Egr Sig Pippo Giordano
Egr. Sig. Pippo Giordano,
nel suo recente articolo “Il mafioso della porta accanto”, lei afferma di sperare di trovare qualcuno che le “spieghi, perché tutto ad un tratto, secondo il procuratore Grasso, la certificazione antimafia richiesta alle ditte o società, non sembra più essere necessaria.”
E dunque, io vorrei provare a spiegarglielo.
Per farlo, bisogna innanzitutto capire che cos’è la “certificazione antimafia”, da chi viene richiesta, e dove si produce.
Secondo la sintesi fornita dal Ministero, la certificazione antimafia serve ad attestare “l’assenza di cause di decadenza , di sospensione o di divieto – di cui all’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575- e di tentativi di infiltrazione mafiosa – di cui all’art. 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490- nei confronti dei soggetti che intendono instaurare rapporti con la pubblica amministrazione.”, e si richiede in prefettura.
Ciò significa, in parole semplici, che se in capo ad un’impresa, e vale a dire alla sua compagine societaria o amministrativa, viene attivato un procedimento per infiltrazioni mafiose tale da comportare decadenza o sospensione della sua attività, ciò viene segnalato in una banca dati che la Prefettura è competente a visionare e pubblicare, su richiesta di un altro Ente Pubblico, MA SEMPRE PER IL TRAMITE DI UN’IMPRESA, candidata a fornire o a costruire a seguito di appalto.
Questa procedura, mi ricorda una vecchia barzelletta che circolava nel secolo scorso su di una cittadina di provincia del nord-Italia, secondo la quale il Comune, avuta segnalazione della presenza di un grosso chiodo appuntito fuoriuscente dall’asfalto di una via centrale, anziché rimuovere il chiodo apponeva un bel cartello: “Attenzione-pericolo: chiodo”.
Le pare possibile che circa 130.000 (CENTOETRENTAMILA, ed alla fine del 2007 erano 160.000, spero che questo dato la faccia riflettere) imprese italiane, (all’interno delle quali il numero di quelle sospese o decadute per mafia è, secondo la terminologia dell’analisi matematica, tendente a zero), quante cioè sono quelle iscritte alle Casse Edili nazionali, siano obbligate a sottostare a questo iter presso un Ente pubblico (la Prefettura), impegnando tempo, persone e risorse, per dimostrare ad un altro Ente pubblico (quasi questo appartenesse ad uno Stato diverso da quello per cui operano le Prefetture) per il quale intendono lavorare o fornire, di non avere in capo cause di decadenza o sospensione, a seguito di attività mafiose espletate nel proprio ambito? Mi permetta di dirle cosa penso in tutta franchezza: se io fossi un mafioso, mi farei delle grasse risate. Riderei in modo grasso, davanti ad uno Stato incapace di isolare ed annichilire un’assoluta, percentualmente insignificante, minoranza di imprese mafiose (le quali tra l’altro, rispetto alla vera e moderna mafia imprenditoriale rischiano di essere soltanto uno specchietto per le allodole), se non facendolo soltanto “sulla carta”, mediante una procedura che obbliga, quotidianamente, CENTINAIA DI PERSONE ONESTE e che dovrebbero invece impiegare quel tempo per produrre, a sfilare in processione nelle varie prefetture con timbri e marche da bollo.
Ma il peggio è, caro Giordano, che se io le domandassi, a freddo, di mettere la mano sul fuoco che fra quelle imprese, decine di migliaia, tutte regolari, non vi sia qualche impresa controllata comunque dalla mafia per il tramite di insospettabili prestanome, o comunque mafiosa ma penalmente illibata, e quindi certificabile, lei questa mano non la metterebbe di certo, ne sono strasicuro. E allora, caro Giordano, siamo proprio sicuri che questa “certificazione” e la cosidetta “cultura dell’antimafia”, debbano essere due fratellini indissolubili, come lei intende farci credere?
Se a queste considerazioni aggiungiamo il fatto che Lei, sulle pagine del sito 19luglio1992, riferisce le parole di Grasso in modo incompleto, e direi quasi parziale e strumentale, allora non ho altra scelta che doverla contestare, e bacchettare: come vado ripetendo da sempre, la cultura dell’antimafia e della legalità, non possono andare a braccetto con la distorsione dei fatti e dell’informazione, anzi, dovrebbe essere l’esatto contrario.
Grasso non ha detto certamente ciò che lei ha riferito per fare un favore alla mafia, questo è assolutamente pacifico, anzi, ciò che ha detto va nel senso opposto. Mentre invece, quanto al riportare sulle pagine del club delle agende rosse, pur involontariamente, versioni parziali dei fatti, semmai, non mi sentirei sicuro di poter dire la stessa cosa.
Grasso ha semplicemente “posto l’accento sulla necessità di accelerare i tempi della documentazione antimafia “che rischia di essere aggirata dalle intestazioni fittizie a soggetti puliti”. (Ma noi sappiamo perfettamente, caro Pippo Giordano, che in questo paese quello non è solo un rischio, ma un’acclarata realtà. O vorrà forse farci credere che in Sicilia, in questo momento, la mafia non ha alcun interesse o niente a che vedere con gli appalti pubblici grazie a quella pagliacciata di certificazione? L’ingenuità avrà pur sempre dei limiti, o no? Non a caso, il dott. Messineo, a commento delle parole di Grasso, fra le altre cose ha ammesso che la certificazione antimafia non ha dato i risultati sperati, “anche perché l’utilizzo di un prestanome rende facile poter aggirare le regole”.)
Quindi Grasso si è posto la domanda, come mera provocazione: “Non è meglio accettare l’idea di eliminare la certificazione antimafia?”, però lo ha fatto non per proporre una soppressione tout-court, ma formulando un’ipotesi alternativa: “sostituire l’attuale certificato antimafia, che spesso causa lungaggini burocratiche nocive alle imprese, con la costituzione di più efficienti “white list”. L’idea sarebbe quella di creare una lista con i nominativi di quelle imprese che possono contare su diverse caratteristiche per operare nella legalità. Il procuratore nazionale antimafia ha citato, ad esempio, quelle imprese che aderiscono alle regole sulla tracciabilità delle spese, alla trasparenza dell’assetto societario, che smaltiscono i rifiuti senza cagionare danni all’ambiente, che certifichino di non avere subito estorsioni .
Ora, si può non essere d’accordo sul piano tecnico con la soluzione proposta (e ad esempio, io non lo sono), e se ne possono proporre altre maggiormente valide. Ma di lì a sostenere che Grasso abbia voluto attuare, con le sue parole, una specie di “strategia per “normalizzare” il futuro e dimenticare il passato”, ce ne corre, se mi permette.
A questa sua interpretazione, io replico con la speranza che ce ne siano centinaia e centinaia, di uomini di Stato come Grasso, che coraggiosamente (perché per attirare gli strali della retorica antimafiosa, in Italia, basta poco, e quindi ci vuole coraggio) cercano di proporre qualche moderna alternativa ad una pratica squisitamente burocratica, parto di una tipica cultura democristiana, la quale, pur essendo per lo più vana, nonchè controproducente per l’apparato produttivo, piace tanto all’antimafia di facciata e delle assemblee di istituto liceali, e quindi anatema su chiunque osi dire “ma però”.
E potrei dirle la stessa cosa sul divieto al sub-appalto imposto sempre dall’andreottiana Legge 55/90, che, com’era ovvio, è servito più a provocare la chiusura e la rovina, soprattutto al nord, di migliaia di artigiani e piccole imprese oneste, piastrellisti, intonacatori, carpentieri, elettricisti, che non a danneggiare la mafia, che come tutti sappiamo nei propri feudi continua a fare quel cavolo che gli pare e con i ritagli della legge 55/90 ci fa gli album di figurine per i ragazzini.
Quanto poi alla sua rievocazione delle parole del grande Paolo Borsellino: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”, guardi, lei sfonda una porta aperta. Mai potrei essere più d’accordo con qualcuno, soprattutto sul significato più profondo del messaggio.
In anni trascorsi a seguire le delicate inchieste ed i principali fatti di mafia, in decine di articoli che grazie al cielo sino ad ora ho potuto scrivere, ho cercato di mettere sul tavolo della discussione, per aprire il dibattito, decine e decine di questioni irrisolte, delle quali alcune, tra l’altro, stavano particolarmente a cuore ai nostri magistrati uccisi, eppure il silenzio che ne ho ricavato è assordante.
Vogliamo rivederne qualcuna? Parliamo ad esempio della tanto invocata verità sulle stragi di Capaci e Via D’Amelio (lo fa anche lei nel suo articolo) e sul fallito attentato dell’Addaura, dietro al quale si celavano, come lei ci ha ricordato, le ben note “menti raffinatissime”.
Io voglio parlarne, ad esempio, citando un solerte ed acuto magistrato, che risponde al nome di Carlo Palermo, il quale ha sintetizzato in questo suo articolo alcuni degli episodi e dei filoni d’inchiesta più inquietanti fra quelli che hanno gravitato intorno agli attentati in danno ai due magistrati.
E’ incredibile, nel leggerlo, constatare quanti oscuri intrecci coesistevano, quanti moventi pesanti come macigni sono postulabili, quante persone potenti potevano avere interesse e ragioni da vendere per eliminare i due magistrati (e gliel’hanno persino giurata pubblicamente). Eppure è altrettanto incredibile constatare come, nonostante tutta quella sporcizia vera e concreta su cui fare luce, oggi il dibattito su quegli attentati si sia miseramente ridotto entro i confini dettati dall’antimafia dei girotondi e delle assemblee scolastiche, un’antimafia istruita solo ed esclusivamente sui bignamini di Marco Travaglio e dei suoi epigoni, con i soliti stallieri o politici mariuoli o mafiosetti sempre al centro di ogni vicenda un po’ come Pietro Gambadilegno in Topolino, e questa sciocchezza della trattativa che, (e guardi che molti la pensano come me), pare più un abito pomposo e decorato con merletti quel tanto da poter far sembrare vestita di nuovo l’ultima delle copiose inchieste avviate dalla task force istituita alla Procura di Palermo per dare la caccia alle malefatte dei carabinieri del ROS da quando questi hanno avventatamente arrestato Salvatore Riina, che non altro.
Vogliamo fare l’elenco? Vogliamo parlare di queste persone con cui Borsellino volle cenare, poco prima di morire, chiamando quella cena “la cena degli onesti”?
Vogliamo parlare del maresciallo Lombardo, attaccato pubblicamente in televisione dall’antimafioso della porta accanto Leoluca Orlando Cascio, mentre il giornalista antibavaglio per eccellenza, tal Santoro, “fuori campo” faceva divieto ai suoi collaboratori di passare la linea al generale dei carabinieri Federici, il quale telefonava per difendere il suo maresciallo e che se fosse riuscito a parlare avrebbe con tutta probabilità dissuaso il povero Lombardo dal suicidarsi?
Vogliamo parlare del capitano de Donno, indagato presso la procura di Caltanissetta a seguito di accuse tanto infamanti quanto FALSE (posso scriverlo serenamente e dimostrarlo per tabulas, ho il testo integrale dell’archiviazione e gli atti in mano, io non studio sui libri di Travaglio) mossegli da alcuni procuratori di Palermo?
Vogliamo parlare di ciò che c’era VERAMENTE sui nastri delle conversazioni fra De Donno e la signora Siino, dove a detta dei PM (e del solito codazzo di giornali) sarebbero invece stati registrati dei tentativi di corruzione e di istigazione a testimoniare il falso?
Vogliamo parlare del calvario giudiziario del tenente Canale, intimo amico e collaboratore di Paolo Borsellino, assolto con formula piena da una serie di accuse vergognose e fondate soprattutto sulla parola di pendagli da forca?
E degli anni di indagini aperte e chiuse in successione, come spine in una bambola Voodoo, in danno al Capitano Sergio De Caprio, in merito alla cosiddetta “mancata perquisizione” del covo di Totò Riina, vogliamo parlarne?
Vogliamo dire chiaramente che la versione più diffusa dai giornali, e cioè che egli avrebbe “ritardato di 18 giorni la perquisizione del covo”, è una patacca?
Vogliamo parlarne, cercando di capire insieme, lei che ha l’esperienza di capace funzionario di Polizia, come sarebbe stato possibile poter pensare di trovare anche un solo documento in un’abitazione occupata dalla moglie di Riina e dai suoi “tenutari”, i fratelli Sansone, se la notizia dell’arresto del boss si diffuse in mattinata, mentre il procuratore Patronaggio testimoniò che: “Intorno alle 14 (QUATTORDICI) del 15 gennaio i carabinieri del reparto territoriale di Palermo erano già pronti per effettuare la perquisizione al residence di via Bernini. Non conoscevamo la villa dalla quale era uscito Riina e per questo ci accingevamo a perquisirle tutte.” Lei che è esperto, che può dirci? Come vanno di solito queste cose? La moglie del boss, una volta saputo dell’arresto del marito, se ne sta forse ad aspettare i carabinieri per 4-5 ore sull’uscio, o meglio ancora sulla cancellata del quartiere (visto che non si sapeva l’indirizzo esatto) con il papello in mano, per consegnarlo? Non è per caso che il capitano Ultimo, quando spiegò a Caselli che la perquisizione sarebbe stata inutile perché per ragioni oggettive sarebbe stato praticamente impossibile trovarci qualcosa di importante, e che quindi era meglio avviare un’indagine sotto copertura per trascinare in galera gli uomini della cosca ed i collusi, invece di essere complice di Provenzano, era solo un investigatore in buona fede che stava facendo bene il suo lavoro? No, eh?
E del fatto che il falso e la menzogna non possono in alcun modo supportare la verità nè giudiziaria né storica, ma sono oggetti che in ogni caso non possono che far parte di qualcosa che finisce sempre per favorire la mafia, ne vogliamo parlare?
Vogliamo parlare di quei giornalisti che in TV, dinnanzi a milioni di persone, raccontano la panzana che Ultimo avrebbe rimosso da un lampione una telecamera fissa puntata sul covo di Riina, e lo fanno brandendo ipocritamente una sentenza, dove invece è scritto esattamente il contrario? (Cfr: “Tra l’altro, erano note le caratteristiche morfologiche della strada, che GIÀ AVEVA IMPEDITO DI COLLOCARE TELECAMERE FISSE – in quanto era priva di supporti adeguati ad ospitare ed occultare efficacemente mezzi di video ripresa – e che non consentivano – per la limitata ampiezza della carreggiata nonché l’ampia visibilità delle auto che si fossero parcheggiate in prossimità del civico nn. 52/54 – di farvi rimanere posizionato il furgone per un tempo prolungato e continuato, la cui presenza sarebbe stata senz’altro notata da esponenti dell’organizzazione, resi vieppiù attenti ed accorti dalla cattura del Riina.” (…)“La scelta della tecnologia da impiegare per l’effettuazione delle video riprese era di pertinenza esclusiva del ROS, il quale ritenne che il mezzo più appropriato in considerazione dello stato dei luoghi non fosse una telecamera fissa, CHE AVREBBE AVUTO BISOGNO DI UN ADEGUATO SUPPORTO LOGISTICO, QUALE UN PALO DELLA LUCE O ALTRO, e di idonea copertura per rendersi invisibile, bensì una mobile, che poteva essere facilmente occultata all’interno di un automezzo; così come era stato fatto anche nell’indagine sui Ganci.”
Vogliamo parlare di quei procuratori, eredi morali dei magistrati uccisi, che in tribunali della Repubblica, sotto giuramento, hanno testimoniato che il famoso giorno della perquisizione il covo ” era con pochissimi mobili concentrati nel salone messi tutti insieme, e non aveva più quadri alle pareti, non aveva niente di utilizzabile, praticamente era ripulito di qualsiasi oggetto che potesse essere stato dentro, anche che so, giornali e cose di questo genere, non c’era niente.”, quando invece dal verbale di perquisizione e dal corredo fotografico risulta che in ogni stanza c’erano i mobili, TUTTI QUANTI nessuno escluso (anche perché, per dire che ne mancavano, dal momento che le foto mostrano stanze ricolme, bisognava come minimo aver frequentato la casa prima dell’arresto boss, non trova?), e nella maggior parte delle camere ancora fermi al loro posto, e che di giornali ed altri oggetti personali ce n’erano eccome (tant’è vero che l’elenco ha riempito ben tre pagine di verbale), che c’erano due cucine perfettamente a posto ed arredate con tanto di stoviglie, tre bagni padronali perfettamente arredati e funzionanti, e persino una ricevuta intestata al nominativo in uso corrente in quel periodo alla moglie di Riina?
Vogliamo parlare per cercare di capire insieme quali motivazioni possono avere spinto questi magistrati ad affermare, in sede giudiziaria, di avere visto con i loro occhi che era stata smurata e/o rimossa la cassaforte, quando le foto del verbale dimostrano che la cassaforte è sempre stata salda nel suo muro e che non si è mai mossa?
E dei nuovi supertestimoni caduti dal cielo contro il generale Mario Mori, ne vogliamo parlare?
Vogliamo parlare, ad esempio, del fatto che il sottoscritto ha contestato personalmente a Massimo Ciancimino la circostanza che alcune parti documentali del suo libro “don Vito”, sono in evidente contrasto con alcune sue versioni testimoniali rilasciate ai magistrati, e che subito dopo tale contestazione, nella seconda edizione del libro, una manina abile ha opportunamente limato proprio quelle parti (che per fortuna sono rimaste sulla prima edizione, e sono indelebili.)? Che mi dice, Giordano?
E’ così che si forma la cultura della lotta alla mafia? Con la gomma da cancellare che fa dissolvere i documenti?
E della mitica ultima intervista a Paolo Borsellino, ne vogliamo parlare?
Vogliamo parlare del fatto che mentre di solito le interviste si fanno piazzando una telecamera o al massimo due di fronte all’intervistato ed agli intervistatori, in quel caso furono piazzate anche telecamere fisse molto distanti e “candide” alle spalle del magistrato, e che le parti registrate da quelle telecamere furono utilizzate, guarda caso, per realizzare una manipolazione sacrilega (sacrilega soprattutto in quanto postuma, e quindi non contestabile da parte del diretto interessato) delle parole di Borsellino, volta ad indurre a ritenere, fra tutti i falsi, che Dell’Utri avesse conversato con Vittorio Mangano di un trasporto di falsi cavalli nel suo albergo (in realtà droga) , fatto in realtà mai avvenuto?
E del fatto che a distanza di anni, nonostante quella manipolazione sia stata ormai ampiamente smascherata, lei, Giordano, persista nel richiamarsi nei suoi articoli a quell’episodio che purtoppo altro non è che una fabbricazione giornalistica capace di manipolare le menti candide come quella del suo amico Carmelo, (nella realtà si trattava semplicemente dell’intercettazione di un crimine comune, un passaggio di droga fra due criminali professionisti, e Dell’Utri non c’entrava nulla), vogliamo parlarne?
E del fatto che alla fine di quell’intervista al giudice Borsellino venivano proposte domande riservate in merito ad inchieste neppure di sua stretta competenza (cercando in sostanza di fargli commettere un reato di violazione di segreto d’ufficio o comunque una scorrettezza), e che il giudice risultava chiaramente convinto di parlare “off the record”, poiché le telecamere erano state appoggiate ai suoi piedi dando l’illusione di avere chiuso, mentre invece tali telecamere non erano state assolutamente spente ma continuavano impudentemente e subdolamente a registrare, vogliamo parlarne?
E del fatto che quell’intervista sia stata organizzata alla chetichella e realizzata a poche ore dalla morte di Giovanni Falcone, circostanza che ha sempre insospettito la signora Agnese Borsellino, come da lei stessa dichiarato, ne vogliamo parlare?
E dell’assoluta, scientifica e, direi, criminale genialità che sta dietro alle varie manipolazioni di quell’intervista, ne vogliamo parlare?
E del fatto che la testimonianza della dott.ssa Ferraro, che ha affermato e dimostrato in modo incontrovertibile che il dott. Borsellino non era stato messo a conoscenza in alcuna forma di alcuna trattativa spregiudicata fra mafia e stato, ma soltanto di un ordinario tentativo espletato dai carabinieri di acquisire un collaboratore di giustizia, è stata manipolata dai media ed anche per bocca degli stessi magistrati in alcune interviste, tanto che mezza Italia è convinta del contrario, e cioè che Borsellino fosse venuto a conoscenza di una trattativa spregiudicata e ne fosse rimasto turbato (cosa assolutamente falsa), ne vogliamo parlare?
Del fatto che il sottoscritto è perfettamente in grado di riempire molte e molte altre pagine di esempi di menzogna e di falsi che purtroppo sono diventati, vergognosamente, dei classici della cultura della cosiddetta antimafia buona, quella delle agende rosse, ne vogliamo parlare?
Come è possibile questo, sig. Giordano?
Non sarà mica che la mafia, oltre che nella porta accanto, si è insediata anche dentro casa e noi non ce ne siamo accorti?
giuseppe scano 21:33 on 26 February 2012 Permalink |
potresti essere più chiaro sul pezzo di mangano -dell’utri . risulta vero o non vero che dell’utri parlo’ di cavalli con mangano ?
enrix 22:34 on 26 February 2012 Permalink |
Dell’Utri parlò di un cavallo con mangano, il cavallo Elena, e non fu mai dimostrato in nessuna sede che non si trattava di un vero cavallo. Ma non era ovviamente Dell’Utri che parlava con mangano al telefono di cavalli in albergo. Quella era un’altra telefonata in cui Dell’Utri non c’entra nulla. Il ragionamento sulla presunta “asseverazione” di Borsellino alla parola “cavalli-droga”, rappresenta proprio il cuore della manipolazione.
Ci sono due fasi distinte: la prima è quella in cui a Borsellino viene chiesto se Mangano quando parlava di “cavalli” al telefono lo faceva per mascherare la parola droga. Si tratta di una richiesta generica a cui Borsellino risponde con stretto riferimento al materiale processuale in suo possesso. La risposta “diceva cavalli e talvolta magliette” e l’altra risposta dove lui dice che come uso gergale quello fu asseverato al maxiprocesso, vanno interpretate OVVIAMENTE in senso NON univoco. Vale a dire: Borsellino ha soltanto confermato che si riscontrava nel linguaggio di mangano AGLI ATTI IN SUO POSSESSO l’uso di quelle parole per indicare la droga. Ma chiaramente non in modo univoco. Se Mangano avesse dovuto parlare di un vero cavallo o di una vera maglietta in qualche altra circostanza, non avrebbe potuto utilizzare che quei termini. Segui la logica.
Infatti, passando alla seconda fase, quando a Borsellino viene chiesto più volte di confermare se secondo lui anche nella telefonata del febbraio 80 la parola cavalli poteva significare droga, Borsellino, nonostante si trattasse di mangano che parlava di un “cavallo”, pone tutta una serie di “distinguo” e puntualizzazioni (per cui “l’asseverazione” va a farsi benedire), e vale a dire:
1) Borsellino precisa che la telefonata di cui lui stava parlando (nel senso cioè, quella che lui conosceva dove Mangano parlava di cavalli-droga), non aveva come interlocutore dell’utri, ma un altro soggetto (e questo punto viene accuratamente tagliato)
2) Borsellino precisa che la telefonata della san valentino non faceva parte di atti che egli conosceva. Quindi non la conosceva. (e questo punto viene accuratamente tagliato)
3) Borsellino precisa che nella telefonata del maxiprocesso l’uso della parola cavalli avveniva in un contesto non credibile (cavalli in albergo), anteponendo l’esclamazione “beh” (tagliata anche lei). Un implicito invito a confrontare se nella telefonata del febbraio 80 fosse avvenuta una cosa analoga.
Inoltre, in un’altra parte dell’intervista, Borsellino precisa che in processi precedenti riguardanti Mangano, che lui conosceva, saltavano fuori “dei veri cavalli”, non dei cavalli usati per nascondere stupefacenti. (e anche questo punto viene accuratamente tagliato)
Ora tu cerca di capirmi: se anche solo un paio di questi 4 punti fossero stati lasciati in piedi o nel loro ordine logico, nella versione televisiva di quell’intervista, oggi io e te non saremmo qui a discutere. E nessuno potrebbe a maggior ragione affermare che Borsellino “ha asseverato” semplicemente una coincidenza di termini, perchè si saprebbe che quando Borsellino assevera, lo fa con stretto riferimento alla telefonata che lui conosce; quella appunto maxi-processo. Quando invece viene sollecitato ad esprimersi sull’altra telefonata, non assevera un bel niente. Anzi, prende le distanze, e precisa che la telefonata di cui lui stava parlando era un’altra.
Per nascondere tutto questo e far credere una cosa completamente diversa, (e cioè che il magistrato desse per scontato che anche nella san valentino cavallo stesse per droga) non si è dovuto solo tagliare, o “accorciare” il girato. No, si è dovuto fare un certosino e laborioso lavoro di montaggio con parti di audio montate su parti di video improprie, anticipi e posticipi.
Insomma, un lavoro tanto scientifco quanto doloso.
E siccome è provato che quando Travaglio parlava da Luttazzi, non poteva non sapere di quella manipolazione, perchè lo conferma nell’odore dei soldi di aver letto l’altra versione, quella dell’Espresso (manipolata anch’essa, ma sostanzialmente corretta in questa parte), egli non si può appellare alla buona fede o al travisamento.
No, quella era una manipolazione che mirava a far credere che Dell’utri trafficasse in droga, PER LE PAROLE DI BORSELLINO (non di uno qualsiasi), e lui l’ha fatta sua, e l’operazione è riuscita.
Il risultato è stato quello che ho detto: ci son cascati tutti.
Ti porto l’esempio autorevole di Gianni Barbacetto, che nel suo libro “Dossier Dell’Utri, Kaos edizioni, 2005”, ha scritto: . “È del febbraio 1980 la famosa telefonata tra Mangano e Dell’Utri in cui i due parlano di «cavalli» da «consegnare in albergo».
Oggi quell’assunto ed il suo fautore, sono stati sbugiardati, anche in molti miei articoli precdenti.
A meno che Barbacetto sia un tale pallaro, da scrivere una cosa del genere inventandosela di sana pianta.
Ma non è così: è stato vittima di quella fabbricazione pure lui.
Per capire bene quanto sia stata furba e criminale quella manipolazione, si deve guardare bene il mio videoclip: http://www.veoh.com/watch/v19570508JX5bBQxd
enrix 22:38 on 26 February 2012 Permalink |
giuseppe, ti rispondo copiandoti una risposta già da me data a suo tempo ad altra persona.
pippo 14:41 on 27 February 2012 Permalink |
Io quando faccio pubblicare un post lo faccio col mio nome, cognome e talvolta anche con la mia foto (sono convinto che questo non le sia sfuggito). Se lei cortesemente mi dice chi è, sarò lieto di commentare. Mi piacerebbe anche sapere la sua professione visto che lei conosce anche la mia del passato.. Attendo e nel frattempo voglia gradire distinti saluti.
Pippo Giordano
pippo 18:50 on 27 February 2012 Permalink |
Come mai ha tolto il mio commento, perchè non mi dice chi è lei? Su forza signor Enrix mi dica a chiare lettere come si chiama e che lavoro fa,. le farò un post e lo pubblico,. ok!
enrix 23:47 on 27 February 2012 Permalink |
Lei ha ragione, ho ecceduto in confidenza, non firmando con nome e cognome, distratto dal fatto che ci siamo già conosciuti in facebook, con qualche scambio di opinione. Anche in facebook gli amici mi chiamano enrix, ma il mio nome è enrico tagliaferro, e il mio mestiere è quello di cittadino. Lo stipendio invece me lo procuro facendo l’impiegato. Nel mio blog è scritto tutto in modo trasparente. Del suo passato ho saputo soltanto leggendo i suoi articoli ed i commenti in FB. Qualcuno dei quali (s.t. articoli) ho apprezzato molto, ed uno in particolare in ogni parola.
enrix 23:56 on 27 February 2012 Permalink |
Mi riferisco all’articolo sulla fantamafia. Uno dei pochissimi articoli su queste vicende dove ho visto finalmente riflettere su basi logiche e criminologiche.
Forse l’unico.
Luciano Baroni 11:34 on 16 March 2012 Permalink |
Ciao Enrico, scrivo solo per far notare che NON ho letto, dopo che tu gli hai risposto con i tuoi dati, un post del signor Pippo, come aveva scritto.
Ciao e buon lavoro.
enrix 08:29 on 17 March 2012 Permalink
Ti dirò di più, gli ho scritto anche personalmente dandogli tutta la mia disponibilità, ma dalla risposta che ho ricevuto, si è capito benissimo che non intende scrivere una riga, Obbettivamente, non gli si può dare torto. Una cosa è parlare ad “un’agendina” completamente priva di conoscenze oggettive e di spirito critico, un altro è discutere col sottoscritto. E comunque, è mia personale opinione che gli sia anche stato “consigliato” di non darmi corda. Ti abbraccio caramente, Luciano, ci risentiremo.
Renzo C 18:35 on 29 February 2012 Permalink |
Caro Enrix,
sono d’accordo con Grasso sull’ abolizione dell’ inutile certificato antimafia, pastoia burocratica per le aziende serie, ridicolo balzello per quelle infiltrate.
Purtroppo però la white list non è la soluzione di nulla, sarebbe solo il ribaltamento di 180° della stessa inutile certificazione antimafia, in aggiunta al rischio che, magari non potendola monitorare in tempo reale, potresti trovarti escluso da gare, mentre durante il ricorso viene aggiudicata a concorrenti.
Per esperienza diretta e, pur avendoci ragionato su varie volte, non ho mai avuto un’ idea che potesse essere percorribile, priva di rischi per le imprese sane e insormontabile per quelle mafiose.
Questo perchè dietro ad ogni vicenda, gara, affare o quel che è, ci sono delle persone, e qualsiasi legge è aggirabile con la complicità, quindi la sola soluzione sarebbe un maggior senso morale delle persone, ma visto che siamo in Italia e la morale non esiste, non c’è nemmeno la questione.
Te ne scrivo perchè conosco processi per vicende di questo tipo, processi che hanno condannato i colpevoli, ci mancherebbe, però le gare erano di ANNI precedenti, e le aziende danneggiate… sono rimaste danneggiate e basta.
La differenza è che la criminalità è organizzata, i liberi imprenditori no, e non possono esserlo per chiare ragioni di concorrenza, oltre ad ovvi limiti di legge, perchè il controllo non può essere delegato alle imprese.
Passando ad altro, sai che le stragi dei primi anni 90 sono state commissionate da Berlusconi e Dell’ Utri? Ormai è certo, lo ha rivelato Lo Bianco in questo memorabile articolo: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/28/un-pentito-di-mafia-le-stragi-del-93-chieste-da-b-e-da-dellutri/194251/
Manca solo un papello di Ciancimino per conferma e poi è tutto chiaro.
A proposito: si è saputo più niente dei famosi scatoloni con miliardi di papelli sequestrati a casa Ciancimino durante la perquisizione numero 381?
Li staranno leggendo tutti Ingroia e Di Matteo?
Saluti
p.s. ma un blog wordpress liscioliscio non ti piaceva proprio?
enrix 12:55 on 1 March 2012 Permalink |
Concordo caro Renzo, infatti nel mio articolo ho aperto una parentesi indicando il mio disaccordo con l’idea della white list. Ma comunque guarda, le certificazioni antimafia, che se le facciano pure, ma direttamente da Ente a Ente consultando direttamente la banca dati e senza rompere i cosiddetti agli impresari, che la loro giornata lavorativa è di 10 ore delle quali 4 impiegate a girare di mattina una pletora di uffici a vanvera per fare della carta. E gli chiedono pure le marche da bollo, per certificare di essere onesti. Veramente vergognoso. La norma sui sub-appalti poi, è un delirio. Io metterei in galera chi l’ha scritta. Conosco persone assolutamente oneste e virtuose, con la fedina macchiata ed obbligate ad anni di firma giornaliera presso le autorità di pulizia, per essere stati sorpresi con un piastrellista artigiano a posar piastrelle nei loro cantieri, o con un elettricista a tirar due fili. Spero che i responsabili morali di queste porcherie (cioè chi ha fatto la legge e chi ne ha preteso il rispetto al di là di ogni buon senso), possano un giorno scontare i loro deliri in qualche sede non terrena, visto che su questa terra gli rendono pure onore per queste pensate vergognose. Sul Fatto e Lo Bianco, no comment. Se dico esattamente ciò che penso (ed io sono abituato a farlo) rischio di dovermi difendere in tribunale, e con questa magistratura, preferisco evitare.
enrix 09:43 on 2 March 2012 Permalink |
Ho inserito un commento che dimostrava che stavano delirando, dopodichè hanno rimosso l’articolo. Evidentemente nel frattempo era passato l’effetto di quel che avevavo fumato quando pubblicavano; non per niente si chiama “Il fatto”.
Paolo 13:23 on 2 March 2012 Permalink |
Ciao Enrico, bentornato on-line.
L’articolo di Lo Bianco – sempre la cosa ti interssi – e il tuo commento sono ora qui:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/28/un-pentito-di-mafia-le-stragi-del-93-chieste-da-b-e-da-dellutri/194251/
Manca risposta di Lo Bianco, sono fiducioso.
Paolo.
enrix 09:56 on 4 March 2012 Permalink |
Vero, hanno cambiato indirizzo. Mah.
Renzo C 19:17 on 3 March 2012 Permalink |
Caro Enrico, non entro nel merito dell’ articolo perchè potrei esagerare pure io: noto solo che riporta il lavoro di Chelazzi, che è morto e non può replicare, tipico per il FQ, e cita Grasso e Teresi, nelle vesti di “sapevano e han taciuto”.
Una roba vergognosa!
Proseguendo invece nella tua osservazione, si chiama sì il fatto, ma c’è pure quotidiano: quindi se si fanno tutti i giorni, cambierei la testata ne “Il Tossicodipendente”
Francesco 16:31 on 12 April 2012 Permalink |
Credo anch’io che non c’è stata alcuna trattativa,semmai c’era una consolidata connivenza di alcuni personaggi politici con cosa nostra, i quali messi alle strette dai mafiosi non hanno fatto altro che minacciare il giudice Borsellino, il quale eroicamente preferì la morte alla corruzione.-
Per il resto credo che le responsabilità dei vertici investigativi, a parte il covo di Riina, siano evidenti ed acclarati. Le esplosioni di Capaci e via D’Amelio hanno investito anche loro. Non sarebbe giusto che ne rimanessero indenni.-