Utri”.

In realtà, pare non vi fosse nessuna inchiesta, infatti della stessa non v’è traccia negli archivi.  Com’è dunque possibile che Borsellino abbia parlato dell’esistenza di un’inchiesta che non risulta invece essere esistita?

Questo è il punto centrale di tutta la vicenda.

Vediamo di capire i fatti.

A gennaio del 2010, Dell’Utri chiese l’annullamento del suo processo, poichè nella versione “ampia” dell’intervista a Paolo Borsellino pubblicata a dicembre in DVD dal Fatto Quotidiano, si poteva osservare che il magistrato armeggiava con una cartellina di appunti in cui aveva preso nota, nelle ore precedenti e su espressa richiesta preventiva dei “giornalisti” francesi, di eventuali indagini a carico di Mangano e Dell’Utri.  Quelle di cui appunto stiamo parlando.

A domanda dei giornalisti, Borsellino esamina gli appunti (e non poteva fare  diversamente, poichè, come si può chiaramente vedere nell’intervista, egli neppure sapeva distinguere, quale iscritto ad indagine,  fra l’uno e l’altro dei due fratelli Dell’Utri, checché ne dica Salvatore Borsellino), e riferisce, dopo aver letto  le note (che poi sapremo, da altra parte dell’intervista, essere la stampa del registro informatico della procura), essere in corso un’inchiesta a carico di “entrambi i fratelli Dell’Utri” e che tale inchiesta era condotta dal magistrato Guarnotta .

A quel punto dell’Utri si precipita a presentare il ricorso che ho detto, poichè egli non sapeva nulla di quell’inchiesta in precedenza, ma da ciò che ora aveva veduto, rilevava che per legge il Guarnotta non avrebbe potuto giudicarlo (così com’era accaduto), causa incompatiblità, avendolo egli indagato in tempi precedenti in diversa veste.

Quindi Dell’Utri dice, in sostanza: Borsellino mostrava, in quella ripresa video, una stampa del ruolo della Procura che indicava l’esistenza di un’indagine in corso da parte di Guarnotta a mio carico. Quindi Guarnotta non poteva giudicarmi in Corte d’Assise, e quindi il processo è viziato.

MA IL RICORSO DI DELL’UTRI FU RIGETTATO DAI MAGISTRATI DELL’APPELLO. Perchè? Semplice. Perchè stando agli stessi archivi, non era mai esistita alcuna indagine. Memorabile il commento in aula del P.G. Gatto: “Nel nostro codice non esiste ancora il procedimento invisibile e se Dell’Utri avesse avuto un carico pendente già da prima NE SAREBBE RIMASTA TRACCIA.

 

Allora, vediamo di ricapitolare. I giornalisti francesi nell’imminenza dell’intervista, chiedono a Borsellino di predisporre, perchè sarebbe stato oggetto dell’intervista, una verifica nel ruolo della Procura in relazione ad eventuali inchieste in corso in carico a Dell’Utri e Mangano.  Borsellino effettua la ricerca, trova l’annotazione di un’indagine nel ruolo della procura, a carico di dell’Utri, e fa una stampa.  Quando i giornalisti suonano alla sua porta quella famosa mattina di maggio, Borsellino li riceve annunciandogli di avere estratto le notizie che essi gli avevano sollecitato di ricercare. Da queste notizie, afferma Borsellino, emerge l’esistenza di un’inchiesta in capo a Marcello Dell’Utri gestita dal PM Guarnotta: quindi consegna ai francesi l’estratto dell’archivio.

18 anni dopo, Dell’Utri viene a sapere di tutto questo, e dunque avanza ricorso. Gli viene risposto che non è mai esistita alcuna inchiesta, poichè non esistono inchieste invisibili e di quell’inchiesta negli archivi non c’è traccia.

A questo punto, io vedo solo tre spiegazioni (se qualcuno ne vede altre, mi faccia sapere):

1) Paolo Borsellino ha mentito oppure ha preso una cantonata (ma vediamo di scartarla subito, questa prima ipotesi, eh? Credo siamo tutti d’accordo)

2) Qualcuno, diciamo la solita abile manina, ha fatto sparire dagli archivi e dai registri del tribunale, in tempi più o meno recenti, ogni traccia dell’inchiesta, comprese le righe ed i dati stampati a suo tempo da Paolo Borsellino. Quindi l’inchiesta è effettivamente esistita ma è così divenuta invisibile, con buona pace del Procuratore Generale. Su questa seconda ipotesi, però, bisogna fare una precisazione. Il ruolo della procura, dovrebbe essere (qualcuno mi corregga se sbaglio) un registro-protocollo, a numeri progressivi. Una volta che si è “scritto” il numero di un procedimento ed il suo titolare (in questo caso Dell’Utri), probabilmente è possibile rettificare la descrizione della pratica, ma il numero progressivo ed il nome dell’indagato non si possono sopprimere tout-court. Ciò significa che se io decido di far “sparire” la descrizione di un’indagine dopo 10 anni dalla sua iscrizione, lo debbo fare sostituendola con la descrizione di un’altra, che però dovrebbe, a quel punto, giacere in attesa di registrazione, anch’essa più o meno da 10 anni, senza essere stata registrata in precedenza. Trovare invece un fascicolo recente, che si adatti per contenuti ad essere registrato con simili retrodatazioni, dovrebbe essere praticamente impossibile.

3) Non c’è effettivamente mai stata nessuna inchiesta (d’altro canto, c’è qualcuno al mondo in grado di riferire quale fosse l’oggetto di questa fantomatica inchiesta?).

Ma qualche furbacchione, ha predisposto l’inserimento di dati relativi ad un’inchiesta “fittizia” al ruolo della procura (bastano due righe di dati, inserite nei computer di quello che Borsellino definiva “un nido di serpenti”) proprio, guarda caso, nell’imminenza della verifica che Borsellino avrebbe fatto su invito dei due “giornalisti” francesi, per poi cancellarla, quella registrazione, subito dopo l’accesso di Borsellino, e sostituirla assegnando il suo numero di ruolo ad un fascicolo fresco ed autentico. Così il trucco è molto più facile, che non cancellare o manomettere i dati relativi ad un’inchiesta vera, autentica, e fascicolata, magari dopo anni. Ed il magistrato non si sarebbe mai accorto di quella losca operazione di cui egli era vittima inconsapevole, perchè di lì a poco si sarebbe incontrato con il tritolo.

 

La terza naturalmente, è una pura ipotesi, ma che se fosse vera potrebbe suggerire un’altra ipotesi, in ricaduta, ancora più inquietante: che qualcuno possa aver cercato di allestire uno scenario che di lì ad un paio di mesi sarebbe potuto divenire tanto realistico quanto utile: quello di un Paolo Borsellino ucciso proprio quando la sua attenzione era concentrata in qualche modo su Silvio Berlusconi e Marcello dell’Utri indagati, A DETTA DELLO STESSO MAGISTRATO, alla procura di Palermo.

Per potere cucinare quella polpetta, sarebbero occorsi soltanto due ingredienti: un documento che ritraesse Borsellino mentre parlava, carte alla mano, di inchieste in corso a carico di dell’Utri e Berlusconi, e quindi, subito a seguire, il suo assassinio.

Se qualcuno avesse avuto pertanto, in qualche modo, informazioni sull’imminenza del secondo, avrebbe potuto cogliere al volo l’opportunità per organizzare repentinamente la preparazione del primo ingrediente, così da poter cucinare una magnifica polpetta.

Ma chi avesse potuto concepire un simile piano, non avrebbe potuto che aspettarsi che difficilmente il giudice avrebbe accettato di mostrare in una telecamera documenti “non ostensibili” perché coperti dal segreto istruttorio, o che ne avrebbe parlato con disinvoltura, pur sollecitato a farlo. Bisognava quindi, giocoforza, attrezzarsi tecnicamente in maniera da potere essere pronti ad effettuare riprese “candide”, cioè all’insaputa del giudice.

Ed infatti, guarda caso, così è avvenuto.

Nella versione manipolata, per fabbricare sequenze ove il video e l’audio sono asincroni, si sono dovute usare riprese ove il “labiale “di Borsellino non risulta visibile (diversamente, il dissincronismo avrebbe tradito il montaggio). Tali riprese sono risultate disponibili, grazie all’impiego, in quel convegno ben progettato, di una o più “candid camera” collocate in posizione “discreta” rispetto alla postazione del magistrato, e ad una distanza tale che difficilmente il poveretto poteva averne percezione. Inoltre sia nella fase iniziale che finale dell’intervista, le telecamere non ancora posizionate per dar corso alle riprese ufficiali o persino, a intervista ultimata,  posate sul pavimento, appoggiate di lato, sono comunque sempre, guarda caso, attive, vale a dire col pulsante “rec” inserito. (“pur accese”, spiega Travaglio in premessa nel suo DVD, con nonchalance, come se fosse una cosa normale).

Pertanto, quando il giudice crede evidentemente di parlare “off the record”, tanto inconsapevole della situazione da arrivare tranquillamente a consegnare, in violazione del riserbo istruttorio, una stampa dell’archivio della procura con la rituale raccomandazione “non dite che ve l’ho data io”, egli viene invece subdolamente registrato.

 

Sino ad ora, ho soltanto mescolato fatti ad ipotesi, e non ho certo la pretesa di aver provato nulla.  Ma d’altro canto parliamoci chiaro: ci sono degli aspetti, in quest’intervista, che trovo semplicemente incredibile non si sia mai voluto chiarire, specie nelle opportune sedi giudiziarie, e tali aspetti li posso sintetizzare in 12 domande alle quali si dovrebbe cercare di dare risposte convincenti:

1) Perché i 2 “giornalisti” francesi hanno cercato, con il pretesto di volerlo intervistare in tema di mafia e criminalità, un magistrato dal passato tanto denso e dalle esperienze tanto straordinarie come Paolo Borsellino, per poi non rivolgergli neppure una, dico, NEANCHE UNA domanda pertinente la sua propria attività, le sue battaglie più importanti e la sua diretta esperienza?

2) Perché gli hanno invece domandato soltanto di vicende di cui non si era occupato personalmente, o di altre di cui non si stava occupando e non era neppure a conoscenza?

3) Perché tutte le domande vertevano su due personaggi, Berlusconi e Dell’Utri, di cui Borsellino non si era mai interessato né si interessava, e su un terzo personaggio, Vittorio Mangano, che nell’esperienza del magistrato rimaneva un personaggio del tutto marginale?

4) Perché mai, nonostante le molte volte in cui Borsellino si è visto obbligato a ribadire che le domande che gli venivano poste non riguardavano vicende di cui si stava occupando, non gli è mai stato chiesto NEPPURE UNA VOLTA, di che cosa dunque si stesse occupando in quel momento storico?

5) Che fine hanno fatto fare, i due “giornalisti” francesi, alla stampa d’archivio del PC della Procura, che Borsellino gli consegnò dicendo “non dite che ve l’ho data io”? Perché non l’hanno mai tirata fuori? Qualche magistrato italiano, magari di quelli che cercano la verità scalando le piramidi del 4° e 5° livello, gliel’ha mai chiesta?

 6) Nel video manipolato trasmesso da RAINEWS 24, si ode Calvi porre al giudice questa domanda: ““Non le sembra strano che certi personaggi, grossi industriali come Berlusconi, Dell’Utri, siano collegati a uomini d’onore tipo Vittorio Mangano?”. In realtà, tale domanda non fu mai posta a Paolo Borsellino, ma venne registrata e copia-incollata in studio, in post-produzione, forse anche in fase postuma. Domanda: se è vero che, come hanno sempre detto i due “giornalisti”, dopo aver realizzato l’intervista si decise poi, subito a seguire, di non farne più nulla e di abbandonare il progetto (scusante accampata: il prematuro fallimento della società di produzione), per quale ragione dunque Fabrizio Calvi si è successivamente preso la briga di partecipare attivamente ad una rielaborazione dell’audio, inventandosi di sana pianta una nuova domanda davanti ad un microfono, per dare così a quell’intervista l’aspetto di una fiction?

 7) Quando è stata compiuta esattamente, tale operazione? Quella domanda mai esistita, quando è stata registrata in studio? Prima o dopo la morte di Paolo Borsellino? E se fosse vero il primo caso, cioè se fosse stata registrata PRIMA: come poteva sperare un “giornalista” di poter utilizzare impunemente un’intervista realizzata con domande post-prodotte e montaggi di riprese occulte, se Borsellino fosse rimasto in vita?

 8) Quel lavoretto di post-produzione, è stata un’iniziativa personale di Calvi, oppure gli è stato commissionato da qualcuno? E se si, da chi?

9) Perché sono state effettuate riprese con una “candid camera” remota? Perché nella fase “off the record” dell’intervista, la telecamera appoggiata sul pavimento è stata lasciata accesa senza che Borsellino ne fosse consapevole? Che cosa ci si aspettava di immortalare?

10) Se è vero che, come dice il PG Gatto, non c’è traccia negli archivi della procura di un’inchiesta di Guarnotta in capo a Dell’Utri, come potevano i due “giornalisti” ipotizzare la sua esistenza, tanto da invitare Paolo Borsellino a predisporre per l’intervista una stampa d’archivio che la dimostrasse? Quale fonte gli avrebbe suggerito la possibilità di una sua esistenza?

11) Nella versione “integrale” pubblicata in DVD dal fatto Quotidiano, sono evidenti tagli dell’intervista, anche consistenti (osservando le sfumate e l’orologio dello studio, se ne vede bene persino uno di circa 20 minuti). Che cosa si è detto in quei venti minuti? Perché sono stati tagliati? E una volta tagliati, quei venti minuti, sono stati distrutti oppure conservati?

12) Perché si è permesso che nei vari processi per la strage di Via D’Amelio i magistrati valutassero le possibili connessioni fra quest’intervista ed i presunti moventi della strage, soltanto sulla base della versione televisiva manipolata, anziché sulla versione integrale che non è mai stata consegnata e quindi mai acquisita, e della quale invece si è fatto commercio attraverso un giornale, soltanto anni dopo, a processi ultimati? (infatti, in quei processi, su quest’intervista sono state dette e scritte un mucchio di sciocchezze ed inesattezze, fondandosi esse sulla valutazione di un documento falsificato).

 

EPILOGO

Nel ripensare a quegli ultimi 59 giorni di vita di Paolo Borsellino successivi a quest’intervista, già di per se abbastanza angoscianti per il magistrato, tutti ci auguriamo che non gli sia capitata l’occasione, lavorando al computer, di buttare l’occhio sul registro per vedere se c’erano novità su quelle inchieste che interessavano tanto a quei giornalisti che, a giudicare dalla sua evidente disponibilità, dovevano tanto bene essergli stati presentati.  In quel caso potrebbe essergli capitato di riscontrare, ad esempio, che ciò che poco tempo prima aveva stampato, magari era sparito, senza, come ci spiega oggi il Procuratore Gatto, lasciare traccia.  Se fosse accaduto questo, egli non avrebbe certo tardato a porsi alcune inquietanti domande, rimanendone profondamente turbato.

Anche tanto da arrivare a pensare che qualcuno, forse un amico, lo aveva tradito, cioè gli aveva giocato un brutto tiro.

Enrix